vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Vivono l’ideologia degli oppressori nel: fatalismo relativo alla loro condizione,
nell’aggressione, nell’attrazione irresistibile verso l’oppressore,
nell’autosvalutazione, nella dipendenza emotiva dall’oppressore. Finché non
prendono autocoscienza non possono liberarsi.
5. Liberazione nella comunione
La pedagogia dell’oppresso è uno degli strumenti di questa scoperta critica: gli
oppressi che scoprono sé stessi e riconoscono gli oppressori come tali. Essa è
umanistica e liberatrice. Diviene pedagogia dell’uomo col superamento della
distinzione oppresso/oppressore.
L’oppressore che diventa realmente solidale può aiutare questa presa di coscienza
attraverso il dialogo critico e liberatore. Avere fede nell’uomo oppresso e nella sua
capacità critica. La convinzione degli oppressi di dover lottare deve essere il
risultato della loro coscientizzazione non di slogan. Gli oppressi devono lottare
come persone e non come “cose”.
La pratica deve quindi avvenire attraverso una pedagogia umanizzante in cui il
metodo è la stessa coscienza e non attraverso slogan. Vi deve essere una co-
intenzionalità e una co-partecipazione, un impegno, non una pseudo-
partecipazione.
Capitolo Secondo: l’educazione problematizzante.
1. La concezione “depositaria” dell’educazione
- Rapporti educatore/educando nozionistici e narrativi; Non c’è comunicazione;
l’educando è semplice vaso da riempire.
- Non c’è atto conoscitivo, ma solo memorizzare ciò che l’insegnante narra. Non
esiste trasformazione, creatività, non vi è scoperta del sapere.
- Si basa sull’assolutizzazione dell’ignoranza (che è solo dell’educando) e sulla
rigidità delle posizioni. Mantiene e stimola la contrapposizione in modo
funzionale agli oppressori.
- Non favorisce la riflessione critica e la coscientizzazione ma l’adesione passiva
al mondo, l’immobilismo, la negazione della vocazione all’essere “di più”.
Impedisce di essere anche all’educatore (non si può essere con autenticità
mentre si impedisce che gli altri siano).
- Propone una concezione che separa uomo e mondo, che concepisce il mondo
come statico e gli uomini non come esseri storici ma astratti.
2. La concezione “problematizzante” dell’educazione e la liberazione
- è atto di conoscenza che supera la condizione educatore/educando; è basata
sul dialogo e sull’educazione in comunione, attraverso la mediazione del
mondo dove gli educandi sono ricercatori critici
- Parte dalla storicità degli uomini, dal loro essere in divenire e dalla
consapevolezza dell’incompletezza; recupera il legame uomo-mondo e la
visione del mondo come in mutamento, come sfida e processo per muovere
alla vocazione all’essere di più, al rivoluzionare il futuro.
- ciò che prima era percepito oggettivamente ora è sfida, base per l’azione e la
trasformazione creatrice: pratica la libertà ed è a favore d’essa
Capitolo Terzo: il metodo.
1. Dialogicità e dialogo
Quando si penetra nel dialogo si scopre ch’esso è parola. Suoi elementi costitutivi:
riflessione e azione. Non esiste parola che non sia prassi. Se manca uno degli
elementi: attivismo o verbosità. L’esistenza non può essere muta, ma non può
nemmeno riempirsi di queste due forme vuote di parola. Quindi parlare è diritto di
tutti; e si fa con l’altro. Ecco perché parlare è dialogo. Non c’è dialogo senza:
- Amore per il mondo e gli altri. È impegno per la liberazione altrui. Ma è un
impegno dialogico; non è sostituirsi all’altro o conquistarlo ma a conquistare il
mondo assieme agli altri.
- Umiltà che nega l’autosufficienza
- Fede negli uomini e fiducia
- Speranza
- Pensiero vero e critico
2. Il dialogo comincia nella ricerca del contenuto programmatico dell’educazione
Questo contenuto non può essere un messaggio salvifico in forma di contenuto da
depositarsi (falsa generosità), non è un’invasione culturale.
Il contenuto deve essere organizzato a partire dalla situazione presente e concreta
del popolo, composto da esseri in situazione. Esso deve mirare a coscientizzare il
popolo circa la sua situazione, porgliela come problema e sfida di cambiamento.
Quindi il contenuto non è una scelta esclusiva dell’educatore ma di lui e del popolo;
va cercato nella realtà mediatrice e nella coscienza che abbiamo d’essa. Qui ha
dell’universo tematico
inizio il dialogo e si realizza l’indagine del popolo, l’insieme
temi generatori.
dei suoi
3. I rapporti uomini/mondo, i “temi generatori” e il contenuto programmatico di
questa educazione
La metodologia è dialogica e coscientizzante. L’oggetto della ricerca non sono gli
uomini, ma il loro pensiero-linguaggio, la loro percezione della realtà, la loro visione
del mondo, in cui si trovano coinvolti i “temi generatori”. Ricercare il tema
generatore significa ricercare il pensiero degli uomini riferito alla realtà.
L’investigazione del pensiero del popolo non può essere fatta senza il popolo, ma
con lui, in quanto soggetto del suo pensare.
[Parentesi circa l’esistenza dei temi generatori: L’uomo si distingue dall’animale
perché essere che non si identifica con la propria attività e col mondo e proprio per
questo ha capacità decisionale e coscienza di questo, può agire per superare le
situazioni-limite che si presentano e modificare il mondo, umanizzarlo.]
L’essere umano con la sua attività non produce solo beni materiali ma anche
istituzioni, idee e concezioni. La rappresentazione concreta di questi idee, valori,
concezioni costituiscono i temi dell’epoca.
I temi sono in relazione e contraddizione dialettica tra loro e di fronte a questo
universo tematico minimo (temi e loro relazioni) gli uomini prendono le loro
posizioni, anche esse contraddittorie, realizzando compiti a favore del
cambiamento/mantenimento delle strutture.
Fino a che i temi si presentano come opachi, ricoperti dalle situazioni-limite;
appaiono come immodificabili e nascondono le possibilità ancora inedite di azione.
L’azione liberatrice deve quindi tener conto non solo dei temi generatori ma anche
della percezione che si ha d’essi.
Nella ricerca del tema generazione se dialogica e collaboratrice inizia una forma
critica di pensiero. Più gli uomini sono attivi nella ricerca della tematica più
prendono coscienza della realtà e se ne appropriano. Nella riflessione la realtà
smetterà loro di sembrare opaca e avvolgente e arriveranno a percepirla come
situazione oggettivo-problematica; comincerà così il loro impegno per la
trasformazione. Dall’immersione in cui si trovano, emergono, rendendosi capaci di
inserimento nella realtà che si va rivelando.
In questo senso ogni ricerca è coscientizzatrice e inizio del dialogo.
4. La ricerca dei “temi generatori” come fattore di coscientizzazione
Compito del ricercatore: elaborare questo universo tematico e restituirlo come
situazione problematica, non come dissertazione. Il ricercatore lavora assieme ad
altri due specialisti e a un’equipe locale in cui partecipa anche il popolo.
1. Accanto alla ricerca comune dei temi, il ricercatore osserva momenti significativi
del popolo e redige una relazione che sarà discussa dall’equipe. Anche qui si ha
una decodifica della realtà codificata: i partecipanti rivedono la loro precedente
maniera di oggettivare la realtà. Ci si avvicina così ai nuclei tematici delle
contraddizioni principali.
2. I ricercatori scelgono alcune di queste contraddizioni e, tenendo conto del grado
di percezione di esse nel popolo, elaborano delle codificazioni problema vicine
alla realtà dei soggetti, non troppo elaborate/semplici, che si aprano a “ventaglio
tematico”; che vengano percepite come sfide da decodificare.
3. Preparate le codificazioni, i ricercatori iniziano nei “circoli di ricerca tematica” le
decodificazioni attraverso il dialogo (alcolismo).
4. Infine, i ricercatori iniziano lo studio delle loro scoperte e organizzano i temi in un
quadro generale di scienze, li delimitano (“riduzione” della tematica) e li
codificano (giornali, rappresentazione teatrale, intervista…). Finalmente si
restituisce la tematica al popolo che la sente propria perché da lui è sorta.
Basandosi sul dialogo si tratteranno i temi-cardine.
Capitolo Quarto: teorie dell’azione culturale dialogiche e antidialogiche
(teorie d’azione di cui le due classi hanno bisogno; l’una tende alla dominazione,
l’altra alla liberazione).
1. Dialogo e antidialogo
La leadership non può esistere senza l’azione e la riflessione del popolo (la sua
prassi) proprio perché il negargliele è della classe dominante e opporrebbe la
leadership al popolo, ma se la classe dominante esiste solo in opposizione al
popolo; la leadership rivoluzionaria non è tale se non con il popolo. Indispensabile
quindi il dialogo, la comunicazione, la solidarietà tra leadership e masse oppresse.
Senza queste o le masse si addomesticano agli slogan della leadership e si realizza
una rivoluzione inautentica; o si impauriscono di fronte a una parola che minaccia
l’oppressore che è in loro. Proprio per questo la leadership deve dialogare con le
masse e portarle a coscienza dei falsi miti che la classe dominante usa per
dominarle. Chi pensa che il dialogo con le masse sia possibile solo dopo la
rivoluzione nega il carattere pedagogico e di rivoluzione culturale della rivoluzione
stessa.
2. La teoria dell’azione antidialogica e le sue caratteristiche
2.1 La conquista.
L’azione di conquista è necrofila, porta a possedere il conquistato e a imprimergli la
propria forma. Il conquistato che la assume diviene quindi un essere ambiguo.
L’anti-dialogo si configura come meccanismo per mantenere e aumentare la
conquista: si ruba all’oppresso la possibilità di esprimersi, la sua cultura, la loro
possibilità di oggettivare il mondo. Non potendolo oggettivare vengono offerti ai
conquistati dei falsi miti del mondo che servono a mantenerle passive, miti che
vengono comunicati ad essi non con “comunicazione” ma con “comunicati”
deposito.
2.2 Dividere per dominare
I conquistati, essendo la maggioranza, vanno divisi perché non si uniscano in una
lotta comune. Ciò attraverso forme di azione che focalizzano aspetti parziali
(&ldqu