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CAP 5. COMUNITA’ PER SOGGETTI BORDERLINE, DOPPIA DIAGNOSI, ANTISOCIALI
Disturbo borderline e danno iatrogeno nel setting ospedaliero
L’insorgenza di aspetti regressivi nel disturbo borderline conseguenti all’ammissione di ospedale è un
oggetto ancora controverso. Alcuni autori hanno descritto un grado di regressione, sotto forma di stati
suicidari improvvisi, labilità affettiva e comportamenti autolesivi, che avviene in qualche pz. borderline
successivamente all’ospedalizzazione. Queste osservazioni riguardano l’ammissione in reparti di
psichiatria generale, ma non vi sono molte informazioni concernente il trattamento a lungo termine in
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ospedali psicoterapici e CT, ambienti in cui sono stati sviluppati programmi psicosociali per il trattamento e
la riabilitazione di pz. con disturbo di personalità. Un’istituzione e il suo personale può essere terapeutica o
antiterapeutica a seconda della sua capacità di adattamento, flessibilità, di autoconsapevolezza, di
autocritica, di cambiamento e di sviluppo dell’interesse dei pz., così come avviene nella terapia individuale.
Predizione prognostica del trattamento
Il futuro del trattamento residenziale psicosociale a lungo termine per il disturbo b. di personalità è incerto.
Negli USA questi programmi non sono più un’opzione realistica a causa dei costi elevati associati ai ricoveri
a lungo termine. Di conseguenza, la maggior parte dei servizi specialistici sono stati costretti a chiudere.
Anche in Europa la pressione finanziaria sta diventando una minaccia costante per la sopravvivenza delle
CT e degli ospedali psicoterapici. Un trattamento psicoanaliticamente orientato ha come scopo quello di
mettere il pz. in contatto con il proprio spettro emozionale come precondizione per determinare una
maggiore integrazione delle rappresentazioni oggettuali scisse con il loro carico affettivo, al fine di
raggiungere una maggiore libertà e un cambiamento psichico durevole. Un ambiente comunitario
terapeutico basa la sua regola di lavoro sulla condivisione e sulla espressione dei sentimenti e dello stato
mentale, sull’esame di realtà, sul confronto aperto riguardo al comportamento poco funzionale e sulla
partecipazione attiva all’intensa vita pratica ed emozionale dell’istituzione. Questo è ciò di cui il disturbo di
personalità evitante ha il terrore. In queste condizioni, il disturbo borderline con caratteristiche evitanti può
assumere un atteggiamento simil-camaleontico di pseudocompliace, accettando prontamente le
formulazioni di esperti e imparando rapidamente ad adattarsi agli aspetti pratici del sistema, ma senza un
beneficio reale e un miglioramento stabile. Perciò il disturbo borderline con un concomitante disturbo di
personalità evitante sembra sia molto più resistente al trattamento terapeutico rispetto al disturbo
borderline senza le caratteristiche evitanti. Un trattamento residenziale a medio termine diventa più efficace
quando è seguito da un trattamento ambulatoriale a lungo termine. La maggioranza di questi pz. ha
bisogno di continuare il lavoro psicosociale intrapreso nella CT nel territorio. Altrimenti è possibile che il
sentimento di abbandono inneschi processi regressivi che si manifestano come scompensi psicotici. In
contrasto, la lunga degenza senza trattamento continuativo territoriale comporta rischi di reazioni iatrogene.
Commento di Antonello Correale
La regressione iatrogena dovuta alla lunga ospedalizzazione è un’esperienza comune. L’ospedalizzazione
è controproducente perché significa affrontare la relazione fondamentale traumatica con modalità di
espulsione momentanea e ritornare ad un punto di partenza, al rientro a casa. La lunga ospedalizzazione
viene vissuta dal pz. come una passivizzazione.
Il Borderline e le regole istituzionali comunitarie
Il pz. borderline tende ad assumere comportamenti aggressivi o addirittura di aperta e franca sfida alle
regole della comunità. Si pone inevitabilmente la domanda: fermezza o indulgenza, rigidità o flessibilità,
‘bontà’ o ‘severità’? Sembra che il pz. sia spinto ad una rottura delle regole da un’inquietudine profonda, un
senso di ribellione apparentemente irriducibile, che a sua volta non può non indurre in chi lavora con lui
reazioni speculari di irritazione, rabbia e ingratitudine. Sembra dunque che sia necessario uno sforzo
ulteriore, che riguardi una sfera più intima. Da che cosa nasce l’impulso alla ribellione? Nel borderline sono
le radici stesse della concezione dell’etica che sono messe in discussione, in nome di un’etica ancora più
radicale. Le cose vanno come se il b. fosse ossessionato dall’idea di essere circondato da una gigantesca
ipocrisia e che sia suo compito quello di denunciarla e renderla pubblica. E’ nota l’importanza
dell’esperienza traumatica nella storia del b.; il trauma-relazione: le figure da cui ci si aspetta protezione
vengono sentite come infide, e al posto della gratitudine e dell’affetto, subentra il rancore. Occupa un posto
centrale il tema della morte: l’esperienza di discontinuità, introdotta dal trauma, porta ad un senso di morte,
impotenza, passività e annullamento. L’esperienza di morte comporta un’altra esperienza, quella
dell’insensatezza di ciò che sta accadendo e, di fronte a questo estremo sempre presente, sorgono i dubbi
dell’inganno. La sfida alle regole è la ricerca di una sincerità quasi impossibile, spietata ed intollerante. E’
molto importante distinguere questo tipo di attacco alle regole, dalla distruttività dell’antisociale.
L’antisociale ha ormai perso ogni fiducia nella sincerità e nell’etica di base, si è identificato con un aspetto
distruttore, con un aggressore padrone, incontrastato. Il borderline no. Anche il b. tende ad identificarsi con
un aggressore e in quei momenti compie atti antisociali, ma la sua identificazione è transitoria, legata alla
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riattivazione del trauma e si alterna con l’identificazione con la vittima. Partendo da ciò, possiamo dire che
in comunità è importante un doppio requisito: il registro pubblico, in cui la regola assume il suo carattere di
super-io necessario, di funzione paterna rappresentata dal sociale e dal simbolico; il registro privato in cui,
nel lavoro appartato e separato col proprio operatore di riferimento, la matrice ‘verità’, contenuta nella
ribellione, venga continuamente riproposta ed esaminata.
Il disturbo borderline in CT
Entrare a far parte della comunità: l’inserimento. Battelheim parla di terapia ambientale alla luce del
concetto di sicurezza: sicurezza in cambio della libertà personale che la vita in comunità comporta.
Nell’essenzialità della lingua tedesca, la parola Sichereit (sicurezza) unisce tre aspetti che nella lingua
inglese sono distinti: sicurezza personale dalle aggressioni (security); garanzia nelle scelte prive di rischi o
comunque con un margine di rischio che si può prevedere in anticipo (safety); certezza dell’ordine
costituito, delle regole della convivenza (cartanty). Il primo periodo dell’accoglienza. Molto frequentemente i
pz. che entrano in comunità hanno una ridotta capacità di insight e di riflessione. E’ frequente osservare un
deficit della capacità di percezione e comprensione degli stati mentali propri e altrui, con una conseguente
scarsa integrazione del Sé e una deficitaria modulazione dei processi emozionali e nelle relazioni
interpersonali, come conseguenza, appunto, di una carente capacità di mentalizzazione. Il problema degli
agiti dei pz. nella vita in comunità. Gli operatori si trovano frequentemente a dover valutare le modalità di
intervento con i residenti che hanno comportamenti autolesivi ed eterolesivi. E’ necessario un grande
impegno per valutare le differenze tra gli acting, azioni che presentano per lo più un carattere impulsivo mal
motivato agli occhi stessi del soggetto e relativamente in rottura con i suoi sistemi di motivazione abituale,
e le mise en scène o agiren. Correale propone una definizione interessante della terapia di comunità,
quando la immagina come una pratica che si regge su due pilastri fondamentali: la ‘terapia di
impregnazione’ da un lato, e l’attivazione e l’incremento della capacità di riflessione del pz. dall’altro. Con
terapia di impregnazione ci si riferisce all’insieme delle attività comunitarie che hanno luogo in un setting
terapeutico rassicurante, tranquillo e solido, nel quale l’empatia si armonizza con una fermezza affettuosa
ma stabile. Rispetto al secondo aspetto fondante la terapia in comunità, Correale sottolinea come
l’incremento delle competenze riflessive del pz. è sì realizzabile in un contesto gruppale di questo tipo, ma
ottiene massimo giovamento da una strutturazione di co-terapia, in cui l’operatore di riferimento assegnato
al pz. riveste un ruolo cruciale e lavora in stretta collaborazione con una figura di riferimento clinico,
generalmente un medico.
I pz. autori di reato e con un disturbo antisociale in CT: come realizzare un intervento sostenibile?
La definizione di una possibile linea di confine che ci permetta di discriminare i pz. antisociali veri e propri,
da coloro che presentano tratti di antisocialità, è di fondamentale rilevanza, laddove il vero antisociale può
trovare, in una CT inevitabili opportunità per mettere in atto comportamenti all’insegna dello sfruttamento e
del sadismo.
Oltre il comportamento, esplorando il significato. Il rapporto tra la dimensione comportamentale e quella
strutturale. La crescente sensibilizzazione verso la complessità clinica rappresentata dai disturbi di
personalità, va di pari passo con una sempre più attenta distinzione tra gli aspetti comportamentali e quelli
strutturali. Scrive Gabbard che: E’ importante distinguere tra un comportamento antisociale e una vera e propria
personalità antisociale. Comportamenti di natura antisociale possono originare da pressioni da parte di pari, da un
conflitto nevrotico o da un pensiero psicotico, e in questi casi non sono necessariamente legati ad un disturbo
Due importanti questioni: l’importanza di distinguere la dimensione
antisociale di personalità.
comportamentale da quella strutturale e le ‘derive antisociali’ che si manifestano nei gruppi. Quattro aree
diagnostiche: nelle prime tre si situano la maggior parte dei pz. autori di reato o che sono inclini ad avere
condotte antisociali, mentre la quarta si riferisce ai pz. con quadro psicopatologico marcatamente
antisociale, che si situa tra un narcisismo maligno e un evidente psicopatia.
La terapia. Per i pz.: riflettere per non ferire. Per i cur