Riassunto esame pedagogia sperimentale, prof. Capperucci, libro consigliato Progettare per unità di competenze nella scuola primaria, Capperucci, Franceschini, Guerin, Perticone
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- favorire l'esplorazione e la scoperta. In senso stretto significa garantire all’alunno dei momenti
esplorativi e di ricerca alternativi alla classica lezione frontale, allo scopo di privilegiare
l'apprendimento per scoperta piuttosto che per trasmissione. In senso largo significa rendere
partecipi gli alunni al processo di produzione delle conoscenze da apprendere, che sono sempre
il risultato di complessi e plurimi processi di ricerca;
- incoraggiare l'apprendimento collaborativo. In senso strumentale, l'apprendimento collaborativo
è un facilitatore degli apprendimenti, mentre, in senso etico, è un aspetto costitutivo della
didattica in classe. La cooperazione ha senso se si facilita il raggiungimento individuale di
obiettivi didattici e se riesce a formare la disposizione al lavoro comune, al rispetto delle
posizioni altrui e alla coordinazione consapevole delle capacità e delle attività. Il gruppo
collaborativo efficace si forma nel tempo;
- promuovere la consapevolezza del proprio modo di apprendere. Una seria didattica
metacognitiva intende far padroneggiare strategie di studio e apprendimento agli alunni e
adattarle a compiti diversi o modificarle in base alle occasioni di lavoro. Inoltre le motivazioni
sono alla base del lavoro scolastico e dell'organizzazione curricolare della scuola. Praticando
una pedagogia del contatto, che illustra in anticipo obiettivi e percorsi, informa sull'andamento
dell’attività, motiva al lavoro e valuta collettivamente la qualità delle produzioni di gruppo, è
possibile sviluppare la consapevolezza generale del proprio apprendimento di formazione;
- realizzare attività didattiche in forma di laboratorio. Il laboratorio è uno spazio nel quale
prevalgono le attività di ricerca collaborative, è un dispositivo didattico nel quale si elabora e
realizza un progetto condiviso, consente la differenziazione dei ruoli e delle attività in chiave
personale e può essere legato a questioni, problemi e oggetti culturali di immediata pertinenza
con la vita degli alunni. Il laboratorio didattico si costruisce nel tempo, partendo da semplici
attività di condivisione, per arrivare al collegamento tra le attività svolte nell'aula madre e quelle
realizzate in laboratorio.
Ogni disciplina è presentata dalle Indicazioni in tre sezioni: una prima parte illustra le finalità
generali, gli argomenti principali, le metodologie e i rapporti interdisciplinari che caratterizzano
l’insegnamento di ogni disciplina, una seconda parte indica i Traguardi al termine della scuola
primaria e della scuola secondaria di primo grado e una terza parte illustra gli Obiettivi da
raggiungere al termine della classe terza e quinta della scuola primaria e al termine della classe
terza della scuola secondaria di primo grado. Emerge una visione delle discipline come
amplificatori culturali, di stampo bruneriano ma aggiornata alla ricerca epistemologica più recente. I
Traguardi hanno una natura operativa, comportamentale e costruttiva, espressa dall’uso di verbi
specifici: comprendere, riconoscere, usare, raccontare, identificare e organizzare. Si tratta sempre
di operazioni visibili e concrete, che possono essere progettate e valutate durante l’esperienza
scolastica con estrema precisione. Il verbo “conoscere” non è utilizzato perché troppo generico dal
punto di vista didattico. L’attenzione alle manifestazioni visibili dell’apprendimento, all’attività di
ricerca e all’utilizzo di strumenti e materiali si ritrovano negli Obiettivi che gli alunni devono
raggiungere al termine della classe terza e quinta. Anche gli Obiettivi consistono in prestazioni
osservabili. Gli obiettivi possono essere articolati in sotto-obiettivi poiché si propongono ai docenti
come un materiale di lavoro molto flessibile.
Capitolo2: Curricolo e progettazione per «unità di competenza»
Uno degli aspetti più significativi dell’autonomia scolastica è stato il passaggio dal programma al
curricolo e il ruolo centrale attribuito alla progettazione curricolare all’interno dell’offerta formativa
delle scuole.
Il rinnovato interesse verso il curricolo all’interno della riflessione pedagogica e dei provvedimenti
ordinamentali sulla scuola ha avuto inizio con la “stagione delle grandi riforme” che, dal 1996, ha
introdotto profonde trasformazioni nel sistema educativo di istruzione e formazione. Pontecorvo
scriveva che la nozione di curricolo dovrebbe sostituire quella di “programma” perché è più
comprensiva, dato che non include solo una scelta di contenuti ma indica anche gli obiettivi, i
metodi di insegnamento e di apprendimento, i materiali didattici e richiede di considerare l’allievo
nelle sue preliminari abilità, conoscenze e motivazioni. Inoltre, la nozione di curricolo comporta un
lavoro attivo di progettazione da parte degli insegnanti. Il lavoro formativo del curricolo si basa
sulla relazione dialettica che il bambino instaura con i saperi, originando un processo di 7
“acquisizione di forma” che è peculiare, personale, situato e contestualizzato. La transizione della
“cultura del programma” alla “cultura del curricolo” richiede 3 ordini di cambiamento:
1. l’abdicazione da un modello ideale di alunno, i cui bisogni formativi possono essere
predeterminati e standardizzati, giustificando così una didattica uguale per tutti;
2. la valorizzazione dell’intenzionalità dell’atto educativo che deve essere progettato e
organizzato per rendere la didattica più efficace;
3. la definizione di percorsi didattici personalizzati calibrati a partire dai bisogni formativi dei
bambini nella prospettiva della valorizzazione dell’identità e della storia di ciascuno.
L’autonomia scolastica rientra all’interno di un più ampio processo di riammodernamento e
decentramento dell’intera Pubblica Amministrazione, avviato dalla Legge n. 241 del 1990, anche
detta legge sulla “trasparenza”, grazie alla quale alle istituzioni scolastiche viene riconosciuta la
personalità giuridica di diritto pubblico, per cui i singoli istituti scolastici sono chiamate ad
esercitare competenze nuove a livello amministrativo, contabile, gestionale, organizzativo e
didattico-progettuale. Nel DPR n. 275 del 1999 Regolamento recante norme in materia di
autonomia delle istituzioni scolastiche viene chiarito che le istituzioni scolastiche sono
“espressione di autonomia funzionale” e ciò significa che i maggiori spazi di decisionalità conferiti
alle scuole sono da considerarsi come delle leve per migliorarne il funzionamento e innalzare la
qualità degli apprendimenti degli alunni. L’autonomia deve puntare a rendere l’insegnamento più
efficace, flessibile e capace di rispondere alle agenzie formative di ciascun alunno e a migliorare la
qualità degli apprendimenti. La Legge sulla Buona Scuola di inserisce in un’ottica di continuità con
la norma sull’autonomia scolastica, riprendendone i principi ispiratori e dotando la scuola di nuovi
strumenti per rendere ancora più attuabile il processo autonomista avviato alla fine degli anni
Novanta. La Legge sulla Buona Scuola richiama espressamente le forme di flessibilità
dell’autonomia didattica e organizzativa che hanno lo scopo di valorizzare le potenzialità e gli stili
di apprendimento degli alunni, le competenze della comunità professionale scolastica, della
collaborazione tra pari, della progettazione collegiale e dell’interazione costante con le famiglie e il
territorio. Dell’autonomia didattica e organizzativa si considera soprattutto:
1. l’articolazione modulare del monte orario annuale di ciascuna disciplina;
2. il potenziamento del tempo scolastico anche oltre i modelli e i quadri orari, nei limiti della
dotazione organica dell’autonomia;
3. la programmazioni plurisettimanale e flessibile dell’orario complessivo del curricolo e di quello
destinato alle singole discipline.
Come previsto dal Regolamento, il curricolo è parte costituita nel Piano dell’Offerta Formativa. La
Legge n. 107 del 2015 ha previsto un’integrazione relativa alla triennalità del Piano, che prende il
nome di PTOF, rivedibile annuale. In esso devono inoltre essere ben esplicitate le risorse
necessarie per la sua piena attuazione. Il PTOF deve essere predisposto dalle istituzioni
scolastiche entro il mese di ottobre dell’anno scolastico precedentemente al triennio di riferimento.
Le novità che in precedenza non erano previste sono:
1. l’indicazione all’interno del PTOF della programmazione delle attività formative rivolte al
personale docente e amministrativo, tecnico e ausiliario. La formazione dei docenti di ruolo
rappresenta non più un diritto-dovere, ma un’attività obbligatoria, permanente e strutturale;
2. una valorizzazione del dirigente scolastico rispetto alle funzioni gestionali e procedurali. Il
dirigente scolastico ha infatti il compito di fornire gli indirizzi per le attività della scuola e delle
scelte di gestione e di amministrazione, in base ai quali il collegio deve progettare il PTOF. In
passato, la progettazione del POF era esercitata dal Consiglio d’Istituto.
Il PTOF, al pari del POF, deve rispondere ai criteri della trasparenza e della pubblicità degli atti,
pertanto le istituzioni scolastiche pubblicano il piano nel Portale unico, che viene costantemente
aggiornato in caso di eventuali revisioni. L’ufficio scolastico regionale (USR) verifica che il piano
triennale dell’offerta formativa rispetti il limite dell’organico assegnato a ciascuna istituzione
scolastica e trasmette al MIUR gli esiti della verifica.
Secondo quanto previsto dal Regolamento sull’autonomia, il Ministero, in materia di curricolo, ha il
compito di individuare:
1. gli obiettivi generali del processo formativo. Essi sottolineano l’importanza della piena
valorizzazione delle persona umana, le cui capacità vanno potenziate e integrate grazie
all’apporto degli strumenti culturali propri della scuola e della qualità dell’esperienza che
l’ambiente è chiamato a coltivare. È poi necessario per la formazione scolastica promuovere 8
percorsi di apprendimento che si aprano agli alfabeti dell’imparare a vivere e a convivere in
una società nella quale si è parte e del cui miglioramenti ci si sente responsabili. Le
competenze che la scuola devono promuovere sono orientate alla formazione dell’essere
persona e di cittadini responsabili, rispetto a se stessi, agli altri e all’ambiente;
2. gli obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze degli alunni;
3. le discipline e attività costituenti la quota nazionale dei curricoli e il relativo monte ore annuale.
L’efficacia del curricolo si misura a partire dalle ricadute che esso è in grado di generare sugli
apprendimenti degli alunni. Affinché ciò si verifichi è necessario:
1. che l’organizzazione scolastica sia in grado di supportare al meglio i processi apprenditivi degli
alunni, prestando attenzione all’eterogeneità delle situazioni e dei soggetti. Alcune politiche
scolastiche recenti hanno influito negativamente sulla qualità dell’organizzazione scolastica e
sulla didattica, come le disposizioni contenute nel Decreto Legge n. 137, Disposizioni urgenti in
materia di istruzione e università, che hanno provocato un arretramento notevole riguardo al
funzionamento della scuola primaria a causa della reintroduzione del maestro unico-
prevalente, della cancellazione delle compresenze, della riduzione dell’orario dedicato alle
attività curricolari e della genericità della formazione dei docenti rispetto all’insegnamento di
alcune discipline importanti come la lingua inglese;
2. assicurare una didattica di qualità affidata a docenti esperti. Possiamo prevedere le seguenti
azioni:
1. promuovere la conoscenza diffusa e l’attuazione delle Indicazioni nazionali. Le Indicazioni
nazionali del 2012 sono ancora poco conosciute da una parte consistente di docenti e
dirigenti scolastici. La persistenza dei vecchi programmi è tutt’altro che tramontata e
spesso la didattica è improntata sulla routine e sulla ripetizione. Troviamo una conferma di
tutto ciò analizzando i Rapporti di autovalutazione (RAV) delle scuole dove tra gli obiettivi di
miglioramento e le azioni da inserire nei Piani di Miglioramento (PdM) compare spesso la
voce “costruzione del curricolo verticale per competenze”. Questo costituisce una presa di
consapevolezza importante rispetto alla necessità di progettare la propria offerta curricolare
in rispondenza a quanto previsto dalle Indicazioni nazionali e un modo per rilevare lo
scollamento esistente tra la teoria e la pratica, tra quanto previsto dalla norma e quanto
avviene realmente nelle scuole. La poca conoscenza delle Indicazioni nazionali determina
la messa in atto di un curricolo implicito, elaborato a livello individuale e senza confronto e
mediazione con altri colleghi, a danno di un curricolo esplicito che non viene attuato;
2. supportare la sperimentazione delle Indicazioni nazionali. È importante individuare
metodologie di formazione dei docenti coerenti con l’obiettivo dei piani di
accompagnamento che consiste nel fornire occasioni formative grazie alle quali
sperimentare l’attualità delle Indicazioni e la loro diretta applicabilità nella didattica;
3. prevedere le risorse finanziarie e umane necessarie per sostenere il cambiamento.
Siccome la didattica rappresenta il punto di snodo da cui dipendono le sorti e la qualità
della scuola, è necessario investire sugli insegnanti e fornire alle scuole il personale
qualificato di cui hanno bisogno. Per far fronte a ciò, la Legge n. 107 del 2015, ha
provveduto all’istituzione dell’organico dell’autonomia, che deve essere indicato nel piano
triennale dell’offerta formativa, in modo da rispondere alle esigenze didattiche,
organizzative e progettuali delle istituzioni scolastiche. Ai sensi della Legge della Buona
Scuola, le istituzioni scolastiche individuano il fabbisogno di posti dell’organico
dell’autonomia nel rispetto del monte orario degli insegnamenti;
4. superare le difficoltà legate all’attuazione di una didattica per competenze. Una delle novità
del curricolo proposto dalle Indicazioni nazionali consiste proprio nel dedicare attenzione
alla progressione degli apprendimenti e alla verticalità del curricolo per competenze. Le
difficoltà rimandano alla ristrutturazione della didattica e delle metodologie adottate,
privilegiando una didattica per problemi, e alla valutazione e certificazione delle
competenze acquisite, dove le prove tradizionali e quelle oggettive standardizzate possono
essere valide solo in parte;
5. promuovere la ricerca-formazione con gli insegnanti e all’interno delle scuole. Per quanto
riguarda la ricerca in educazione, molte indagini hanno confermato una scarsa applicabilità
ai contesti reali dell’istruzione, dove le variabili in gioco spesso agiscono in modo diverso
dai contesti di laboratorio. Lo stesso può dirsi per un certo modello di ricerca-azione, che è
9
limitata rispetto alla descrizione dei fenomeni degli eventi educativi considerati: la
dimensione circoscritta a singoli casi è strettamente vincolante a casi o situazioni
difficilmente riproducibili altrove. Per quanto riguarda la formazione degli insegnanti,
accanto alla riflessione sui modelli formativi e sull’apprendimento è necessario
accompagnare indicazioni concrete di messa in pratica. La riflessione è utile sia nel corso
dell’azione che dopo di essa. L’approccio più adatto per lavorare con gli insegnanti e per
incrementare le loro competenze professionali è quello della ricerca-formazione, che
attribuisce pari valore ad entrambi i termini e anche agli attori in gioco, cioè insegnanti e
ricercatori.
Queste 5 proprietà richiamano lo sviluppo della competenza progettuale. Con il passaggio dal
programma al curricolo, la competenza progettuale ha assunto una dimensione trasversale, che
tutti i docenti devono padroneggiare. Il venire meno di un programma predefinito a livello
nazionale, infatti, ha determinato l’esigenza di rafforzare le competenze degli insegnanti nel
pensare intenzionalmente le attività di insegnamento. Tra le competenze progettuali, quella relativa
alla progettazione curricolare ricopre un ruolo centrale, poiché da essa in buona parte dipende al
qualità degli interventi didattici e la possibilità di renderli più efficaci mediante l’attivazione di
processi di revisione e ri-progettazione in itinere ed ex post. Un buon percorso didattico, ancor
prima di essere realizzato, richiede di essere pensato e pianificato accuratamente passando in
rassegna le molteplici variabili che accompagnano il processo di insegnamento-apprendimento e
la relazione educativa alunno-insegnante. Nel nostro ordinamento scolastico, purtroppo, non esiste
un profilo delle competenze dell’insegnante delineato e riconosciuto a livello nazionale, ma
sarebbe necessario perché ogni scuola:
1. abbia presente quali sono le competenze specifiche dei propri insegnanti ai fini dell’attribuzione
di appositi incarichi;
2. definisca le competenze essenziali che ogni insegnante deve possedere per assicurare un
insegnamento di qualità ai propri alunni;
3. individui i criteri per l’attribuzione delle premialità previste dalla Buona Scuola coerentemente
con le competenze previste da un profilo generale di riferimento.
Riferimenti molto generici alle competenze degli insegnanti sono contenuti solo nei contratti
collettivi nazionali di lavoro, dove spesso si parla più dei doveri degli insegnanti che delle loro
competenze, le quali rimangono sempre piuttosto generiche e mal definite.
Il miglioramento della qualità degli apprendimenti degli alunni può essere perseguito solo
investendo sul miglioramento della qualificazione professionale degli insegnanti. Lo sviluppo
iniziale e la revisione in itinere delle competenze professionali degli insegnanti sono aspetti che gli
organismi di ricerca riconoscono di prioritaria importanza per elevare la qualità dei sistemi
d’istruzione dei vari paesi e per incrementare la competitività dell’Europa. La qualità
dell’insegnamento e della professionalità docente sono riconosciute come fattori strategici delle
politiche per l’istruzione e delle politiche per la crescita sociale e, all’interno delle competenze che
un insegnante deve padroneggiare, le competenze progettuali degli insegnanti ricoprono un
ruolo fondamentale per guidare la sua azione didattica in modo intenzionale, sistematico e
riflessivo. Progettare vuol dire partire dall’analisi dell’esistente per proiettarsi verso l’individuazione
di concreti percorsi di trasformazione della realtà nella prospettiva del miglioramento continuo.
Nella scuola esistono diversi livelli di progettazione:
- un livello macro di progettazione, che coinvolge tutto il personale dell’istituzione scolastica, nel
momento in cui essa si riferisce ad una pluralità di attività e servizi formativi;
- un livello micro di progettazione, che riguarda il singolo insegnante o il team docente, relativo
alle attività ordinarie d’insegnamento.
In entrambi i casi la progettazione è sempre “contestualizzata” e “intenzionale". Anche nei casi in
cui essa nasce come “idea creativa”, in seguito deve comunque trasformarsi in azione e in
comportamenti che hanno un loro significato in quanto calati in un contesto reale. L’azione
formativa richiede l’adozione di una metodologia scandita per fasi, in modo da poter prevedere in
anticipo il percorso da realizzare per poi poterlo modificare e implementare se necessario. Dette
fasi prevedono:
1. l’analisi dei bisogni;
2. la definizione degli obiettivi;
3. la struttura generale dei contenuti; 10
4. le strategie e le tecniche didattiche;
5. la valutazione.
La competenza progettuale degli insegnanti prende avvio sempre dalla conoscenza dei contenuti e
della struttura delle Indicazioni nazionali per il curricolo, per poi passare alla definizione di percorsi
progettuali concreti finalizzati allo sviluppo delle competenze in esse contenute.
Una didattica centrata sulle competenze offre nuove opportunità di apprendimento,
sperimentazione e progettazione e pone molteplici criticità per coloro che sono chiamati a
pianificare l'offerta formativa delle scuole. Le criticità devono essere considerate come sfide per il
rinnovamento della didattica e sono:
1. la definizione delle competenze da perseguire e da considerare come traguardi in uscita:
questo problema è stato affrontato con la pubblicazione delle Indicazioni nazionali del 2012 e
altri provvedimenti normativi che hanno definito in maniera precisa i traguardi e le competenze
di base e di cittadinanza che le scuole devono promuovere attraverso la realizzazione del
curricolo d’istituto;
2. la progettazione del curricolo per competenze quale punto di riferimento per orientare e
guidare il lavoro degli insegnanti: per rinnovare il curricolo, le scuole sono tenute a dotarsi di
metodologie e di strumenti per la costruzione partecipata del curricolo, considerando le istanze
nazionali e quelle locali;
3. il rinnovamento della didattica: la progettazione curricolare e l'adozione di nuovi modelli
didattici sviluppano negli alunni la curiosità e la capacità di apprendere ad apprendere,
utilizzando le risorse personali e quelle del contesto per imparare ad agire sui problemi;
4. la ridefinizione degli ambienti di apprendimento: diventa necessario investire sui contesti in cui
si apprende. Una didattica in grado di valorizzare le capacità di ciascun alunno, deve
prevedere un ricorso sempre più diffuso a diverse forme e linguaggi comunicativi, anche
mediante l'apporto delle nuove tecnologie;
5. l’adozione di nuove forme e strumenti di accertamento degli apprendimenti, che prevedono il
ricorso a dispositivi standardizzati o a prove di valutazione autentica centrate su compiti di
realtà in grado di evidenziare diversi livelli di padronanza
Uno dei primi e più significativi progetti condotti dall’OCSE in materia di competenze e scuola è
stato il Progetto DeSeCo (Definizione e Selezione delle Competenze) avviato nel 1997 e
conclusosi nel 2002. Esso ha contributo all’individuazione di un significato condiviso del concetto di
competenza, considerata come la capacità di adempiere alle richieste complesse in un particolare
contesto attivando prerequisiti psicosociali. Possedere una competenza significa non solo avere le
risorse che la compongono, ma anche essere capaci di attivare adeguatamente tali risorse e di
orchestrarle, al momento giusto, in una situazione complessa. Il costrutto della competenza
rimanda alla capacità personale dell'alunno di agire, utilizzando le conoscenze e le abilità apprese,
per la risoluzione di un problema o il conseguimento di un dato obiettivo in una gamma di
situazioni. L'attenzione che oggi viene data al costrutto della competenza ha portato ad associarla
al concetto di prestazione o performance. La competenza viene scomposta in una serie di
prestazioni osservabili e misurabili, la cui sommatoria consente di verificare il livello di padronanza
raggiunta dal soggetto. La riflessione attorno alle competenze si è poi orientata verso approcci che
hanno prestato attenzione alla globalità della persona. Perrenoud sostiene che una competenza
orchestra un insieme di schemi. Uno schema è un insieme costituito che sottende un'azione o
un'operazione unitaria, mentre una competenza mette in atto schemi di percezione, pensiero,
valutazione e azione. Perrenoud richiama la necessità di strutturare l'intervento didattico come
l'orchestrazione di schemi. Uno dei tratti distintivi dell'agire competente consiste nel sapere
“orchestrare” conoscenze e abilità in modo flessibile ed efficace, così da poter intervenire in una
situazione complessa. Secondo Baldacci, nel formare e sviluppare competenze i piani da tenere
sotto controllo sono molteplici, poiché essi rimandano ad “una componente esogena”,
rappresentata dai saperi e dalle abilità disciplinari, e da una “componente endogena”, che ha a che
fare con tratti più personali. Secondo Bateson, esistono tre diversi livelli dell’apprendimento, che
sono contraddistinti dal genere di cambiamento che si verifica:
1. l’apprendimento 1, detto anche protoapprendimento, si caratterizza per una modificazione del
comportamento e della struttura cognitiva del soggetto e corrisponde ai cambiamenti che
vengono generati dall'acquisizione di nuove conoscenze che amplificano la capacità del 11
soggetto di leggere e comprendere il mondo. Esso produce risultati a breve e medio termine ed
è subito visibile e più facilmente rilevabile;
2. l’apprendimento 2, detto anche deuteroapprendimento, rappresenta un'evoluzione ulteriore
dell'apprendimento 1, poiché ne modifica il successivo decorso, rendendolo più rapido,
complesso, articolato e nemmeno circoscritto all'acquisizione di contenuti, regole e nozioni.
Esso si sviluppa parallelamente all’apprendimento 1, non può farne a meno e i suoi risultati
sono visibili nel medio e nel lungo periodo. Le competenze fanno parte di questa tipologia di
acquisizioni;
3. l’apprendimento 3, riconducibile ad un’ulteriore modificazione dell’apprendimento 2, rimanda
ad una formazione ancora più veloce e flessibile di abiti mentali e strategie cognitive che
prevedono l'attivazione di processi metacognitivi, di riflessione e autoanalisi dei processi di
apprendimento e di costruzione del pensiero di ciascun soggetto mette in atto.
La competenza quindi non è un semplice “saper fare”, ma un “saper agire” frutto della
mobilitazione di molteplici risorse, interne ed esterne al soggetto, da applicare in uno specifico
contesto d'azione che può prevedere compiti operativi e intellettuali. Pellerey definisce la
competenza come la capacità di far fronte ad un compito, o a un insieme di compiti, riuscendo a
mettere in moto le proprie risorse interne, cognitive, affettive e volitive e a utilizzare quelle esterne
in modo coerente e fecondo. In questo caso il costrutto della competenza viene analizzato a partire
da 3 dimensioni:
1. la dimensione soggettiva, che rimanda ai significati personali che il soggetto attribuisce alla sua
esperienza di apprendimento;
2. la dimensione intersoggettiva, che riguarda le finalità e gli obiettivi di apprendimento sono tesi
al processo formativo ed esplicitati nella progettazione didattica;
3. la dimensione oggettiva, che si riferisce alle evidenze osservabili e misurabili che attestano la
qualità delle presentazioni del soggetto in termini di risultato.
Le competenze rimandano all’uso di saperi intesi come conoscenze dichiarative (know what) e si
legano al saper fare, espressione di conoscenze procedurali (know how) che si manifestano
attraverso comportamenti precisi, contestualizzati e finalizzati. Esse prevedono un costante
richiamo all’agire che va interpretato come ricorso al fare che include processi riflessivi,
metacognitivi e metaemozionali. Da qui discende un’ulteriore caratteristica della competenza,
ovvero la sua trasferibilità da un contesto d’uso all’altro. Essa è anche un sapere condiviso da una
comunità in quanto mette in campo un sapere riconosciuto. Il sapere condiviso diventa
personalizzato quando il soggetto lo elabora e lo riveste di significati propri. È un sapere che si
manifesta all’esterno. La competenza per esprimersi ha bisogno di un contesto che può essere
disciplinare, professionale o esistenziale.
L’opportunità di dare applicazione ad un modello progettuale per unità di competenza,
denominato UdC Mod., si è concretizzata attraverso un progetto pilota condotto negli anni
2010-2012 grazie alle misure delle Indicazioni nazionali del 2007 e finalizzato a supportare il lavoro
degli insegnanti nella costruzione del curricolo verticale per competenze. Il percorso di ricerca-
formazione è strutturato in due fasi:
- una prima fase dedicata alla costruzione del dispositivo di progettazione per unità di
competenze;
- una seconda fase in cui il dispositivo progettuale è stato sperimentato sul campo.
La prima fase ha coinvolto quasi tutte le scuole primarie e secondarie di primo grado della regione
Toscana e l'obiettivo è stato quello di costruire e invalidare assieme alle scuole un comune modello
di progettazione curricolare per competenze e realizzare unità di competenza che proponessero
percorsi didattici condivisi. Nella seconda fase, il dispositivo di progettazione per unità di
competenza realizzato nella prima fase è stato sperimentato in due progetti. I risultati ottenuti dalle
sperimentazioni hanno dimostrato alla necessità di rafforzare i percorsi di ricerca-formazione sulla
progettazione curricolare per competenze, sia nei percorsi universitari di formazione dei maestri
che all'interno delle scuole con docenti più esperti. Il modello UdC Mod. ha permesso di tradurre a
livello empirico la complessità della progettazione per competenze, attraverso la costruzione di
numerose unità di competenza. Queste ultime, oltre ad essere diventate per molti docenti
strumenti utili da impiegare nella didattica ordinaria, vanno considerate innanzitutto come il frutto
del confronto tra pari, dello scambio di buone pratiche, della condivisione di un'idea di curricolo
inteso come percorso formativo intenzionale costruito sulla costante interazione tra conoscenze, 12
abilità, atteggiamenti e azioni. Grazie alla sinergia tra questi 4 fattori si forma la competenza e
diventa possibile progettare percorsi formativi funzionali alla sua maturazione nel rispetto della
singolarità e delle capacità di ciascun alunno.
Capitolo3: Progettazione per «unità di competenza» e insegnamento della lingua inglese:
dal Common European Framework of Reference alle Indicazioni nazionali
Una lingua, qualsiasi essa sia, è quella cosa che distingue l’essere umano dagli altri esseri viventi.
Quando un essere umano riesce a portare a livello alto la sua competenza nell'espressione orale,
vuol dire che è riuscito a sviluppare al massimo la sua competenza linguistico-comunicativa. Gli
esseri viventi possono comunicare fra loro utilizzato suoni e lo fanno per farsi riconoscere dai loro
simili o per segnalare aree territoriali ben precise…, ma anche se tutto ciò rappresenta un modo
importante di comunicare, come dice Corballis, non costituisce una lingua nel senso in cui gli
esseri umani la intendono. I suoni vocali emessi sono per lo più di tipo emotivo e servono per
segnalare pericoli di aggressione, indicare prodezza sessuale e stabilire e mantenere gerarchie
sociali. Gli esseri umani usano la lingua soprattutto per interagire e influenzare il comportamento
altrui. La lingua ci permette di associare concetti che esistono già nella nostra mente, utilizzando
un insieme di “regole", conosciute nel loro insieme come “grammatica”, chi è presente per lo più a
livello subconscio e che regola tutte le forme naturali del parlato umano. Queste “regole” hanno
poco a che vedere con le regole prescrittive che noi denominiamo “grammatica”. La lingua è unica
e serve all’essere umano per comunicare in modo socialmente connotato. Sul piano metodologico,
il modello della progettazione per unità di competenza ai fini dell'acquisizione e dell'apprendimento
della lingua inglese, ma anche di una qualsiasi altra lingua, nella scuola primaria supporta lo
sviluppo precoce delle competenze linguistiche dei bambini, a livello europeo e a livello nazionale.
I documenti fondamentali per chi si occupa di insegnamento-apprendimento sono: il CEFR/QCER
(2001), l’European Language Portfolio o Portfolio Europeo per le Lingue (ELP/PEL, 2001) e le
Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione (2012), a
fondamento dei quali si trova il concetto di learning to learn. Le Indicazioni nazionali per il Curricolo
fanno riferimento al CEFR, ma la conoscenza del CEFR fra gli insegnanti italiani risulta essere
molto scarsa.
Nel 2001, il Consiglio d’Europa (CoE) pubblica il Common European Framework of Reference
for Language: Learning, teaching, assessment (CEFR) e lancia l’European Language Portfolio
(ELP). Questo è solo l'ultimo contributo a una serie di iniziative a medio-lungo termine promossi
già a partire dagli anni Settanta e che hanno raggiunto il loro culmine negli anni Novanta con la
definizione di “competenza linguistico-comunicativa”. Le suddette iniziative includono una serie di
progetti attivati a livello europeo per diffondere e incrementare un approccio comunicativo
all'apprendimento della “lingua straniera” (L2). L’edizione italiana del CEFR è nota come Quadro
Comune Europeo di Riferimento per le lingue (QCER). Il CEFR è il risultato concreto di una serie
di iniziative che hanno portato ad una seria riflessione sociolinguistica sul concetto di lingua e sulla
funzione che questa ricopre nella società allo scopo di scambiare messaggi e informazioni,
comunicare e interagire in contesti sociali in qualità di “agenti sociali” e raggiungere obiettivi
comunicativi legati al contesto di riferimento. Il CEFR si basa su un approccio attivo, cioè è
centrato sulla comunicazione fra persone in situazioni che possono essere collocate in sfere
d’azione inerenti il focus della comunicazione in atto. Per fare questo il CEFR parte da una
considerazione descrittiva dell’uso comunicativo di una lingua. Il quadro di riferimento del CEFR
costituisce un documento di riferimento flessibile, poiché la lingua viene vista come un qualcosa di
dinamico, fluido e duttile che viene manipolata nella mente e nelle produzioni testuali orali e scritte
di coloro che la usano per scopi comunicativi. Il CEFR è un documento utile per tutti coloro che
rientrano nella categoria degli stakeholders, cioè tutti coloro che per diversi motivi sono in qualche
modo interessati e/o coinvolti nell'apprendimento-insegnamento-valutazione di una lingua. Le
finalità del CEFR possono essere ricondotti agli obiettivi principali del Council of Europe (CoE):
1. raggiungere una maggiore unità fra gli Stati membri tramite azioni comuni a livello culturale, nel
pieno rispetto delle lingue e delle culture europee, al fine di superare ogni possibile carriera per
una comunicazione ricca e condivisa fra popoli diversi;
2. promuovere la mobilità europea, la cooperazione e la comprensione reciproca per sconfiggere
pregiudizi e discriminazioni; 13
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