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PECIAL NEEDS A SCUOLA EDAGOGIA E DIDATTICA INCLUSIVA PER ALUNNI CON DISABILITÀ
Introduzione
Negli ultimi decenni, sul piano normativo le persone con disabilità hanno assistito alla promozione
e alla tutela dei loro diritti, processo che è culminato nella recente sottoscrizione della
Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità. L’Organizzazione Mondiale
della Sanità, negli anni Ottanta del Novecento, ha distinto i concetti di menomazione, disabilità e
handicap, ponendo l’accento sulla valenza sociale di quest’ultimo. La Classificazione
Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF) dell’OMS punta su parole
chiave quali “partecipazione” sociale e “funzionamento” di individui con situazione di salute
particolare. I soggetti che presentano menomazioni, deficit o condizioni di salute particolari
possono versare in condizione di disabilità se i fattori ambientali e/o le circostanze in cui vive
l’individuo non vengono resi accoglienti nei confronti del bisogno educativo speciale. L’accento
viene quindi posto sulla valenza sociale della disabilità e sul contributo che l’ambiente fornisce alla
messa in opera dell’integrazione. L’ICF propone un quadro all’interno del quale descrivere la salute
e gli ambiti ad essa connessi, come l’educazione e il lavoro, e presuppone che gli special needs
siano l’espressione di un’interazione complessa che include variabili di tipo contestuale e
ambientale. In ambito educativo ciò ha comportato un ampliamento della prospettiva di indagine
per individuare strategie e itinerari in grado di far fronte anche ai bisogni educativi speciali dell’età
adolescenziale e adulta, in quanto l’educazione del soggetto disabile deve necessariamente
volgersi all’attivazione di strategie, metodi e risorse speciali al fine di favorire uno sviluppo
orientato alla messa a punto di un progetto di vita incentrato sulla partecipazione sociale. È merito
del Novecento aver portato a maturazione la sfida rappresentata dall’educazione di studenti con
disabilità e con bisogni educativi speciali con politiche di formazione che nel nostro paese si sono
manifestate in un modello inclusivo di integrazione in contesti comuni, prima con l’abolizione delle
classi differenziali nel 1977 e poi con la Legge-quadro 104/1992. Le persone con disabilità
presentano bisogni peculiari, special needs appunto, i quali necessitano risposte educative e
modalità di approccio estremamente sofisticate e differenziate. L’integrazione/inclusione delle
persone con “bisogni educativi speciali” nella scuola e nella società costituisce la punta più
avanzata di un processo culturale in continua evoluzione e avviato verso molteplici e sempre più
aperte soluzioni.
Parte Prima: Didattica e pratiche di inclusione nelle disabilità tradizionali
Capitolo1: L’inclusione nei casi di disabilità uditiva
L’orecchio è l’organo che ci permette di svolgere la funzione dell’ascolto. Esso è composto da tre
parti attraverso le quali l’energia meccanica delle onde sonore provenienti dall’esterno si trasforma
in energia nervosa che fornisce stimoli al cervello:
1. l’orecchio esterno, le cui funzioni sono quelle di individuare la direzione di provenienza e di
condurre i suoni alla membrana del timpano;
2. l’orecchio medio, in cui si trova la catena degli ossicini denominati martello, incudine e staffa e
che hanno la funzione di trasmettere i suoni;
3. l’orecchio interno, dove è presente il vestibolo che è l’organo dell’equilibrio e controlla i
movimenti del corpo.
La corretta percezione uditiva richiede un condotto uditivo che consenta l’accesso delle onde
sonore, una membrana timpanica integra e in grado di vibrare, una catena degli ossicini
perfettamente mobile e la presenza di liquidi dell’orecchio interno in qualità idonea.
La riduzione di udito, in qualunque grado e natura, viene definita con il termine ipoacusia. A
seconda della sede in cui si localizza l’alterazione responsabile della sordità, esse vengono
denominate:
sordità di trasmissione. Quando una riduzione dell’udito è dovuta ad alterazioni del condotto
• uditivo, del timpano o della catena degli ossicini, il tipo di sordità che ne deriva si definisce
trasmissiva. Tale tipo di sordità non può essere mai totale ed è caratterizzata da una perdita di
volume del messaggio sonoro senza fenomeni di distorsione;
sordità percettive o neurosensoriali. La sordità che deriva da alterazioni a carico dell’orecchio
• interno o del nervo acustico viene tradizionalmente detta ipoacusia neurosensoriale; 1
sordità centrali. Questo tipo di sordità deriva da gravi danni localizzati nell’area temporale, ad
• esempio forme tumorali, o da lesioni di tipo vascolare. Chi è affetto da questo tipo di sordità, pur
riuscendo a percepire fisicamente suoni e parole, non riesce ad attribuire loro alcun significato.
L’aspetto quantitativo della sordità è di fondamentale importanza per l’intervento educativo-
didattico da attuare. Per ogni caso di situazione uditiva della persona c’è un intervento
individualizzato, perché per ciascuna situazione diversi e specifici sono i problemi riabilitativi,
educativi e didattici da affrontare.
Il bambino che nasce sordo, o che diventa tale in età prelinguistica, non può apprendere il
linguaggio tramite la normale via dell’udito e, se non viene educato all’apprendimento della parola
parlata per mezzo di metodi speciali, è destinato a diventare sordomuto. La mancanza di parola è
una conseguenza della sordità. In passato, in assenza di conoscenze scientifiche specifiche, la
percezione immediata che in passato si aveva di tali disabili era quella di soggetti primariamente
muti, cioè che mancavano dell’uso della parola. Trisciuzzi rileva che si apprende a parlare quando
sussistono tre condizioni: l’aspetto neurologico, che si lega alla maturazione del sistema fonatorio
e alla capacità discriminatoria dell’udito in quanto è l’udito che regola la voce e ciò significa che chi
non sento non può parlare e quindi il sordomuto è muto perché non sente, l’aspetto intellettivo,
ossia la maturazione intellettiva che comprende la formazione del pensiero simbolico e quella
dell’immagine mentale in quanto il soggetto che parla e quello che ascolta devono avere sviluppata
la capacità di rappresentarsi mentalmente ciò a cui il termine linguistico si riferisce, e l’aspetto
sociale, che concerne il linguaggio come strumento di comunicazione che permette l’interazione
sociale tra individui che usano lo stesso codice linguistico. Il primo caso documentato di
educazione di bambini sordomuti si deve al monaco benedettino spagnolo Pedro Ponce a cui nella
prima metà del Cinquecento vennero affidati due fanciulli di famiglia nobile, sordi dalla nascita. Il
suo metodo si fondava sull’apprendimento della scrittura, in quanto disegno dei suoni alfabetici e
sulla produzione della parola in seguito all’imitazione dei movimenti delle labbra. Sostituendo lo
stimolo visivo a quello uditivo egli insegnava a pronunciare ad una ad una le lettere dell’alfabeto, le
sillabe e le parole. Fu il primo ad affrontare il problema dell’educazione dei sordomuti per mezzo
del metodo orale: a lui si devono, infatti, i primi tentativi di lettura labiale. Partendo dal metodo
orale utilizzato dal Ponce, Bonet per primo elaborò per iscritto i principi teorici e pratici del metodo
orale applicato all’educazione dei sordomuti che consisteva nel ridurre la pronuncia di ogni singolo
fonema ad una posizione articolatoria dell’apparato fonatorio ben precisa e integrando la
comunicazione al sordomuto con l’utilizzo dell’alfabeto manuale. In metodo Bonet si diffuse e fu
perfezionato. Tale metodo però venne sopravanzato in Inghilterra dal metodo mimico-gestuale,
di cui si fecero fautori Wollis ce Holder. Entrambi gli studiosi ritenevano idoneo e più pratico nella
comunicazione tra educatore e allievo sordo l’utilizzo della mimica spontanea e della scrittura. Il
medico italiano Cardano, contemporaneo del Ponce, giunse alla condizione che, sostituendo la
scrittura alla parola, il sordomuto avrebbe potuto intendere leggendo e parlare scrivendo. Con
Cardano nasce l’educazione speciale per i sordomuti. In seguito, tra Seicento e Settecento si
affermarono in Europa i differenti orientamenti di metodo delle scuole tedesca e francese. Quella
tedesca comprese che la loquela è una capacità innata dell’uomo ma, se non viene stimolata
dall’udito, non passa all’atto e il suo rappresentante Amman insegnò a parlare ai sordomuti. Quella
francese fu rappresentata da De l’Epée, fondatore della prima scuola pubblica per l’educazione dei
ragazzi sordomuti, che ideò il metodo epeano o dei segni metodici, in grado di rendere
l’apprendimento dei sordomuti veloce e meno dispendioso di energie. Il metodo didattico si
fondava sulla mimica: De l’Epée prese le mosse dai gesti spontanei che i sordomuti utilizzavano
nella comunicazione tra loro, li perfezionò e ne aggiunse molti altri. Lo studioso fu così in grado di
avviare all’insegnamento numerosi sordomuti. Nel 1880, si riunì il secondo Congresso
Internazionale degli Educatori dei Sordi per confrontarsi e dibattere sui problemi legati
all’educazione dei soggetti affetti da mancanza totale o parziale dell’udito e sui metodi giudicati più
idonei per l’educazione e l’istruzione di tali disturbi. Nel Congresso, per la prima volta venne messa
alla luce il problema sociale dl sordomuto, che ancora oggi rappresenta un nodo cruciale
nell’educazione e nella socializzazione di queste persone: la diatriba tra oralisti da un lato e fautori
del metodo gestuale dall’altro. Ad oggi coesistono due diverse impostazioni di pensiero riguardo
l’adozione di un metodo di insegnamento per i disabili dell’udito: il metodo orale contrapposto al
metodo dei segni metodici, chiamato anche gestuale o mimico. Cronologicamente sorse e si
sviluppò per primo il metodo orale, come metodo di insegnamento che consiste nel sollecitare il 2
bambino sordo all’apprendimento della parola tramite la parola stessa. Nelle persone sorde, il
senso della vista è in grado di veicolare il significato di una comunicazione: la lettura labiale,
accompagnata alla produzione della parola, rende così il sordomuto in grado di interagire con
qualsivoglia interlocutore. Successivamente invece andò affermandosi il metodo dei segni. Ess