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I MODELLI DI CRISI VALUTARIA DI SECONDA GENERAZIONE

Il meccanismo descritto dai modelli di prima generazione funziona per un paese ad inflazione elevata o che presenta un importante deficit delle partite correnti. Non è adatto a spiegare le crisi subite dallo SME nel 1992 e nel 1993. Per comprendere le crisi in Europa, bisogna tornare alla completa liberalizzazione dei movimenti di capitale, a partire dal 1990. In questo contesto, gli interventi diretti della banca centrale sul mercato dei cambi sono poco efficaci per stabilizzare il tasso di cambio, dato che i flussi finanziari privati sono di un ordine di grandezza maggiore. Lo strumento migliore è il tasso d'interesse, che bisogna alzare per scoraggiare le fuoriuscite di capitale. Ma questo aumento pesa sulla domanda interna, e mette la banca centrale di fronte a un dilemma. Il contributo più importante di questi modelli è che mostrano come le crisi possono essere autorealizzatrici (self-fulfilling): ilsemplice fatto che i mercati anticipino una crisi può scatenarla. Le aspettative di inflazione contribuiscono una prima spiegazione di questo meccanismo: se gli agenti economici anticipano una svalutazione, chiederanno salari più alti per compensare la perdita di potere d'acquisto attesa. Se la produzione è vincolata dall'offerta, ci sarà un aumento della disoccupazione, a meno che il governo non svaluti la moneta per aiutare le imprese. I modelli di seconda generazione spiegano le crisi come il risultato di un mix di un'economia debole e di aspettative favorevoli. C. I MODELLI DELLE CRISI VALUTARIE DI TERZA GENERAZIONE A partire dal luglio 1997, il Brasile, la Russia, la Thailandia e altre economie dell'Asia orientale hanno dovuto abbandonare i loro regimi di cambio fissi nei confronti del dollaro americano. Tutti questi paesi avevano in comune il fatto di essersi indebitati in dollari a breve termine. Una svalutazione della moneta aveval'effetto di aumentare il peso del debito espresso in valute estere o dibloccare l'ingresso di capitali. I modelli di terza generazione mettono l'accento sulla compresenza di due tipi di crisi: le crisi valutarie e quelle bancarie (crisi gemelle). Una crisi bancaria può essere all'origine di una crisi valutaria: gli agenti anticipano che la banca centrale staper prestare denaro per dare sollievo alle banche in difficoltà. L'iniezione attesa di liquidità genera delle aspettative di svalutazione. Una crisi valutaria può provocare una crisi bancaria se le banche si sono indebitate in valute estere sul mercato internazionale dei capitali per prestare in moneta nazionale agli imprenditori locali. I modelli di terza generazione hanno anche cercato di spiegare gli effetti di contagio, soprattutto a livello regionale. Masson propone un modello ispirato a quelli di prima generazione, ma in cui la performance commerciale di un paese dipende dal

tasso di cambio dei suoi vicini e concorrenti. Gli agenti sanno che se uno dei partner di quel paese svaluta, il saldo commerciale di quel paese peggiorerà imponendogli di intervenire per difendere la sua parità. Il contagio può risultare da un cambiamento delle aspettative degli investitori in seguito a un avvenimento in un paese. Gli investitori internazionali sono sottoposti a un vincolo di bilancio: le perdite in un paese devono essere compensate altrove facendo precipitare la crisi in altri paesi. La valutazione empirica dei modelli di crisi valutaria si basa su metodi probabilistici o su stime econometriche. La variabile più importante per prevedere le crisi è il grado di sopravvalutazione del tasso di cambio reale, che conferma l'importanza di disporre di buoni modelli esplicativi di questa variabile.

I metodi di previsione delle crisi valutarie

La previsione delle crisi valutarie si divide in due rami:

Approcci probabilistici: si seleziona un

certo numero di fattori auscettibili di far scatenare una crisi.

Si fissa per ogni fattore una soglia limite a partire dalla quale è possibile che si verifichi una crisi e si aggregano tutti i fattori considerati in modo da costruire una probabilità di crisi.

Approcci econometrici:

  • Modelli probit: si stima un modello nel quale la variabile spiegata è binaria a partire da variabili continue.
  • Modelli econometrici classici: si stima un modello in cui la variabile spiegata è continua. Il modello predice direttamente la crisi né la probabilità di crisi, ma l'ampiezza della variabile spiegata è direttamente collegata al rischio di crisi.

Le variabili messe in evidenza più frequentemente come significative o quelle che hanno un buon rapporto segnale/rumore sono:

  • Riserve ufficiali e politica monetaria;
  • Rischio sullo stock delle riserve;
  • Rischio di espansione monetaria;
  • Costo del regime di cambio fisso;
  • Rischio sul

conto finanziario;

• Rischio di crisi di origine bancaria;

• Rischio di contagio.

3 – POLITICHE

Le decisioni principali in materia di politica valutaria riguardano la scelta del regime valutario e il grado di mobilità dei capitali.

3.1 – Mobilità del capitale e scelta del regime valutario

Quando l’attività economica è al di sotto del suo livello potenziale, bisogna attuare una politica espansiva.

Quando i capitali sono mobili e in regime di cambi flessibili, la politica monetaria è più efficace di quella fiscale. Una diminuzione del tasso d’interesse avrà un effetto maggiore grazie all’aggiustamento endogeno del tasso di cambio: un deprezzamento nominale della moneta nazionale determina una crescita dell’output o dei prezzi.

Una politica fiscale espansiva, dato che determina un aumento del tasso d’interesse, ha un effetto stabilizzatore mediocre, o nullo, perché la moneta nazionale si apprezza:

La domanda pubblica si sostituisce a quella estera netta. In regime di cambi fissi accade il contrario. In caso di mobilità dei capitali e di cambi flessibili, lo strumento più efficace per la stabilizzazione macroeconomica è la politica monetaria. Un regime di cambi fissi con una forte mobilità dei capitali costringe la banca centrale a relegare la politica monetaria alla difesa del tasso di cambio. La stabilizzazione macroeconomica può essere fatta solo con la politica fiscale.

Politica monetaria autonoma, stabilità del tasso di cambio e mobilità perfetta dei capitali non possono coesistere. Questo triangolo d'incompatibilità è stato messo in evidenza da Robert Mundell. Le autorità pubbliche sono obbligate a scegliere uno dei vertici del triangolo.

A. I PRO E I CONTRO DELL'APERTURA DEI MERCATI FINANZIARI

Si ha una tendenza alla liberalizzazione dei movimenti di capitale a partire dagli anni Settanta.

Questo processo di liberalizzazione è stato scandito da due tappe importanti: la fine del sistema di Bretton Woods all'inizio degli anni Settanta e l'Atto unico europeo del 1992.

La liberalizzazione dei movimenti di capitale faceva parte del Consenso di Washington ed è stata impostata dal G7, dall'OECD e dal FMI a molti paesi emergenti. Il risultato di tutti questi fattori è stato un aumento dei movimenti internazionali di capitali nel corso degli anni Ottanta e Novanta.

La liberalizzazione dei movimenti di capitale ha avallato la speculazione finanziaria e l'espansione del credito bancario, scatenando crisi gemelle monetarie e bancarie. È stato anche rimesso in discussione il contributo della mobilità dei capitali allo sviluppo economico nel lungo periodo. Nel 1990, Robert Lucas faceva notare che la maggior parte dei movimenti dei capitali erano flussi Nord-Nord, piuttosto che Nord-Sud (come nella teoria classica).

La misurazione

Dei vantaggi dell'apertura finanziaria ha messo in evidenza risultati modesti. Gourinchas e Jeanne hanno stimato i vantaggi del passaggio dall'autarchia finanziaria alla totale mobilità dei capitali per i paesi non membri dell'OECD. Il risultato è un aumento permanente del consumo dell'1%. Una possibile spiegazione è che gli effetti positivi dell'apertura finanziaria sul tenore di vita sono indiretti, grazie agli effetti indotti sulla produttività, alla pressione esterna per eliminare le distorsioni dei mercati nazionali e al miglioramento delle istituzioni economiche.

Dopo la crisi messicana e quella asiatica degli anni Novanta, i paesi emergenti hanno rimesso in discussione i vantaggi dell'apertura finanziaria. La Cina è stata considerata un esempio per il suo contributo alla stabilità finanziaria della regione. La Malesia ha fissato il suo tasso di cambio, ridotto i tassi d'interesse e reintrodotto dei

Controlli sui capitali. Esistono molti tipi di controlli sui movimenti dei capitali. Una prima opzione consiste nel mettere in atto dei controlli amministrativi e nel sottoporre le operazioni valutarie a un'autorizzazione. Un modo alternativo per controllare i movimenti di capitale consiste in un sistema di incentivi. Tobin ha proposto di istituire un'imposta sulle transazioni valutarie esattamente per limitare la speculazione finanziaria e l'instabilità. Il governo cileno negli anni Novanta costringeva gli investitori esteri a costituire una riserva minima. La Tobin tax è ispirata a un'osservazione di John Maynard Keynes sull'effetto delle imposte sulle transazioni sulla liquidità del mercato borsistico. Un'imposta sui movimenti dei capitali dovrebbe stabilizzare i finanziamenti dato che rende più costose le reallocazioni dei portafogli. I lavori empirici mostrano che un'imposta del genere favorisce gli investimenti a lungo termine.

Non c'è evidenza di una riduzione sostanziale della vulnerabilità di un'economia nei confronti di una crisi di bilancia dei pagamenti. Il problema principale è che una Tobin tax è incapace di bloccare una fuga degli investitori. In caso di attacco speculativo, solo delle barriere quantitative possono rallentare la fuoriuscita di capitali. Le imposte sui movimenti dei capitali possono essere giustificate dalla volontà di favorire gli investimenti di lungo periodo. Dopo l'esperienza asiatica, il FMI ha iniziato a raccomandare una liberalizzazione graduale dei mercati finanziari nei paesi emergenti. L'obiettivo è quello di avere una liberalizzazione totale solo dopo lo sviluppo di un sistema finanziario nazionale sano. B. CAMBIO FISSO O FLESSIBILE La decisione di partecipare a un'unione monetaria, o di rendere fisso il tasso di cambio della moneta nazionale in rapporto a un'altra valuta, è il risultato di uncambio, alla volatilità dei prezzi e alla perdita di competitività delle imprese. Questi fattori possono influire negativamente sulla capacità delle imprese di pianificare e investire a lungo termine, riducendo la produttività e la redditività. D'altra parte, i costi macroeconomici sono legati agli effetti sull'economia nel suo complesso. L'instabilità del tasso di cambio può causare fluttuazioni dei prezzi dei beni importati e delle materie prime, influenzando l'inflazione e la capacità di acquisto dei consumatori. Inoltre, la perdita di competitività delle imprese può portare a una diminuzione delle esportazioni e un aumento delle importazioni, con conseguente squilibrio della bilancia commerciale. In conclusione, il trade-off tra vantaggi microeconomici e costi macroeconomici è un elemento cruciale da considerare nella gestione delle politiche economiche. È importante trovare un equilibrio tra la stabilità del tasso di cambio e la competitività delle imprese, al fine di promuovere la crescita economica sostenibile e il benessere generale della società.
Dettagli
Publisher
A.A. 2018-2019
121 pagine
14 download
SSD Scienze economiche e statistiche SECS-P/02 Politica economica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Lucy95- di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Politica economica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Petretto Alessandro.