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CAPITOLO 4 – LA COMUNITA’: CRITICITA’ E PROSPETTIVE DI PROMOZIONE
La difficile identificazione del “bene comune”
Nella contemporaneità è centrale la questione del bene comune.
o Il bene comune, nella concretezza degli accadimenti storici, è sempre stato un bene comune
o parziale, che ha comportato l’inclusione per alcuni e l’esclusione per altri.
Riportando il discorso sulle prospettive della comunità, possiamo notare che il passaggio dalle
o forme comunitarie tradizionali alla modernità ha comportato una profonda
riformulazione della pratica e della percezione del bene comune.
Mentre in precedenza il bene comune poteva coincidere col benessere materiale della collettività
o ristretta nella quale gli individui erano inseriti, ed era, quindi, un bene comune che era dato e
acquisito dalla storia e dalla cultura della comunità, in seguito il bene comune è diventato meno
immediatamente evidente e ha dovuto essere delineato, legittimato e giustificato.
1
La modernità ha comportato che il bene comune sia diventato qualcosa di più concettuale
o ed astratto, lontano dalla materialità del periodo precedente.
Esso si è scomposto in una serie di ‘beni comuni’ che, interessando tutti i livelli intermedi, va
o dal bene individuale al bene comune relativo all’intera società.
Il problema diventa allora quello di individuare un bene comune collocato ad un livello
o intermedio comunitario.
Il breve termine
La comunità, per strutturarsi ed essere percepita e praticata dai suoi membri, ha bisogno di
o tempo.
La questione, affrontata in particolare da Sennett (sociologo statunitense contemporaneo), è
o quella di conciliare il bisogno di tempo della costruzione comunitaria con l’imperante
“breve periodo” che coinvolge ogni aspetto delle società postfordiste.
Sennett si chiede come si possano costruire rapporti sociali durevoli in tali società e questo
o costituisce un elemento di criticità per la costruzione della comunità.
Quanto può costare il noi all’io
Un’ulteriore questione riguarda il fatto che la comunità può essere interessata dal rapporto
o conflittuale tra interesse individuale ed interesse generale, tra l’autonomia del singolo e il
sacrificio dell’autonomia che la comunità può chiedere ai suoi membri.
Se da un lato, in una società che ha dilatato la dimensione individuale, si accentua il bisogno e la
o nostalgia del ‘noi’ e la comunità può costituire una risposta al bisogno di appartenenza e di
identità collettiva forte, dall’altro è pure vero che tale risposta comporta dei costi.
Come sottolinea Bauman (sociologo e filosofo polacco), una comunità realmente esistente
o reclama ubbidienza assoluta in cambio dei servizi erogati o che promette di erogare.
Quindi la comunità appare senza controindicazioni fin che rimane nel campo delle aspirazioni e
o dei desideri, ma nel momento della sua concreta realizzazione richiede in cambio il pagamento
di un prezzo in termini di libertà individuale e di autonomia (= governarsi con leggi proprie).
Secondo Bauman, la soggettività e l’autonomia minano le basi stesse della comunità.
o Sebbene le precedenti riflessioni si adattino meglio alle comunità ‘pesanti’, anche quelle
o ‘leggere’ potrebbero non risultarne indenni.
La famiglia debole 1
Un ulteriore fattore su cui riflettere è rappresentato dalle modificazioni intervenute nella
o famiglia, considerata il principale elemento costitutivo dell’organismo comunità e il luogo
principale in cui i soggetti vengono educati ad essa (socializzazione).
La famiglia è un sistema di relazioni nel quale una parte dei legami sono dati, preesistenti
o all’individuo, e non cercati.
Storicamente, la famiglia rientra nei discorsi relativi alla comunità quando è allargata, cioè
o quando è costituita da un sistema di legami primari effettivamente vissuti, che configura
un ‘clan’ collocato in ambiti territoriali di dimensioni e dinamiche tali da configurare
un’effettiva pratica comunitaria.
Considerare oggi il rapporto tra famiglia e comunità significa considerare una serie di fattori
o che interessano la famiglia stessa:
• La riduzione del numero dei membri del nucleo familiare con la conseguente
riduzione quantitativa della rete familiare;
• Prevalenza delle famiglie in cui convivono due sole generazioni (genitori e figli);
• Crescente mobilità dei discendenti che tendono ad allontanarsi dal nucleo familiare
originario. Ciò comporta lo spalmarsi delle famiglie su spazi territoriali più ampi e
la minore condivisione di progetti e azioni in spazi limitati;
• Moltiplicazione delle storie familiari degli individui e quindi riduzione delle
possibilità di coesione familiare in senso comunitario e difficoltà di costruire storie
familiari di lungo periodo.
Per tutti i precedenti motivi, oggi la famiglia tradizionale costituisce una base sempre meno
o solida per le dimensioni comunitarie.
L’inserimento della famiglia ristretta in una rete relazionale di tipo comunitario può comunque
o corrispondere ad un’intenzione praticata da alcuni membri o dalla totalità della famiglia stessa.
La conseguenza è la costituzione di relazioni tra famiglie che cercano di solidificarsi in base ad
appartenenze, storie comuni, ecc. Si pensi, ad esempio, ai gruppi di famiglie che frequentano la
stessa parrocchia o i cui figli frequentano la stessa scuola.
Ciò che conta ricordare è che se in precedenza le reti di legami familiari erano la base per la
o costituzione spontanea di comunità, oggi tali reti devono essere intenzionalmente attivate.
La comunità e la legge
Ovviamente le comunità devono rispettare la legge esistente in un dato tempo e Paese, che
o vincola tutti i soggetti individuali e collettivi. 1
La questione del rapporto tra comunità e legge si riassume nella domanda: esiste una legge
o comunitaria da ritenersi superiore alle altre leggi?
All’interno di questa questione, si pone la riflessione sui conflitti che si generano quando
o sorge una contrapposizione tra la ‘legge’ particolare di una comunità e le leggi della
società in cui essa è inserita.
Per alcune di tali conflittualità, come quella che si genera tra la società legale e le
o organizzazioni illegali (ad esempio i clan mafiosi), la questione appare chiara: le norme illegali
comunitarie non hanno alcun diritto di cittadinanza nella società legale.
Diversa è la situazione che si pone nel caso in cui il conflitto riguardi comunità che hanno pieno
o diritto di cittadinanza e che si ritengono, o sono ritenute, portatrici di una cultura comunitaria in
grado di orientare la definizione delle leggi della collettività nazionale.
Si tratta di una situazione che risulta frequente oggi, in tempi di importanti flussi migratori. Si
o pensi, ad esempio, al conflitto tra le leggi di molti Stati occidentali e le norme della religione
islamica in tema di poligamia, uso del velo, rifiuto di determinate terapie mediche.
In Italia il conflitto si è anche posto tra le norme dello Stato e i principi del cattolicesimo,
o religione storicamente prevalente nel nostro Paese.
La situazione paradigmatica è quella relativa alla legge 194 che regola l’interruzione
o volontaria della gravidanza. Il conflitto, in questo caso, è stato risolto consentendo l’obiezione
di coscienza al personale sanitario nei confronti della partecipazione alle pratiche connesse
all’interruzione della gravidanza.
La questione del federalismo
La comunità è tornata alla ribalta nel nostro Paese anche a causa della tendenza attuale verso il
o federalismo che ha, a volte, prodotto un conflitto tra un livello politico e amministrativo
superiore e uno inferiore: Stato contro regioni, regioni contro province, province contro comuni,
ecc.
Si tratta di un processo di progressiva delimitazione comunitaria che potrebbe arrestarsi solo
o una volta giunti alla famiglia.
Considerando un esempio legato alla realtà italiana, non si capirebbe come, dopo aver teorizzato
o una comunità padana migliore di quella italiana, non si dovrebbe teorizzarne una lombarda
migliore di quella padana, quindi una bergamasca migliore di quella lombarda e così via fino ad
arrivare alla famiglia.
Si tratta di un processo destinato a mostrare i limiti di una riflessione federalista in tempi di
o globalizzazione. 1
Comunità e democrazia
Qualsiasi ragionamento sulla comunità deve obbligatoriamente fare i conti con la questione
o della democrazia e viceversa.
Porre la questione del rapporto tra comunità e democrazia e del rischio che non si sviluppino
o sempre e comunque comunità virtuose, rende necessario riflettere criticamente sul fatto di
considerare la scelta comunitaria come la migliore tra le possibili ed evidenziare anche
tutti gli aspetti negativi connessi alla comunità stessa.
Occorre, considerando in particolare il campo politico, affrontare temi come il rapporto tra
o potere locale e potere nazionale e quello delle forme della rappresentanza e della partecipazione.
Oggi la politica sembra essere in crisi e, all’interno della ricerca di nuove e migliori forme di
o partecipazione politica, la comunità può essere percepita e praticata come una delle migliori
risposte alla crisi.
In questo senso, la comunità si presenta come luogo della democrazia più diretta, che
o consente una partecipazione costante e una valutazione e verifica immediata dei
comportamenti dei delegati e dei deleganti.
L’araba fenice
Sebbene appaia come certa la forza e la capacità rigenerativa della comunità, non sembra però
o esservi testimonianza della sua realtà.
Ma ciò può essere anche poco importante, se si considera che il valore della comunità non sta
o tanto nella sua effettiva raggiungibilità, ma nella sua capacità di dare direzione e senso ai
movimenti individuali e collettivi volti al futuro.
Di fatto, promuovere, scoprire, potenziare la comunità dovrebbe essere un compito prioritario
o per tutti coloro che hanno a cuore le sorti della convivenza tra le persone e la persistenza e
l’ampliamento del sistema di protezione sociale.
Martini e Sequi ritengono che lavorare per la comunità sia giustificato dalla pochezza
o relazionale e comunicativa presente oggi, in particolare, nelle metropoli. Per questi autori,
occorre trasformare il territorio in comunità se si vuole essere capaci di rispondere ai bisogni
delle persone.
Oggi la comunità non è un dato