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WELFARE ISTITUZIONALE
tutela l’interesse di tutti i cittadini.
In Italia la legge Crispi introduce l’assistenza pubblica, laicizza parzialmente le
opere di beneficenza, ma per molto tempo gli interventi saranno orientati
principalmente alle situazioni di bisogno. Dagli anni Sessanta si ha una profonda
revisione dei destinatari, si riconoscono prestazioni universali e la salvaguardia
della qualità della vita individuale, prende forma la rete dei servizi territoriali e la
nozione di servizi sociali che rivendicano una sicurezza sociale imperniata sui diritti
alla persona e non più sulla discrezionalità come avveniva in beneficenza. Dagli
anni Ottanta si è avuta, a livello regionale, una definizione dei livello di governo
istituzionale dei servizi; gli orientamenti per le azioni di integrazione socio sanitaria;
l’individuazione di flussi di finanziamento; attenzione al sistema di offerta
organizzato in servizi di promozione e di supporto alla socialità. A livello locale
queste indicazioni sono state percepite come strumenti a partire dai quali orientare
e attivare gli interventi in specifiche realtà.
In Italia l’aspetto del welfare è da ricondurre alla lunga egemonia esercitata dalla
Chiesa negli interventi assistenziali, si è creato un immaginario per il quale la
famiglia è un sistema autosufficiente in grado di risolvere autonomamente i propri
problemi.
La famiglia è l’attore implicito nel sistema del welfare italiano. Solo dopo gli anni
ottanta sono stati creati degli interventi specifici per il supporto alla famiglia,
all’infanzia ecc. dagli anni novanta la famiglia verrà vista come partner attivo dei
servizi, e le verranno dedicati interventi assistenziali, promozionali ed educativi. Si
possono distinguere 2 fasi storiche: la fase di estensione dei diritti e
differenziazione dell’offerta (1967-1988) e la fase di costruzione di una politica per
le famiglie (metà anni ’80) con interventi a carattere preventivo e locale in favore di
minori a rischio, creazione di centri di aggregazione, sostegno alla funzione
genitoriale.
L E RICADUTE DELLE TRASFORMAZIONI DEL WELFARE NELLE IDEE DI SERVIZIO
Anni ’50-anni ’80 periodo d’oro del welfare;
Anni ’80-’90 crisi progressiva del welfare che comporta un processo di
ripensamento dell’esclusiva titolarità pubblica in materia di sicurezza e di
protezione sociale, si ridiscute la titolarità pubblica e l’impronta burocratica, la
spesa sociale diventa sempre più gravosa, si creano nuove forme di povertà ed
esclusione sociale grazie ai flussi migratori sempre più consistenti e nuove
esigenze di cura. Il benessere non è più inteso come assenza di disagio o malattia
ma come qualità delle condizioni individuali di vita. Ai servizi si richiede di rispettare
e valorizzare il protagonismo e la responsabilità dei soggetti individuali e collettivi. Il
nuovo assetto è detto welfare society, un assetto sociale nel quale si contano
numerose organizzazioni ed agenzie finalizzate ad obiettivi di benessere.
Anni ’90 creazione del welfare mix che attribuisce al pubblico responsabilità in
merito alla programmazione e al finanziamento dei servizi delegando a terzi la loro
concreta erogazione. La collaborazione tra pubblico e terzo settore facilita l’incontro
tra domanda ed offerta di prestazioni sociali che vengono rese adatte al singolo e
alla collettività. La privatizzazione ha avuto delle conseguenze quali
l’accrescimento del terzo settore nella progettazione dei servizi e la difficoltà per il
lavoratore di entrare a far parte delle agenzie pubbliche se vuole lavorare nel
sociale.
Dagli anni ’90 si ha un disequilibrio di interventi tra nord e sudi Italia.
La legge 328 del 2000 prova a tenere un regime omogeneo dei diritti con criteri di
flessibilità nella loro messa in opera, regolazione centralizzata con autogoverno
locale, responsabilità pubblica rispetto l’interesse generale, ridefinisce destinatari,
erogatori e centrature politiche. Lo scopo della legge è quello dell’integrazione per
superare i disequilibri e sovrapposizioni di servizi, si regola l’accesso al mercato
delle prestazioni sociali sia nel pubblico che nel privato, grande importanza è data
ai soggetti.
Principio di sussidiarietà norma i rapporti tra istituzioni e società civile attraverso
l’autolimitazione (limiti nell’azione delle istituzioni nei confronti dei cittadini) e azione
(le azioni devono essere attuate se i cittadini non sono in grado di provvedere
autonomamente alla gestione di alcune situazioni). La comunità locale coordina e
programma i propri interventi attraverso il piano di zona (welfare locale).
Processo di clientelizzazione dell’utente il cittadino è un cliente che paga un
servizio che quindi deve essere funzionale ed affidabile.
Procedura di accreditamento procedure che portano a riconoscere un certo
sistema organizzativo rispetta requisiti di qualità. Con queste procedure
l’amministrazione pubblica autorizza il privato ad esercitare delle attività. Si ha
quindi una libera scelta per i cittadini e la concorrenza, si garantisce equità
nell’accesso.
Carta dei servizi: strumento per facilitare l’esercizio dei propri diritti da parte dei
cittadini e mezzo di gestione e comunicazione da parte degli enti erogatori. Rende
concreta la centralità del cittadino.
L E MATRICI ORGANIZZATIVE DEI SERVIZI EDUCATIVI
L’organizzazione è vista come una macchina, con logica di funzionamento
strumentale, struttura organizzativa rigidamente gerarchica, frammentazione e
standardizzazione di procedure di lavoro, attori organizzativi con ruolo meramente
esecutivo. Le organizzazioni di servizi conseguono il proprio obiettivo primario
attraverso la produzione e la fornitura di servizi astratti e intangibili, il servizio è
astratto finché il cliente non lo richiede e scompare se non viene fruito subito dopo
la sua produzione. Centrale nel servizio è la relazione tra utente e operatore.
La cultura organizzativa è concepita rispetto ad alcune sue dimensioni fondanti, e
viene rappresentata come variabile o qualità essenziale dell’organizzazione; o con
una vena simbolica; o come sistema di senso monolitico e internamente coerente.
Si hanno degli approcci oggettivisti (cultura come qualcosa che preesiste agli occhi
del ricercatore e che egli deve scoprire) e approcci costruttivisti (cultura come
caratteristica del sistema osservante, punto di vista assunto dal ricercatore). La
cultura organizzativa viene vista come modi attraverso i quali il gruppo di lavoro
elabora significati e valori comuni, se la trama interpretativa è condivisa fornisce i
codici che danno significato e conferiscono stabilità.
In realtà attorno ad ogni servizio si concentrano una pluralità di sguardi e
aspettative non riconducibili a qualcosa di pre-configurato. Il mandato è
progressivamente definito da concreti gruppi di lavoro che devono elaborare una
rappresentazione comune del proprio compito e del modo in cui esso verrà
perseguito. Il mandato è oggetto di continue negoziazioni che si realizzano nelle
relazioni quotidiane.
Il gruppo di lavoro si costituisce come tale quando i membri si dimostrano in grado
di gestire conflitti e differenze integrandosi tra loro. Nel gruppo ogni membro porta
con sé valori, aspettative e paure che devono essere usati per costruire una
rappresentazione immaginaria comune a molti dei suoi membri. Il gruppo è sempre
invaso da componenti emotive e fantasmatiche che ricadono sulle modalità di
approccio al compito assegnato. La fase centrale della vita del gruppo è quella
dove più facilmente i membri saranno orientati sul compito. La rappresentazione
comune dell’oggetto di lavoro è un modello su cui possono meglio radicarsi gli
oggetti di lavoro individuali.
Il servizio si configura come tale nel momento in cui qualcuno ne fa esplicita
richiesta, l’utente accede al servizio con una propria idea su ciò che lo aspetta e ha
quindi delle rappresentazioni mentali, proprie anche del servizio stesso. Il servizio
costruisce il problema da trattare secondo i propri orientamenti culturali di fondo e
secondo le disponibilità soggettive degli operatori direttamente coinvolti nelle
situazioni.
I clienti indiretti sono rappresentati da coloro i quali beneficiano del servizio pur non
essendo immediatamente coinvolti in una situazione di bisogno. La società ha
spesso un atteggiamento contraddittorio verso i servizi che vengono caricati di
richieste alle quali non riescono a far fronte. Il consenso è minato dalla percezione
di distanza provata dai cittadini, che vorrebbero anche un maggior dialogo tra
servizi e persone. Si deve attuare un passaggio da un lavoro dei servizi per la
società ad un lavoro dei servizi con la società.
Immobilismo innovativo i servizi sono ancorati da un modello di stampo
burocratico non innovativo, non si ha un rinnovamento culturale. Le riforme
possono dare risultati solo quando le certezze acquisite siano già in discussione,
dove cioè concorrono a dar forma concreta a sentimenti e idee già presenti
nell’organizzazione stessa.
L E MATRICI RELAZIONALI AFFETTIVE DEI SERVIZI EDUCATIVI
La nozione di servizio si riferisce al servire qualcuno e al contesto entro i quali si
realizzano le prestazioni. Il servizio implica due soggetti in posizione asimmetrica,
l’istituzione introduce un terzo soggetto che concorre ad emancipare la relazione
per farla diventare una dimensione pubblica regolamentata. Il servitore (operatore)
dispone di discrezionalità grazie alla quale può tirarsi indietro di fronte ad alcune
richieste, non da disponibilità illimitata. Il corpus di saperi personali dell’operatore lo
collocano in una posizione superiore rispetto l’utente, suo subalterno anche perché
è in oggettiva condizione di bisogno. Due codici di significazione dell’esperienza:
codice materno (soddisfazione del cliente e disponibilità dell’operatore) e codice
bambino (dipendenza, obbedienza e soddisfazione del cliente). La dimensione
affettiva è centrale nelle istituzioni sociali, gli operatori sono costantemente pervasi
da sentimenti di incertezza, fatica, morte con rischi emotivi altissimi. L’ansia che
accompagna il lavoro sociale è data anche dalle aspettative che la società ha nei
confronti degli educatori, che lavorano in luoghi “separati” deputati al trattamento di
soggetti difficili. L’istituzione può essere vista dall’educatore come contenimento e
tutela o come condizione che opprime, che incarna figure