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LA CORREZIONE DEGLI ERRORI MATERIALI
Il legislatore è partito dal presupposto che, quando l’errore sia evidente senza che sia necessario fare capo ad altri atti o
documenti del fascicolo processuale, il provvedimento sia correggibile, e non impugnabile. In tali ipotesi non si tratta di
porre rimedio a una pronuncia errata, ma di adeguare il testo formale della pronuncia all’intenzione del giudicante,
quale si evince senza ombra dì dubbio dal contesto dell'atto, nonostante la forma espressiva scorretta e/o inadeguata. Ad
esempio, il giudice, fissati con precisione gli elementi di calcolo, sbaglia nell'eseguire le operazioni aritmetiche.
L’errore che rende la sentenza correggibile si distingue da
- l'errore di fatto che è a base del vizio revocatorio, che si evince solo operando un riscontro sugli atti del processo.
- il vizio della motivazione che dà vita a ricorso per cassazione, che si concreta sempre in un errore di giudizio (ed il
problema sorge per la motivazione contraddittoria), mentre il primo è nella sostanza una svista (ma in concreto la
distinzione non sempre è agevole, perché entrambi sono ricavabili dal solo testo della sentenza)
La distinzione ha notevoli conseguenze pratiche: mentre l'impugnazione è assoggettata a termini di decadenza ed è
proposta dalla parte soccombente, la correzione non ha limiti di tempo e, di solito, è richiesta dalla parte vittoriosa. La
giurisprudenza, avvertendo la delicatezza del problema, ha fissato i limiti entro i quali si può ricorrere al procedimento
di correzione: l’errore di calcolo che è possibile emendare è quello puramente aritmetico; l'errore materiale si ha
quando non è dubbia né la ratio decidendi né la reale portata della decisione, ma qualcosa nel testo è in cosi stridente
contrasto da potersi giustificare solo con un errore nella formula espressiva prescelta (il classico lapsus); egualmente, si
ha omissione emendabile quando ci sia una sicura dimenticanza.
Oggetto del procedimento sono le sentenze (ora anche le sentenze e alcune ordinanze della S.C.) e le ordinanze non
più revocabili. La correzione va chiesta con ricorso allo stesso giudice (singolo o collegiale) che ha pronunciato il
provvedimento da correggere (per i lodi, agli arbitri stessi entro l'anno dalla comunicazione del lodo; dopo tale termine
e, comunque, se gli arbitri non provvedano entro 60gg dalla richiesta, l'istanza può essere proposta al tribunale nella cui
circoscrizione ha sede l'arbitrato).
L'art.288, co.1, è formulato in modo da far pensare che, se le parti sono concordi nella richiesta, il giudice sia tenuto ad
accogliere l'istanza, emanando il decreto (Verde ritiene che il giudice sia libero di valutare se ne esistono i presupposti).
Se la richiesta proviene da una sola parte, prima di provvedere, il giudice fissa con decreto l'udienza di comparizione e
la parte istante, estratta copia del ricorso e del decreto, la notificherà all'altra o alle altre parti nel domicilio eletto o,
decorso un anno dalla pubblicazione della sentenza, alle parti personalmente. Il giudice provvede con ordinanza, che il
cancelliere è tenuto a notificare alle parti e ad annotare sull'originale del provvedimento.
Le sentenze, relativamente alla parte corretta, possono essere impugnate nel termine ordinario decorrente dal giorno in
cui è stata notificata l'ordinanza di correzione. Posto che la notificazione spetta all'ufficio, non è improbabile che essa
non abbia luogo; pertanto, la parte che ha interesse alla formazione del giudicato farà bene a provvedere alla
notificazione di sua iniziativa, salvo dover attendere 6 mesi prima che la sentenza corretta diventi non impugnabile.
Nulla dice la legge intorno al regime dell'ordinanza di rigetto. Si sarebbe tentati di considerarla alla stregua di un
provvedimento decisorio impugnabile con il ricorso straordinario per cassazione, ma dottrina e giurisprudenza
ritengono che essa sia un provvedimento sostanzialmente amministrativo sempre modificabile o revocabile, così
escludendo la possibilità-necessità del ricorso ai sensi dell'art.111 Cost.
L'art.289, infine, regola il procedimento per l'integrazione del provvedimenti istruttori.
LE OPPOSIZIONI DEL TERZO
Il terzo e il processo. Le vicende dibattute nel processo spesso non riguardano solo le dramatis personae, ma
coinvolgono in varia misura soggetti che non vi hanno ufficialmente partecipato. Di ciò, il codice ha tenuto conto in più
luoghi, predisponendo rimedi sia nel corso del processo (es., artt.105 ss., 344) sia dopo l'emanazione della sentenza
(artt.404 ss). Ha, così, regolato un'apposita impugnazione che ha denominato opposizione del terzo. Secondo l'art.404
co.1 un terzo può fare opposizione contro la sentenza, passata in giudicato o comunque esecutiva pronunciata tra
altre persone quando pregiudica i suoi diritti: si parla qui di un'opposizione di terzo ordinaria, a tutela generica del
terzo e proponibile per qualsiasi motivo. Per l'art.404 co.2, gli aventi causa e i creditori di una delle parti possono fare
opposizione alla sentenza quando è effetto di dolo o collusione in loro danno: è l’opposizione revocatoria posta a
tutela di interessi particolari per il caso di processo fraudolento.
Qualsiasi tentativo di dare conto dei limiti dell'istituto è influenzato da talune premesse di carattere generale, che ne
condizionano i risultati: si afferma che il terzo può avere legittimazione e interesse ad impugnare se la sentenza
produce qualche effetto (sfavorevole) nei suoi riguardi, ma, per definizione, la sentenza inter alios non può produrre
effetti ai danni del terzo, sia perché l'art.2909 cc limita l'efficacia del giudicato alle parti (e agli eredi e agli aventi causa)
sia perché una diversa soluzione sarebbe lesiva del diritto di difesa costituzionalmente protetto dall'art.24. In realtà, il
codice, offrendo al terzo strumenti di tutela già prima della decisione e nel processo, mostra che il problema della tutela
non è legato agli effetti della sentenza, ma nasce dalle connessioni tra le situazioni sostanziali controverse, tali che
spesso modificazioni dell'una situazione influenzano altre situazioni facenti capo ad altri (o anche ad altri) soggetti.
L'art.404 costituisce, pertanto, il completamento di una disciplina che trova riscontro, nel corso del processo, negli
artt.105 ss. e nell'art.344; il problema vero è stabilire in che misura la tutela del terzo è incisa dal fatto che, essendoci
oramai una sentenza, egli non può più far valere le sue ragioni all'interno del processo, ma solo proponendo
impugnazione. A tal fine non è possibile dare una risposta unitaria.
Le varie categorie di terzi e gli strumenti di tutela a loro disposizione:
a) i terzi rispetto al processo ma non rispetto alla situazione controversa. Rientrano in questa categoria:
- il litisconsorte pretermesso, che, in astratto, ha larghissime possibilità difensive, posto che la sentenza emanata a
contraddittorio non integro è inutiliter data: egli può
- iniziare un nuovo giudizio nel quale, facendo accertare in - proporre opposizione di terzo e, in tale sede, far
via incidentale che la sentenza non è in grado di produrre annullare la sentenza emessa a contraddittorio non
effetti, fa valere le sue ragioni che sono rimaste integre. integro, chiedendo una nuova statuizione.
Verde ritiene necessario distinguere i casi in cui il litisconsorzio è
- dettato da ragioni di logica necessità, nel qual caso è corretto costruire come inutiliter data la sentenza emanata a
contraddittorio non integro con tutte le gravi conseguenze che ne discendono
- il prodotto di una valutazione d'opportunità, bisogna ricondurre l'ipotesi alla regola generale della trasformazione dei
motivi di nullità in motivi di impugnazione. Se le parti originarie non propongono Impugnazione, la sentenza per loro
passa in giudicato. Il litisconsorte pretermesso è obbligato ad impugnare. L'alternativa possibile è tra
l'opposizione di terzo ex art.404 co.1, provando l'impugnazione ordinaria svincolata dai termini ex art.327 co.2
solo di non essere stato citato (in tal caso, non c'è (così assimilando la posizione del litisconsorte pretermesso a
termine per impugnare e l'azione viene meno solo quella del contumace involontario), provando di non aver
con la prescrizione del diritto sostanziale) avuto conoscenza del processo. In tal caso, dalla conoscenza
del processo corre il termine semestrale di decadenza.
Verde opta per la seconda soluzione, perché ritiene che in queste ipotesi possa aversi una formazione progressiva del
giudicato; dottrina e giurisprudenza prevalenti per la prima.
- il falso rappresentato, la cui posizione non è dissimile da quella del litisconsorte pretermesso nei casi di litisconsorzio
necessario per ragioni di opportunità. Poiché rientra nel potere dispositivo del falsamente rappresentato valutare se
opporsi alla formazione del giudicato nei suoi confronti, Verde ritiene si applichi l'art.327, co.2 (e non l'art.404).
- l'avente causa in pendenza di lite. Dobbiamo qui distinguere tra avente causa
• a titolo universale, se la successione si è verificata
- prima dell'inizio del processo, il successore è il vero - dopo il formarsi del giudicato, quest'ultimo si estende
legittimato attivo o passivo e, quindi, il processo iniziato all'avente causa, che non ha a sua disposizione alcun
da o contro altra persona dà luogo a una sentenza rimedio. Si può solo ipotizzare un’opposizione di terzo
inopponlbile al vero legittimato; revocatoria quando, in quanto legittimario, sia stato
- in corso di causa, sì applicano gli artt.110 e 299 ss. cpc pregiudicato con dolo o collusione dal de cuius e dalla
controparte nel processo concluso.
• a titolo particolare, bisogna distinguere a seconda che sia stata trasferita
la stessa situazione sostanziale; una situazione sostanziale derivata;
prima dell'inizio della prima dell'inizio del processo, se la sentenza
controversia, il successore è il - pregiudica i diritti acquistati dal terzo (a meno che non vi sia una circostanza
vero legittimato passivo, per cui impeditiva come l'acquisto del possesso in buona fede ex art.1153), a questi
la sentenza resa inter alios non gli deve essere riconosciuta l'opposizione di terzo revocatoria, essendo egli un
è opponibile avente causa che può dolersi solo del dolo o della collusione a suo danno
- non reca pregiudizio (come nei casi di rescissione e di risoluzione: artt.1452 e
1458, co.2), non vi è ragione per tutelare il terzo con un'autonoma impugnazione
in pendenza di processo, trova in pendenza di lite, le disposizioni sostanziali normalmente estendono al terzo
applicazio