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Le origini della contrapposizione oppressi/oppressori è in un atto di violenza degli
oppressori che si tramanda di generazione in generazione.
Sono gli oppressori a generare violenza anche se ne riversano le cause negli
oppressori. La ribellione degli oppressori è invece atto d’amore perché la loro
violenza non è per la sopraffazione ma per la liberazione loro e degli oppressori
stessi. Il grande compito umano e storico degli oppressi è liberare sé stessi e i
propri oppressori.
Per liberarsi hanno bisogno di acquisire la coscienza critica dell’oppressione.
(inserzione critica) (prassi)
Riflessione e azione devono legarsi perché si possa
giungere alla liberazione.
2. La contraddizione oppressi/oppressori e il suo superamento
La scoperta della condizione oppresso/oppressore negli oppressi può portare a esiti
diversi rispetto alla lotta per la libertà:
- Gli oppressi non cercano la liberazione ma, possedendo l’ideologia dominante
e conoscendo solo il modello dell’oppressore come possibilità di essere uomini
dell’aderenza all’oppressore),
(fenomeno tenderanno ad essere oppressori o a
cercare di divenir tali. Non si aspira al superamento della contraddizione ma
alla sua inversione.
- Paura della libertà perché non si sentono capaci di correre il rischio di
assumerla, o paura di maggiori repressioni.
Questo significa che riconoscersi oppressi non vuol dire ancora liberazione. Si
supera la contraddizione in cui ci si trova solo quando il riconoscersi oppressi
impegna nella lotta per liberarsi.
Lo stesso nell’oppressore: scoprirsi oppresso e soffrirne non vuol dire diventare
solidali con l’oppresso. Può portare a due forme false di generosità:
- Quella di chi dona mantenendo gli oppressi nel loro stato, non muovendosi
verso il cambiamento
- Quella di chi pur volendo la liberazione degli oppressi, si porta dietro
pregiudizi dall’ideologia dominante e pretende di sostituirsi agli oppressi per
liberarli (perché non crede nel popolo), impossibilitando la liberazione.
per con
Solo l’atteggiamento di chi lotta non loro ma loro, di chi sa riconoscere le
capacità riflessive del popolo e da queste parte è veramente co-partecipe del
processo di liberazione degli oppressi.
3. La situazione concreta di oppressione e gli oppressori
La coscienza degli oppressori è possessiva, tendono a trasformare ogni cosa in
oggetti del loro dominio. Ne deriva una concezione materialista dell’esistenza:
essere è avere e il denaro è misura di tutte le cose. Loro stessi affogando nel
possesso e nella ricerca d’avere finiscono per non essere più.
Avere di più, con esclusività, è per loro un diritto conquistatosi; al contrario degli
invidiosi, incapaci e pigri visti come nemici potenziali e oggetto di controllo.
Tendenza che si identifica con quella sadica.
Quando la liberazione è in corso gli oppressori non si riconoscono in via di
liberazione, qualunque restrizione ai loro privilegi in nome dei diritti di tutti sembra
una violenza al loro diritto di persone (spiegabile sulla base dell’ideologia di
oppressori che portano in loro).
Possono essere: sfruttatori, spettatori passivi, eredi dello sfruttamento.
4. La situazione concreta di oppressione e gli oppressi
Vivono l’ideologia degli oppressori nel: fatalismo relativo alla loro condizione,
nell’aggressione, nell’attrazione irresistibile verso l’oppressore,
nell’autosvalutazione, nella dipendenza emotiva dall’oppressore. Finché non
prendono autocoscienza non possono liberarsi.
5. Liberazione nella comunione
La pedagogia dell’oppresso è uno degli strumenti di questa scoperta critica: gli
oppressi che scoprono sé stessi e riconoscono gli oppressori come tali. Essa è
umanistica e liberatrice. Diviene pedagogia dell’uomo col superamento della
distinzione oppresso/oppressore.
L’oppressore che diventa realmente solidale può aiutare questa presa di coscienza
attraverso il dialogo critico e liberatore. Avere fede nell’uomo oppresso e nella sua
capacità critica. La convinzione degli oppressi di dover lottare deve essere il
risultato della loro coscientizzazione non di slogan. Gli oppressi devono lottare
come persone e non come “cose”.
La pratica deve quindi avvenire attraverso una pedagogia umanizzante in cui il
metodo è la stessa coscienza e non attraverso slogan. Vi deve essere una co-
intenzionalità e una co-partecipazione, un impegno, non una pseudo-
partecipazione.
Capitolo Secondo: l’educazione problematizzante.
1. La concezione “depositaria” dell’educazione
- Rapporti educatore/educando nozionistici e narrativi; Non c’è comunicazione;
l’educando è semplice vaso da riempire.
- Non c’è atto conoscitivo, ma solo memorizzare ciò che l’insegnante narra. Non
esiste trasformazione, creatività, non vi è scoperta del sapere.
- Si basa sull’assolutizzazione dell’ignoranza (che è solo dell’educando) e sulla
rigidità delle posizioni. Mantiene e stimola la contrapposizione in modo
funzionale agli oppressori.
- Non favorisce la riflessione critica e la coscientizzazione ma l’adesione passiva
al mondo, l’immobilismo, la negazione della vocazione all’essere “di più”.
Impedisce di essere anche all’educatore (non si può essere con autenticità
mentre si impedisce che gli altri siano).
- Propone una concezione che separa uomo e mondo, che concepisce il mondo
come statico e gli uomini non come esseri storici ma astratti.
2. La concezione “problematizzante” dell’educazione e la liberazione
- è atto di conoscenza che supera la condizione educatore/educando; è basata
sul dialogo e sull’educazione in comunione, attraverso la mediazione del
mondo dove gli educandi sono ricercatori critici
- Parte dalla storicità degli uomini, dal loro essere in divenire e dalla
consapevolezza dell’incompletezza; recupera il legame uomo-mondo e la
visione del mondo come in mutamento, come sfida e processo per muovere
alla vocazione all’essere di più, al rivoluzionare il futuro.
- ciò che prima era percepito oggettivamente ora è sfida, base per l’azione e la
trasformazione creatrice: pratica la libertà ed è a favore d’essa
Capitolo Terzo: il metodo.
1. Dialogicità e dialogo
Quando si penetra nel dialogo si scopre ch’esso è parola. Suoi elementi costitutivi:
riflessione e azione. Non esiste parola che non sia prassi. Se manca uno degli
elementi: attivismo o verbosità. L’esistenza non può essere muta, ma non può
nemmeno riempirsi di queste due forme vuote di parola. Quindi parlare è diritto di
tutti; e si fa con l’altro. Ecco perché parlare è dialogo. Non c’è dialogo senza:
- Amore per il mondo e gli altri. È impegno per la liberazione altrui. Ma è un
impegno dialogico; non è sostituirsi all’altro o conquistarlo ma a conquistare il
mondo assieme agli altri.
- Umiltà che nega l’autosufficienza
- Fede negli uomini e fiducia
- Speranza
- Pensiero vero e critico
2. Il dialogo comincia nella ricerca del contenuto programmatico dell’educazione
Questo contenuto non può essere un messaggio salvifico in forma di contenuto da
depositarsi (falsa generosità), non è un’invasione culturale.
Il contenuto deve essere organizzato a partire dalla situazione presente e concreta
del popolo, composto da esseri in situazione. Esso deve mirare a coscientizzare il
popolo circa la sua situazione, porgliela come problema e sfida di cambiamento.
Quindi il contenuto non è una scelta esclusiva dell’educatore ma di lui e del popolo;
va cercato nella realtà mediatrice e nella coscienza che abbiamo d’essa. Qui ha
dell’universo tematico
inizio il dialogo e si realizza l’indagine del popolo, l’insieme
temi generatori.
dei suoi
3. I rapporti uomini/mondo, i “temi generatori” e il contenuto programmatico di
questa educazione
La metodologia è dialogica e coscientizzante. L’oggetto della ricerca non sono gli
uomini, ma il loro pensiero-linguaggio, la loro percezione della realtà, la loro visione
del mondo, in cui si trovano coinvolti i “temi generatori”. Ricercare il tema
generatore significa ricercare il pensiero degli uomini riferito alla realtà.
L’investigazione del pensiero del popolo non può essere fatta senza il popolo, ma
con lui, in quanto soggetto del suo pensare.
[Parentesi circa l’esistenza dei temi generatori: L’uomo si distingue dall’animale
perché essere che non si identifica con la propria attività e col mondo e proprio per
questo ha capacità decisionale e coscienza di questo, può agire per superare le
situazioni-limite che si presentano e modificare il mondo, umanizzarlo.]
L’essere umano con la sua attività non produce solo beni materiali ma anche
istituzioni, idee e concezioni. La rappresentazione concreta di questi idee, valori,
concezioni costituiscono i temi dell’epoca.
I temi sono in relazione e contraddizione dialettica tra loro e di fronte a questo
universo tematico minimo (temi e loro relazioni) gli uomini prendono le loro
posizioni, anche esse contraddittorie, realizzando compiti a favore del
cambiamento/mantenimento delle strutture.
Fino a che i temi si presentano come opachi, ricoperti dalle situazioni-limite;
appaiono come immodificabili e nascondono le possibilità ancora inedite di azione.
L’azione liberatrice deve quindi tener conto non solo dei temi generatori ma anche
della percezione che si ha d’essi.
Nella ricerca del tema generazione se dialogica e collaboratrice inizia una forma
critica di pensiero. Più gli uomini sono attivi nella ricerca della tematica più
prendono coscienza della realtà e se ne appropriano. Nella riflessione la realtà
smetterà loro di sembrare opaca e avvolgente e arriveranno a percepirla come
situazione oggettivo-problematica; comincerà così il loro impegno per la
trasformazione. Dall’immersione in cui si trovano, emergono, rendendosi capaci di
inserimento nella realtà che si va rivelando.
In questo senso ogni ricerca è coscientizzatrice e inizio del dialogo.
4. La ricerca dei “temi generatori” come fattore di coscientizzazione
Compito del ricercatore: elaborare questo universo tematico e restituirlo come
situazione problematica, non come dissertazione. Il ricercatore lavora assieme ad
altri due specialisti e a