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BRUSCHI: Tecnologie e cultura digitale.
Prensky nel 2001 parla dei Digital Natives: dopo gli anni ‘80 con uso tecnologia vi è stato un cambiamento
anche sulle funzioni cerebrali: gap tra sistemi formativi e realtà attuale; il consumo di tecnologie dipende da
diversi fattori (vi sono diversità anche tra i giovani) ma è innegabile che i bimbi accendono sempre prima la
tv. I giovani non sono diversi dagli adulti solo perché contaminati dalla dimensione digitale, ma in quanto
appartenenti a un contesto sociale, politico ed economico che continua a subire grandi trasformazioni (il
digitale è una parte significativa ma non esclusiva). Dopo 10 anni Prensky torna a parlare della “saggezza
digitale” ovvero la competenza amplificata grazie alle tecnologie, uso della tecnologia per aumentare le
nostre capacità (che non comprende solo una dimensione tecnica ma anche la capacità dei soggetti di
accedere a diverse forme di rappresentazione della realtà e di gestirle adeguatamente). Herbert Simon
parlava di “razionalità limitata” ovvero che gli individui non sono in grado di decidere prendendo in
considerazione tutte le variabili: la tecnologia amplia il campo di conoscenze dirette (web - condivisione e
partecipazione) sia indirette (confronto con soggetti esperti). Jenkins si chiede infatti che competenze
debbano oggi possedere le persone per partecipare alla vita sociale che è sia fisica che digitale. Forse per la
prima volta la produzione di conoscenza e di sapere di forma per opera di una quota importante di individui,
anziché da una minoranza di esperti (cultura partecipativa). Vi è sul web libera creazione e trasmissione tra
differenti parti (fenomeno del giornalismo partecipativo, Wikipedia) ma vi sono dei pericoli: troviamo molte
informazioni e occorre senso critico per vagliarle sennò si rischia solo un grande caos intellettuale. Occorre
una media education: già a livello educativo e formativo bisogna potenziare competenze della
documentazione e valutazione delle risorse informative e competenze che appartengono alla cittadinanza
digitale. Ambiti di lavoro della media education: giovani e la “sindrome di Babele” dove vi è la sindrome del
copia e incolla (tuttavia giovani conoscono rischi etici dei social), poi coinvolgere le famiglie per una
maggiore consapevolezza (spesso non vi è controllo sulle tecnologie perché i figli sono più esperti dei
genitori). Le tecnologie non impoveriscono le facoltà cognitive, anzi le potenziano. Tra i giovani vi è forte
tendenza a partecipazione e interazione mentre la scuola è legata ancora alla trasmissione di una conoscenza
dall’alto. Bisogna quindi:
- uniformità presenza tecnologie a scuola
- competenze dei docenti
- tecnologie ancora non percepite come componenti della realtà attuale
- modelli didattici inadeguati (tecnologia non è principale ma aggiunta)
Nel futuro sarà quindi importante promuovere le competenze necessarie per un impiego adeguato!
BELARDINELLI: La relazione educativa: tra cultura e competenze.
È errato pensare alla formazione (Bildung) senza competenze, tuttavia trasmette solo competenze è mostrare
disinteresse per ciò che è umano, non è formare veramente una persona. La parola cultura deriva da colere e
si collegava alla coltivazione della terra poi allo sviluppo dell’umanità nel suo insieme. Si passa da una
concezione di cultura classica che può elevare l’uomo liberandolo dall’ignoranza della superstizione a una
concezione antropologica, ovvero descrittiva che tende a identificarsi con la totalità di una società/civiltà. Il
concetto non è più qualcosa di elitario ma abbraccia un po’ la totalità dei prodotti dell’uomo. Lurcat si
scontra contro l’imparare ad apprendere cioè il trasmettere metodi ma non sapere, conoscenza. Non è data la
giusta attenzione ai contenuti insegnati e alla qualità degli insegnanti: lo scopo dell’educazione è aiutarci a
trovare le ragioni di vita, di senso, di responsabilità (è il processo di generazione di una persona). Il
pluralismo scolastico non deve essere pluralismo ideologico. La vera posta in gioco è la formazione in
quanto uomini: abbiamo bisogno di educazione ma la nostra epoca lo ha dimenticato. Vi è tanta libertà, ma
poca responsabilità necessaria, troppa amicizia e poca serietà/valori/doveri tra adulti e giovani. Ciò viene
pagato sotto forma di spaesamento e sradicamento che porta a chiusura e intolleranza. È venuto meno il
senso di appartenenza e il carattere generativo dell’educazione. Alla parola tradizione si storce il naso perché
ormai diventato sinonimo di vecchiezza, di incapacità di far fronte ai problemi nuovi; ma senza di essa non
vi sono riferimenti normativi e culturali forti. Il principio vitale della tradizione è la capacità di assicurare
continuità nelle vite, predisponendole al futuro (non inneggia a tornare a schematismi del passato). Una volta
c’era una tradizione che trasmetteva dei valori anche nelle scuole, una tradizione a cui ancorarsi, su cui si
formava l’identità; oggi la tradizione è sinonimo di attentato alla libertà di scelta, la scuola trasmette metodi
senza formare la persona che naviga quindi nell’instabilità.
GENTILI: Modelli pedagogici e nuove competenze nella scuola del futuro.
L’istruzione segue un modello, che qualifichi per il possedimento di competenze che sono richieste in ambito
lavorativo. Le competenze sono un ponte tra formazione e lavoro. Il lavoro oggi non è più un elenco
prescritto di compiti fissati in modo rigido, ma è centrato sulla conoscenza e le relazioni. C’è chi vede la
competenza come un attributo individuale (riconduce alla performances, quindi diversa secondo il tipo di
lavoro), e chi come una caratteristica propria di un sistema organizzativo (vengono ricercate ‘competenze
distintive’ per la competizione). Ma la competenza non è una somma di ‘saper fare’, ma una costruzione/
combinazione di risorse che derivano da equipaggiamento personale e dall’ambiente; non vi è un rapporto
puntuale tra risorse e competenza, meglio parlare di “persona competente”. Rimanda quindi ad un giudizio di
fiducia espresso da un attore individuale/collettivo nei confronti di una persona (dipende sia da uno specifico
ambiente, sia è legato alla performance, conoscenza procedurale, dimensione soggettiva, azienda).
Competenza può essere vista anche come un complesso di conoscenze/abilità/motivazioni per risolvere
problemi (soggetto attivo), che non esistono a priori (è necessario un insegnamento multidisciplinare). La
competenza può essere anche collegata ad una dimensione anticulturale: nelle scuole gli allievi vengono
programmati piuttosto che istruiti ad agire direttamente sulla loro personalità per trasformarla. Dimensione
fermentativa: educare significa tirare fuori; l’insegnamento non deve essere impostato solo sulla dimensione
cognitiva, ma deve essere incluso anche il sistema motorio nella costruzione di significato degli oggetti.
Dimensione euristica: agevolare inserimento dei giovani in contesti produttivi reali attraverso stage, tirocini,
laboratori, per coinvolgere studenti attivamente, per superare dicotomia tecnico-scientifico e alimentare lo
spirito di ricerca. Lo studente deve saper rendere operative le conoscenze; conoscenze sono competenze in
potenza, le competenze sono conoscenze in atto; bisogna sviluppare le competenze dalle conoscenze,
imparare facendo; “Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio comprendo” Confucio.
POGGI: La scuola tra “vecchie” ideologie e “nuovi” modelli organizzativi: il rapporto pubblico-privato.
- La Corte Costituzionale (1994) dichiara che non importa la natura della scuola (statale o privata), ma di
assicurare a tutti gli alunni le stesse condizioni di accesso e fornitura strumenti.
- L. Ribolzi nel suo “Il sistema ingessato” mostra come il nostro Paese sia uno dei pochi ad essere rimasto a
un dibattito meramente ideologico su queste due istituzioni che andrebbero integrate.
- Onorevole Corbino: lo Stato può intervenire a supporto dei privati che però non hanno alcun diritto a
ricevere aiuti (oltre alla scuola privata, questo vale per altri settori come università, assistenza/previdenza
sociale, sindacato); dall’altra parte gli esponenti delle scuole private non desideravano le sovvenzioni
statali, ma volevano che la scuola privata fosse riconosciuta come valida, libertà.
- art. 118: la sussidiarietà verticale (intervento Stato) è finalizzata all’enfatizzazione del livello comunale
come livello privilegiato di amministrazione. La sussidiarietà verticale è finalizzata al cittadino e il
Comune è il livello più adeguato di risposta ai suoi bisogni.
- fase 1: attivazione legislativa art.33 nell’immediato dopoguerra con forte intervento dello Stato con
obiettivo di alfabetizzazione con fondi anche per scuole private (che è però facoltativo, cioè fatto solo in
casi particolari - carenza scuole, scuole all’estero - non ordinario, di durata temporale e non stabile nel
tempo)
- fase 2: anni ’90 inizio processo riformatore (riforme Bassanini): art.21 non distingue pubblico e privato e
affida alle regioni il compito di occuparsi dei finanziamenti alle scuole private + sentenza della Corte del
1994 (vedi sopra) + “sistema nazionale di istruzione” vengono specificati i requisiti che le scuole devono
possedere per far parte del sistema nazionale di istruzione. Non si assiste però ad una vera e propria
attuazione della legge paritaria. Vi è un riconoscimento diretto della parità ed uguaglianza delle regole ma
indirettamente vi sono diverse modalità di finanziamento.
- fase 3: introduzione della facoltatività del finanziamento per le scuole private (si decide anno per anno,
senza garanzia di stabilità nel tempo) + Documento conclusivo 2009 per un percorso più coerente. Ancora
oggi vi è un sistema paritario nelle regole d’ingresso e impari nelle regole di uscite (sistema paritario
finanziato “facoltativamente”).
SANTERINI: La diversità come sfida all’educazione e alla scuola.
Non esiste una cultura, ma solo delle culture interdipendenti tra di loro. Nel passato il diverso era considerato
un barbaro. Per molto tempo si è pensato esistesse una sola Cultura umana: nell’educazione tradizionale si
aveva un’immagine unitaria del mondo. Oggi c’è una pluralità di culture: l’educazione è interrogata dalla
questione unità/diversità, il senso di unità sembra frantumato sul piano di appartenenze nazionali, c