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BAMBINI, PSICOLOGIA E LETTERATURA.

Capitolo 12.

“Una vecchia ricca di senno”: alcune riflessioni pedagogiche sulla figura della nutrice nel teatro

classico.

1.Gli antecedenti la nutrice nel teatro classico.

Nelle rappresentazioni del teatro classico la figura della nutrice appare ricca di sfaccettature.

Nell’Iliade la nutrice è una figura anonima che si limita ad accudire il piccolo Astianatte mentre nell’Odissea

a ricoprire tale ruolo è Euriclea, una schiava comprata da Laerte affinché allattasse il piccolo Odisseo. Nel

noto episodio del riconoscimento di Odisseo, falso mendicante, Euriclea, su ordine di Penelope, viene

incaricata di compiere quei gesti che introducono lo straniero nella casa.

Dalla sua Odisseo, che teme di essere scoperto per via della cicatrice, non può sottrarsi a questo rito e quando

viene riconosciuto dalla donna, decide di affrontarla intimandole di fare silenzio.

Da questo momento Euriclea nasconde a tutti il segreto e dopo aver atteso per lungo tempo il ritorno del suo

padrone, si rende complice della sua vendetta.

Così come la vecchia nutrice, che ha accudito Odisseo da piccolo, avendo con lui una relazione di vicinanza

fisica, anche il cane Argo è in grado di riconoscerlo avendo avuto con lui, un solido legame basato sulla

gestualità e la fisicità.

La figura di Euriclea appare, inoltre, in simbiosi con quella di Odisseo e con il suo destino: odia coloro che

stanno sprecando i beni del suo padrone, disprezza le ancelle che si accompagnano ai Proci e non sopporta

che la memoria di Odisseo venga offesa.

1.La nutrice del teatro classico: una figura complessa.

La nutrice del teatro classico condivide soltanto alcuni tratti comuni con quella dei poemi omerici.

Innanzitutto, nella maggior parte delle opere essa viene chiamata trophos che significa colei che favorisce lo

sviluppo, solo in alcuni casi compare l’appellativo maia, formula di cortesia verso le donne anziane.

Nell’opera Trachinie di Sofocle, la nutrice compare fin dal prologo, accostandosi alla protagonista Deianira,

che è in preda allo sconforto perché preoccupata per il marito, Eracle, ormai lontano da casa da molto tempo.

In questa circostanza, la nutrice oltre ad offrire il proprio conforto alla protagonista, la sprona a trovare una

soluzione per uscire da questo stato di empasse emotivo. Rispetto alla nutrice omerica, con cui condivide

solo l’aspetto dell’età avanzata, il personaggio sofocleo si pone in posizione dialettica nei confronti della sua

protetta, esprimendo proprie opinioni e cercando soluzioni ai problemi.

Dopo il prologo, la nutrice scompare per ritornare nuovamente sulla scena alla fine, quando Eracle è in fin di

vita e il figlio Illo è infuriato con la madre. In questo punto della vicenda, il ruolo della nutrice è quello di

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raccontare la morte della sua padrone, che resasi conto delle conseguenze involontarie delle sue azioni

decide di togliersi la vita. Il racconto della nutrice oltre ad essere intriso di profondi sentimenti di affetto nei

confronti della sua protetta e ricco di riflessioni esistenziali che rimandano alla dimensione della saggezza

popolare.

Un analogo ruolo di affetto si evince anche nell’Andromaca di Euripide dove la balia compare senza alcun

nome proprio e si trova ad assistere al disfacimento fisico di Erminione, spaventata dalla possibile reazione

del marito che giungerà tra poco.

La nutrice se da un lato mostra la sua preoccupazione per le sorte della sua protetta, dall’altro giudica

negativamente il suo comportamento perché ha progettato un piano per uccidere chi non doveva.

In un’altra tragedia euripidea l’Ippolito, la balia fa il suo ingresso sorreggendo fisicamente la sua padrona,

Fedra, lacerata dall’amore incestuoso per il suo figliastro. Anche qui, la relazione tra le due donne è molto

dialettica e se da un lato la nutrice manifesta sentimenti di compassione nei confronti della sua padrona,

dall’altra cerca di offrire una soluzione al suo male suggerendole di affidarsi ai filtri amorosi.

Nel rapido dispiegarsi della vicenda, la balia confessa involontariamente ad Ippolito, figliastro di Fedra, il

sentimento nutrito nei suoi confronti dalla regina, provocando inevitabilmente l’ira di quest’ultimo e la

vergogna della donna.

Il legame di affetto tra le due donne si spezza e a nulla valgono le parole della nutrice per chiederle perdono,

la regina ha nei suoi confronti solo parole di disprezzo e rancore e si mostra ferma nei suoi propositi suicidi.

2.La nutrice nell’Orestea di Eschilo.

Eschilo mette in scena nelle Coefore (seconda tragedia della trilogia dell’Orestea) una figura molto intensa di

nutrice, ispirandosi alle vicende raccontate da Pindaro nella XI Pitica, dove la nutrice Arsinoe ha il merito di

salvare il piccolo Oreste proprio mentre Clitemnestra stava uccidendo il marito e tendeva il suo inganno

anche al bambino. Nella ricostruzione di Pindaro, Clitemnestra non esprime un attaccamento materno e di

protezione nei confronti del figlio, mentre la nutrice è una sorta di antagonista della madre e incarna la

dimensione della cura e della tutela.

Seguendo questa tradizione, Eschilo introduce nella sua opera la figura della nutrice che chiama Cilissa.

Essa entra in scena immediatamente dopo l’episodio dell’ingresso sotto mentite spoglie di Oreste alla reggia,

e del suo dialogo con Clitemnestra, che non lo riconosce.

Il giovane giunge col proposito di vendicare il padre e fingendosi uno straniero informa la regina della morte

di suo figlio Oreste. Il dialogo fra madre e figlio è molto denso e Clitemnestra appare afflitta dal dolore e

angosciata per la perdita subita.

E’in questo contesto che la nutrice appare, manifestando il proprio distacco nei confronti dalla padrona e

addirittura accusandola di fingere il proprio dolore. La balia, inoltre, sembra svolgere una funzione di

svelamento degli aspetti oscuri, inquietanti e violenti della regina alla quale non è per nulla devota,

manifestando, invece, il suo affetto per il bambino (Oreste), peraltro ormai cresciuto e irriconoscibile.

3.Un caso particolare: la nutrice nella Medea di Euripide.

Tra le tragedie classiche, la Medea di Euripide ha la particolarità di far apparire contemporaneamente sulla

scena la nutrice e il pedagogo.

La nutrice è colei che ha allevato Medea fin da quando era piccola, seguendola poi nella sua rocambolesca

fuga con Giasone, il pedagogo, invece, compare in un secondo tempo e si occupa dell’educazione dei figli

della donna.

Alla nutrice spetta il ruolo di aprire l’opera e di raccontare le sorti della sfortunata Medea. Il racconto è

inframmezzato dalle considerazioni personali della donna sul matrimonio e i vincoli famigliari.

Il pedagogo fa, invece, la sua comparsa in questo punto, accompagnando amorevolmente i bambini e a lui la

nutrice si rivolge con l’appellativo di vecchio per sottolineare l’età avanza che dovrebbe essere sinonimo di

saggezza.

Il dialogo che segue tra i due, evidenzia la loro complicità per la comune condizione servile e per la

vicinanza alle vicende famigliari che permette loro di esprimere commenti e la loro preoccupazione per

Medea e i suoi figli. 18

Interessante è anche il successivo dialogo fra la nutrice e Medea dove quest’ultima in preda ad un delirio,

ricostruisce la catena dei delitti che hanno caratterizzato la sua storia con Giasone. E’ qui che la donna rivela

alla nutrice il proprio progetto assassino quasi a cercare in lei appoggio e complicità ma quest’ultima

prendendo posizione contro Giasone, invita alla ragione Medea, sostenendo che i suoi figli non hanno

peccato per le colpe del padre.

La trama si conclude con l’apoteosi del delirio della protagonista che uccide i propri figli mentre le due

figure della nutrice e del pedagogo scompaiono dalla scena.

Conclusioni.

La figura della nutrice nelle rappresentazioni del teatro classico assume solo alcuni aspetti di continuità con

quella delle opere omeriche con cui condivide l’età avanzata, il basso status sociale e la concretezza.

Rispetto ad essa risulta essere un personaggio autonomo che esprime propri punti di vista sugli avvenimenti

e suggerendo iniziative.

In epoca successiva Platone, nell’opera Repubblica, ricorda l’importanza delle nutrici per i primissimi anni

di vita del bambino perché è grazie ad esse che i bambini hanno modo di avvicinarsi ai valori,tradizioni, usi e

costumi propri di una società. Parimenti nell’opera le Leggi, sempre Platone sottolinea la straordinaria

capacità delle balie di comprendere e soddisfare i bisogni dei più piccoli che fa di esse le prime “maestre di

scuola dell’infanzia”, nonché la necessità che il loro ruolo e funzioni vengano regolamentate da parte dello

Stato.

Capitolo 13.

Il secolo del Piccolo Hans. Un tracciato di storia della psicopedagogia dinamica in Europa.

Il celebre saggio di Ellen Key, “Il secolo dei fanciulli” pone l’accento sulla possibilità di considerare il

Novecento quale momento di riflessione sullo statuto dell’infanzia. Parimenti l’autore di questo scritto si

interroga sulla possibilità di considerare il Novecento come “Il secolo del piccolo Hans”.

Il “caso clinico del piccolo Hans” costituisce il primo esempio di analisi infantile, seguito da Sigmund Freud

attraverso il resoconto del padre del bambino: l’attenta ricostruzione di come si sviluppa questa nevrosi

infantile (che si manifesta con la fobia di Hans per i cavalli) e delle tappe che portano alla guarigione,

permette di cogliere la complessità dei processi psichici infantili in questa difficile fase dello sviluppo

sessuale, dominata dal conflitto edipico.

Hans rappresenta l’attore per antonomasia della teoria dell’Edipo e dunque del Novecento che ha scardinato

la precedente immagine di infanzia.

Il bambino non è più pensato come essere umano datato di una soggettività diminuita rispetto all’adulto ma

come soggetto autonomo e autosufficiente.

A queste considerazioni è stato possibile arrivare grazie agli studi di Freud sulla teoria dell’Edipo che hanno

determinato la nascita della psicoanalisi.

L’Edipo, da Freud in poi, ha due significati:

-desiderio del bambino per uno dei genitori e ostilità nei confronti dell’altro, avvertito come rivale

(complesso)

-modo attraverso cui un soggetto sottomette il suo desiderio a una legge (struttura normativa).

E’attraverso la relazione oggettuale ossia il rapporto con i suoi oggetti d’amore primari, in questo caso le

figure parentali, che il bambino costruisce la propria personalità psichica.

Per Lacan, invece, il genitore dello stesso sesso del bambino è visto come un guastafeste, un intruso che

disturba il desiderio del bambino nei confronti del genitore del sesso o

Dettagli
Publisher
A.A. 2018-2019
22 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PED/02 Storia della pedagogia

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher lorena.tunno di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia dell'educazione e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università del Salento o del prof Colaci Anna Maria.