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F) Le dimensioni collettive

Le dimensioni collettive generano nei soggetti un senso di appartenenza e di comunità. Esse presentano

una componente educativa sotto tre aspetti:

1. intenti educativi espliciti ed intenzionali rivolti ai propri membri;

2. aspetti non intenzionali e non formali, connessi alla modalità di partecipazione e alla struttura

organizzativa;

3. eventuali attività di proselitismo (= tentativo di far condividere ad altri la propria concezione di vita)

prodotte dall’organizzazione.

Tra le dimensioni collettive ricordiamo:

● la dimensione politica, che è educativa perché prevede un progetto di società, una formula

organizzativa e un programma. Ciò implica l’esistenza di una prassi educativa capace di

produrre un’ampia adesione al progetto;

● la dimensione religiosa, che è educativa perché esplicita una concezione del mondo, dei valori

e dei comportamenti;

● esperienze di carattere volontaristico e solidaristico;

● associazionismo culturale, professionale, ricreativo e sportivo.

G) Le cose

Pasolini afferma che le cose, specialmente nella prima fase della vita, rappresentano un’importante fonte

educativa.

Le cose (gli oggetti materiali) che circondano le persone contribuiscono a creare un ambiente vissuto

come dato e “naturale”. Si tratta di elementi alle quali le persone riconoscono un valore educativo solo

in seguito a un successivo ripensamento.

La vita è educazione? 11

Sorgono spontanee alcune domande:

1) Qualsiasi atto relazionale e comunicativo e qualsiasi evento possono essere considerati

educativi?

Secondo Bertolini, moltissimi sono gli eventi che possono essere definiti educativi. Infatti sono moltissimi

quelli che generano trasformazioni negli individui e quindi provocano una loro crescita e un loro

sviluppo.

Occorre però che il soggetto a cui è rivolto l’intervento educativo, si mostri ricettivo e disponibile.

2) Esistono sovrapposizioni tra vita e educazione?

La risposta può essere sia positiva che negativa:

1. positiva se si considerano tutte le possibili sfumature di formalizzazione e intenzionalità. In questo

senso qualsiasi esperienza è potenzialmente educativa.

2. negativa se si prendono in considerazione solo le esperienze intenzionalmente educative, cioé quelle

esperienze nelle quali c’è la volontà di un soggetto di educare un altro soggetto, indipendentemente dal

fatto che quest’ultimo sia d’accordo..

Papi, riferendosi all’educazione dei bambini, afferma che, nonostante la scuola, la maggior parte di essi

imparano soprattutto dalla realtà che li circonda.

In questo senso, tutta la vita delle persone è attraversata da esperienze educative.

Affermare che i confini della vita e quelli dell’educazione coincidano, non comporta necessariamente la

conseguenza che la vita sia educazione. La vita non può essere considerata un flusso continuo di

apprendimenti in ogni suo istante. Alcune esperienze sono considerabili educative, altre meno se non del

tutto non educative.

3) Come si combinano tra loro le esperienze educative nella storia di un soggetto? Quali sono i

loro pesi relativi?

La storia formativa di una persona è unica e imprevedibile. Solo nella fase di ripensamento è possibile

individuare una gerarchia degli eventi educativi e stabilire il loro peso.

4) E’ possibile governare la complessità del processo educativo ed, eventualmente, a chi

spetta tale compito?

Nella vita di un soggetto si intrecciano esperienze educative molto intenzionali (esempio la scuola) e

occasioni non intenzionali, sponatanee e imprevedibili.

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I soggetti, in parte, subiscono il sistema educativo e, in parte, contribuiscono a costruirlo.

Non è possibile ottenere che un soggetto adegui in modo pieno e completo i propri comportamenti a

quelli corrispondenti alla visione del mondo dell’educatore.

Neppure è pensabile che un soggetto riesca ad autogovernare il proprio percorso educativo in piena

libertà e senza condizionamenti.

Un’azione educativa volta a favorire l’autonomia dei destinatari, deve tener conto:

● della complessità del sistema educativo;

● della presenza di condizionamenti;

● dell’esistenza di margini di libertà.

I soggetti dovrebbero diventare “pedagogisti” delle loro stesse esperienze educative.

CAPITOLO 3 ­ L’irriducibile pluralità del lavoro educativo

L’educatore professionale extrascolastico è colui che, operando alle dipendenze di un servizio stabile o

per la realizzazione di un particolare progetto, entra in gioco quando si manifesta una situazione di crisi

all’interno del sistema delle esperienze educative. Tali crisi possono avere diverse origini:

1) Crisi da carenza educativa: l’esperienza educativa non è in grado di raggiungere i suoi obiettivi o

l’esperienza in cui il soggetto è coinvolto non è ritenuta auspicabile.

2) Crisi da eccesso educativo: l’esperienza è considerata educativa, ma si ritiene che essa possa

evolvere in direzioni non considerate auspicabili.

3) Crisi da conflitto educativo: nell’esperienza sono riconoscibili obiettivi e pratiche tra loro non

conciliabili.

L’educatore è chiamato a intervenire quando la situazione di crisi educativa ha attraversato le seguenti

fasi sequenziali:

1. la crisi ha superato la soglia di accettabilità. Tale soglia è mutevole, risente del contesto. E’ colui che

osserva la situazione che decide se essa è stata superata.

2. la notizia della crisi giunge a colui che è istituzionalmente preposto ad analizzarla e a intervenire.

3. la crisi viene riconosciuta come rientrante nelle tipologie (sopra elencate) che richiedono l’intervento

dell’educatore.

4. sono disponibili le risorse economiche e professionali per affrontare la situazione di crisi.

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Tipologie di interventi di fronte alle crisi educative

A) Interventi sostitutivi: riguardano i casi in cui gli ambiti educativi naturali (come la famiglia) non

sono più ritenuti idonei a garantire la crescita normale e/o la cura dei soggetti (ad esempio, per carenza

di risorse economiche). Sono interventi tipicamente realizzati nell’ambito delle comunità per minori, per

disabili e nei ricoveri per anziani.

Sono interventi a breve periodo quelli che servono a fronteggiare delle crisi acute, in cui i soggetti

necessitano di soluzioni totalizzanti provvisorie. Sono interventi a medio periodo se finalizzati a

promuovere cambiamenti che consentano al soggetto di tornare nel suo ambiente originario. Sono

interventi a lungo periodo quelli che non prevedono la possibilità che il soggetto ritorni nell’ambiente

di provenienza e che mirano a preservare in esso un minimo di autonomia.

B) Interventi aggiuntivi: riguardano i casi un cui le esperienze educative non sono considerate

adeguate a formare il soggetto, ma non si rilevano le gravi carenze che giustificano gli interventi

sostitutivi. Gli interventi, come dice il termine, si aggiungono alle azioni in atto per rafforzarle, non per

sostituirle.

Sono interventi a breve periodo quelli che mirano a sostenere il soggetto in momenti di difficoltà

transitoria (esempio insuccesso scolastico). Sono interventi a medio periodo quelli rivolti a soggetti

che presentano disagio psico­fisico e che necessitano di interventi riabilitativi che la famiglia non può

svolgere. Sono interventi lungo periodo quelli che accompagnano il soggetto per lunghi periodi di

tempo o per tutta la vita.

C) Interventi compensativi: quelli che mirano a controbilanciare o a contrapporsi ai processi

educativi in atto che si ritiene non procedano nella direzione voluta. Sono realizzati, ad esempio, nelle

carceri o in ambienti aperti come la strada.

Sono interventi a breve periodo quando prevedono azioni a tempo limitato volte a prevenire

comportamenti a rischio (esempio campagne pubblicitarie contro droga e alcool). Sono interventi a

medio periodo diretti a soggetti che presentano problemi non irreversibili (esempio progetto giovani).

Sono interventi a lungo periodo quando sono diretti a soggetti con problemi cronici.

La missione dell’educatore

Pur riconoscendo la complessità della “missione” dell’educatore, se ne possono definire alcuni tratti.

Il compito generale dell’educatore è quello di intervenire nelle situazioni dove le normali dinamiche

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educative non consentono ai singoli o ai gruppi di individui di seguire un percorso di crescita verso una

condizione adulta che abbia le caratteristiche auspicate.

La condizione adulta si caratterizza per il possesso di alcuni diritti, doveri, beni materiali e immateriali.

I tratti che normalmente, nella cultura occidentale, definiscono la condizione adulta sono:

1. disporre di un reddito sufficiente, proveniente da fonti lecite, e utilizzarlo per ottenere beni che vadano

oltre la soglia dell’essenzialità (variabile determinata socialmente), ma che non superino la soglia di un

consumo alienante.

2. Poter ottenere, per sé e per i propri familiari, i servizi essenziali relativi alla condizione di cittadino.

3. Essere in grado di praticare un’attività professionale. Il lavoro:

● è una fonte di reddito;

● contribuisce a creare identità e ruoli sociali;

● è un progetto fondamentale per la vita.

Tratto di criticità è il fatto che oggi il lavoro è sempre più discontinuo e frammentario, mentre in passato

aveva carattere di maggiore solidità.

4. Disporre di una soddisfacente rete di relazioni sia familiari che sociali. Anche questo è un elemento

critico nella società contemporanea, caratterizzata da una evidente debolezza delle relazioni

interpersonali.

5. Godere di “buona salute”, cioè di uno “stato di benessere fisico, psichico e sociale”. Occorre

considerare il diffondersi di patologie croniche legate a uno scorretto stile di vita, di cui anche

l’educazione può facilitare l’apprendimento.

6. Fornire prestazioni fisiche e psichiche adeguate per la fascia di età e per il genere di appartenenza.

7. Disporre di un sufficiente livello di istruzione. Tale livello dipende da molte variabili e risente del

contesto sociale di appartenenza.

8. Essere in grado di esercitare la capacità critica, cioè di riflettere su di sé e sul mondo. La capacità

critica, quando si traduce in capacità di trasformazione di sé e del mondo, può scontrarsi con le

limitazioni sociali.

9. Essere autosufficienti nello svolgimento dei compiti della vita quotidiana. Il livello di autosufficienza è

relativo, nel senso che esso dipende dal rapporto tra i compiti che il soggetto deve svolgere e le forme

di sostegno su cui può contare. 15

Dettagli
Publisher
A.A. 2015-2016
29 pagine
7 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PED/01 Pedagogia generale e sociale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher assuntarappi di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Pedagogia generale I con laboratorio e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano - Bicocca o del prof Tramma Sergio.