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MODELLI PEDAGOGICI
Non esiste un unico modello standard da seguire per l’educazione dei disabili.
Modello medico: tende a focalizzare il difetto, la patologia nel soggetto. I genitori e gli
insegnanti vogliono affidare il bambino disabile ad un sapiente, in modo da poterlo
conoscere. Questo tipo di modello utilizza due “modelli” di classificazione diagnostica:
- ICD, International Classification of Diseases, Injures and Causes of Death, proposto
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità
- DSM, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, elaborato e adottato
dall’Associazione americana degli Psichiatri.
Per riflettere meglio l’evoluzione dei progressi scientifici, questi manuali sono
continuamente posti a revisioni ICD è all’undicesima revisione, il DSM alla quinta.
CRITICHE: Questi manuali rischiano di stare fermi in un’ottica determinata e povera di
prospettive. Un approccio clinico tende a trascurare il ruolo dell’ambiente circostante.
Modello sociale: diversamente dal metodo medico, il metodo sociale non tiene conto solo
delle dimensioni personali, ma anche quelle sociali. Innanzitutto si deve definire i termini. Il
più frequente nella storia è sicuramente il termine “handicap”. Deriva da “han in cup”;
solitamente si intendeva un’azione fatta a svantaggio di qualcuno. Ad esempio, nelle gare
ippiche veniva posto uno svantaggio ai cavalli più forti, come farli partire per ultimi.
Negli anni ’70, l’OMS da una definizione completa del termine: vuole indicare una
condizione di svantaggio vissuta da una persona in seguito ad una menomazione, una
disabilità o un handicap. Tuttavia, l’uso del termina handicap continua a designare un
soggetto come fragile, con meno potenzialità; si è preferito successivamente utilizzare
“persona con handicap”, evitando così che l’handicap designi l’essere della persona. In
realtà però designa la presenza di una caratteristica tra le altre. Si è così passati da
“persona in situazione di handicap”, a “disabile” e “abile diversamente”.
ICD Importante traguardo licenziato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2001.
Si prefigge di fornire un linguaggio unificato e standard per descrivere la salute del
soggetto, definendo le possibili conseguenze e le relative osservazioni. È rivolto a tutti
senza distinzioni di alcun genere tra la popolazione.
Non vi si ritrova l’uso di termini negativi come “handicap”, mentre si preferisce l’uso di
“partecipazione sociale” e il concetto di “disabilità” viene sostituito con quello di “attività”. In
questo modo vuole mettere in luce le abilità del soggetto, e non ciò che non è in grado di
fare per il deficit.
Occorre il concorso di diversi punti di vista (sanitario, familiare, il soggetto stesso,
professionale): tutti questi campi devono fornire le proprie osservazioni e collaborare, al
fine di ottenere una diagnosi il più corretta possibile.
La sua diffusione, tuttavia, ha reso difficile la diagnosi clinica nei soggetti in età evolutiva o
ancor più piccoli, poiché le manifestazioni in un adulto sono differenti da quelli di un bambino.
Per questo motivo si è ideato un modello “parallelo”, chiamato ICF-CY, indirizzato
esclusivamente a bambini e adolescenti, privilegiando l’attività di gioco come funzione
educativa e di apprendimento.
Altro modello, Processo di produzione dell’handicap (PPH): insiste sull’interazione
dei diversi fattori, con la volontà di introdurne di nuovi legati alle abitudini di vita.
Critica al modello ICF: carente per ciò che concerne il campo di interiorità psichica.
Anche gli esponenti dei Disability Studies criticano il modello ICF, affermando che
perpetri l’adozione di criteri normativi di stampo medico e solo in un secondo momento
applicherebbe uno sguardo antropologico, alla persona nel suo essere.
Disabilità a scuola
Minorazione visiva
Il soggetto affetto non è mai spettatore del mondo: questo perché egli non vede. La cecità può
essere:
- Totale il campo visivo binoculare inferiore al 3%
- Parziale campo visivo inferiore a 1/10 del normale
Sul piano educativo e didattico: è necessario fare ricorso agli altri organi sensoriali, in particolar
modo l’udito e il tatto, creando delle attività connesse e adeguate all’uso di questi. Per quanto
rigaurda la scrittura e la lettura, la tecnologia offre l’uso del metodo Braille, così da consentire
l’inclusione nella classe e nel mondo esterno.
Minorazione uditiva
Carenza nell’azione del sentire. Tale deficit provoca la mancata percezione di suoni e rumori
ambientali.
Sul piano educativo e didattico: si promuove il metodo orale, cioè si sollecita il soggetto sordo
all’apprendimento della parola tramite la parola stessa. Un altro metodo è l’uso della lingua dei
segni (metodo dei segni), in uso fluente sia da parte del soggetto che da parte di un
educatore/insegnante. Ancora, il metodo “bimodale” che vede l’uso del gesto e della parola
contemporaneamente.
Ciascun metodo è valido, va a discrezione del soggetto e della famiglia scegliere quale utilizzare.
Autismo
Le conoscenze in merito a questo deficit sono povere e ancora in via di sviluppo. Si tratta di un
disturbo molto complesso da interpretare, per questo si preferisce definirlo con la dicitura “disturbo
dello spettro autistico”. Il termine autismo viene utilizzato per la prima volta nel 1908, grazie a
Kanner. Egli parla di un autismo precoce in età infantile per indicare un complesso di sintomi
presenti in diverso piccoli pazienti: evidenzia la presenza di “isole di abilità”, cioè competenze di
buon livello, capacità “normali” presenti nel soggetto insieme ad altre capacità che sono
compromesse.
Contemporaneamente a lui, Asperger individua una popolazione di piccoli soggetti con sintomi
simili, ma con linguaggio e intelligenza a buoni livelli attualmente la Sindrome di Asperger.
Negli anni ’70 si pensava che il comportamento autistico fosse un meccanismo di difesa attiva del
bambino in seguito all’alterazione del rapporto madre-figlio; tuttavia già verso la fine del decennio
si cambia idea, non dando più la colpa ai genitori, ma definendo una causa organica.
Caratteristiche del disturbo:
- Linguaggio e simbolizzazione vengono compromessi, dunque il soggetto risulta incapace di
interagire emotivamente.
- Il soggetto autistico non è in grado di comprendere i propri stati mentali né quelli altrui.
- Il soggetto non è in grado di cogliere l’intera esperienza, ma rimanendo fermi solo ad alcuni
momenti.
Fra le possibili strategie di trattamento, vi sono:
- L’approccio “ABA”, un modello di intervento intensivo, volto all’acquisizione e
consolidamento delle capacità intellettive, verbali e comportamentali.
- Metodo “TEACCH”, che si focalizza su due linee d’intervento: 1. Potenziamento delle
capacità individuali e 2. Modificazioni dell’ambiente.
- La Comunicazione Aumentativa Alternativa, un insieme di tecniche e strategie volte a
favorire l’intenzionalità espressiva di un soggetto che non parla, cercando di potenziare tutti
glia ltri codici non verbali (sguardo, mimica, gesto, postura, residui vocali, strumenti
tecnologici)
La tecnologia è risultata un ottimo strumento di aiuto per i soggetti autistici, mostrando un trend
positivo di efficacia sugli interventi educativi e riabilitativi.
Il ritardo mentale
Il soggetto riscontra difficoltà nello sviluppo psicomotorio, nel linguaggio, nella capacità di
espressione. Le differenze tra questi e i coetanei consistono in uno sviluppo evolutivo più lento, e
dunque un ritardo nell’acquisizione di conoscenze e nei tempi di evoluzioni propri.
Le cause possono essere prenatali o perinatali (sindrome di Down, processi infettivi durante la
gravidanza, lesioni cerebrali durante il parto) o ancora postnatali (cause ambientali).
È fondamentale, in questo caso, che l’attività educativa prenda conoscenza in modo accurato di
tutto il profilo funzionale del soggetto, facendo particolare attenzione alla funzione intellettiva e alla
storia di vita.
La paralisi cerebrale infantile
In realtà il termine non vuole limitare il disturbo alla sola età infantile, ma piuttosto indica una
comparsa precoce le cui conseguenze si ripercuotono per tutta la vita.
Caratteristiche:
- Paralisi di tutti e quattro gli arti, o solo di quelli inferiori o una parte del corpo.
- Ipertensione muscolare
- Lentezza, disarmonia motoria
Molti disabili presentano alche compromissioni miste: il livello può essere lieve, media o grave.
Per quanto riguarda il trattamento, esso richiede l’approccio di più competenze, multidisciplinare,
che va accordato con la famiglia.
DALLA NASCITA ALL’Età ANZIANA
Distinzione tra individuo e persona:
individuo l’individuale, quello che ci distingue dagli altri, può essere rappresentato da un danno
fisico, psichico o intellettivo;
Persona va sempre oltre i dati e le compromissioni, è l’essere vita reale di una persona.
Per garantire dunque la dignità di persona all’individuo disabile serve il ricorso all’etica anteriore:
accesso al livello morale, sollecitando l’accettazione e la valorizzazione dell’altro in quanto
portatore di umanità senza condizioni, qualunque siano le caratteristiche proprie della sua identità.
Dentro l’individuo compromesso, infatti, c’è sempre la persona in primis, con tutte le sue
esigenze emotive, affettive, esperienziali proprie.
Tuttavia, la persona abile o dis-abile non bastano a sé stesse. Perché il riconoscimento avvenga
nel modo migliore, sono necessarie le relazioni di mutuo riconoscimento; in particolare si
riconoscono utili 3 sfere di riconoscimenti:
1. Relazioni primarie, cioè quelle che riguardano la famiglia e le amicizie. Rapporti affettivi che
conferiscono fiducia in sé.
2. Relazioni giuridiche, basate sul diritto; il singolo diventa portatore di diritti considerando i
propri atti come una manifestazione accettata e rispettata da tutti rispetto di sé.
3. Comunità etica, cioè il riconoscimento all’esercizio delle proprie capacità; il soggetto viene
considerato per i suoi valori sociali, guadagnando autostima.
Nonostante tutto, il riconoscimento più difficile sta nelle persone “normali” vedere le cose buone, le