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Nel 1889 Credaro pubblicò il primo volume de “Lo scetticismo degli Accademici” (seguito
poi dal secondo volume nel 1993). L’opera inizialmente intendeva effettuare un confronto
tra il Criticismo di Kant e le dottrine degli antichi accademici, confronto che però non
appariva centrale, poiché ridotto, per così dire ai minimi termini. Pare quindi che Credaro,
nella stesura dell’opera, si sia man a mano discostato dal suo primario obiettivo, oppure,
ipotesi più probabile, si può pensare che egli indirettamente aveva condotto per tutta la
sua trattazione quel confronto, per cui non restava che riassumerlo in poche parole nella
conclusione. I principali esponenti dello scetticismo furono Arcesilao e Carneade. I due
filosofi, sebbene fossero empiristi in senso stretto, supponevano anche una disposizione
innata per certi concetti elementari etici e metafisici, i quali si svolgevano dietro l’impulso
dell’esperienza. Credaro mette in evidenza le filosofie dei due pensatori, facendo spesso
riferimento a Kant. Credaro, infatti, affermava che Carneade fosse stato il primo ad aver
intuito l’opportunità di distinguere la fede dalla scienza, la credenza religiosa dal sapere
scientifico, divisione che riapparve nel sistema di Kant.
Alla pubblicazione del primo volume de “Lo scetticismo..” fece seguito la chiamata di
Credaro alla cattedra di Storia della Filosofia di Pavia. Lo studioso lesse una prolusione
nella quale svolgeva un’attenta disamina del suo contemporaneo status teorico-
metodologico. Tale prolusione era intitolata “Il passato e il presente della storia della
filosofia” e rappresenta una storiografia filosofica.
4. Credaro 1890-1900
In questo decennio, caratterizzato da un progressivo disimpegno generale, Credaro non
mancò di offrire altri contributi critici (“Die italianiesche Philosophie”, “I manoscritti di
Kant” ). Sin dalla gioventù Credaro esternò un’intima propensione per l’impegno concreto
sul terreno della praxis. Da un punto di vista politico sappiamo che Credaro faceva parte
del Partito Radicale , caratterizzato in quel periodo da una democrazia laica e anticlericale
e che aveva nel programma l’estensione dei diritti politici, la salvaguardia della libertà e la
promozione di una più estesa giustizia sociale. La decisione di prendere parte attiva alle
vicende politiche ebbe come motivazione principale il suo progetto di una riforma
dell’educazione e dell’istruzione nel nostro paese. Fondamentali sono il problema della
libertà e il concetto di assolutezza del dovere, da cui deriva il valore della solidarietà.
5. La politica scolastica in Luigi Credaro
Abbiamo già analizzato la nascita dell’Unione Magistrale Nazionale, della quale Credaro
ne fu il primo presidente. Due erano gli slogan rappresentativi dell’unione, entrambi
pronunciati da Credaro: “né servi né ribelli” in riferimento al fatto che egli era contrario agli
scioperi, come abbiamo già visto, e “per farsi valere occorre valere” richiamando quindi i
maestri ad una seria preparazione professionale. La sua attività parlamentare si orientò
nettamente a partire dal 1901, in direzione del miglioramento delle condizioni
economiche , giuridiche e morali della classe magistrale. Credaro tentò di porre
l’attenzione sull’urgenza della risoluzione dei problemi che attanagliavano gli insegnanti
elementari.
Si ebbe così la legge Nasi del 19 febbraio 1903, n.45 con la quale venne riconosciuto ai
maestri uno stato giuridico adeguato al loro ufficio, era stabilita la nomina attraverso
concorso e la definitività dell’incarico dopo tre anni di lodevole servizio. Un intervento più
organico si ebbe con la legge orlando del 1904, della quale Credaro fu relatore alla
Camera. Esse prevedevano il concorso totale dello stato agli aumenti di stipendio previsti
per i maestri, che divennero effettivi ; estendeva l’obbligo scolastico a 12 anni istituendo il
Corso Popolare obbligatorio (che comprendeva le classi quinta e sesta destinate a coloro
che non intendessero proseguire gli studi) istituiva inoltre ben 3000 scuole serali e festive
per gli adulti analfabeti. Con questo provvedimento la classe, magistrale conseguiva la
possibilità di accedere all’università. Sempre nel 1904 vennero istituiti i Corsi di
Perfezionamento per i licenziati dalle scuole normali. Il corso era articolato in due anni in
una serie di prove speciali che se superate il candidato poteva affrontare l’esame finale
composto da prove scritte ed orali. Questi corsi (chiamati poi scuole pedagogiche) erano
stati istituiti per avvicinare maestri alla vita dell’università, ma nel partico questa cosa non
avvenne mai. Come già ricordato, Credaro divenne sottosegretario alla P.I. con il governo
Sonnino e a lui si deve un terzo significativo intervento legislativo (1906). Era prevista
l’istituzione di scuola elementare dello stato, nelle frazioni e borgate dei comuni del
meridione e delle isole. Erano inoltre costituite altre scuole serali e festive. Era poi stabilito
il principio che lo stato dovesse contribuire finanziariamente all’istituzione delle direzioni
didattiche, all’assistenza scolastica ed all’incremento degli istituti per l’educazione infantile.
Era inoltre affidata allo stato un terzo della spesa per la costruzione dell’edificio scolastico
comunale. Con questa legge quindi l’intervento diretto dello stato nell’istruzione primaria
cominciava ad essere notevole.
Giolitti non era d’accordo con l’idea della statalizzazione completa della scuola elementare
essendo lui portatore di principi liberali, mirati all’emancipazione dei privati, e ritenendo
che tale statalizzazione avrebbe reso più lenti e costosi i servizi. Nonostante questo i
problemi ingenti nel campo dell’istruzione pubblica lo spinsero ad accettare il principio
della avocazione, ottenuta con la legge del 4 giugno 1911 (legge da neo-Credaro). I valori
fondamentali che animavano Credaro erano quelli della democrazia, fratellanza, mutualità
e solidarietà. Egli riteneva che per effettuare un’opera di rigenerazione psicologica e
morale fosse necessaria la presenza di istituti forti e ben ordinati e, di insegnanti ben
preparati, devoti allo stato e alla patria.
Credaro si interessò anche alle problematiche dell’educazione degli handicappati e
minorati psichici. Egli riteneva che fosse necessario istituire scuole speciali in tutte le città
più popolose e preparare un personale qualificato dal punto di vista pedagogico. Per
quanto riguarda gli asili e i giardini d’infanzia secondo lo studioso essi non andavano più
considerati come semplici luoghi di custodia ma come necessaria preparazione alla scuola
elementare.
L’Italia dopo l’unità non prese mai sul serio la scuola elementare e di questo abbiamo la
testimonianza: i numeri dell’analfabetismo sono sempre stati impressionanti. Credaro pone
invece con forza l’urgenza della riforma della scuola elementare, ed afferma che i mezzi
finanziari ci sono, manca una volontà tenace, operosa. Secondo lo studioso la scuola
popolare italiana deve essere opera del Governo, del Parlamento, dei Comuni. Per
quanto riguarda la scuola media, Credaro pone l’attenzione sui limiti delle leggi del 1906 e
sullo stato giuridico ed economico dei professori dei questo settore, messi in rilievo dalla
Federazione Nazionale Insegnanti Scuole Medie (F.N.I.S.M.). Anche qui, egli prende in
considerazione la questione della preparazione degli insegnanti medi che egli ritiene che
venga vigilata. Il disegno di legge del 1908, che prevedeva la fondazione di un istituto di
mutualità per gli insegnanti secondari, aveva suscitato molte speranze nella F.N.I.S.M., ma
il progetto di legge del 1913 sancì invece una definitiva contrapposizione. In campo
didattico, egli tese ad abolire ogni passaggio a corsi superiori senza esami, e volle renderli
più severi, oltre a limitarne l’ammissione a coloro che avessero conseguito delle medie
elevate. Inoltre istituì la frequenza limitata, per la quale un alunno non poteva frequentare
per più di due anni la stessa classe. Più moderna appare la sua opera nel promuovere,
con varie iniziative, un più assiduo e fattivo contatto tra le famiglie e la scuola media. Altra
importante direttrice della sua politica per l’insegnamento medio fu la moltiplicazione dei
Convitti, che volle inoltre regolamentati da norme che garantissero serietà e competenza
pedagogica. Per quanto riguarda l’Università occorreva, per Credaro, una riforma
pedagogica radicale. Alla libertà di insegnare dei professori, doveva corrispondere la
libertà di apprendere degli studenti: l’università deve insegnare, non esaminare. Egli si
esprime a favore di una liberalizzazione dei piani di studio, con l’abolizione di quelle serie
di esami speciali, preparati affrettatamente sulle dispense. Egli desiderava che negli
Atenei si formasse lo spirito critico e scientifico, l’attitudine alla ricerca nei giovani. A
questo fine era per lui indispensabile promuovere l’insegnamento esercitativo, ma questo
proposito richiedeva che il professore potesse usufruire di un numero adeguato di
assistenti.
Esaminiamo ora la legge Daneo-Credaro (n. 487/1911). Il principio del passaggio della
scuola elementare sotto l’amministrazione dello Stato, veniva applicato però soltanto ai
Comuni non capoluogo di provincia, mentre quelli capoluogo di circondario avevano la
facoltà di scegliere tra la prosecuzione della gestione comunale o la “statizzazione”. Le
scuole elementari sottratte ai comuni sarebbero state amministrate dai consigli provinciali
scolastici, istituti già esistenti di cui ora venivano modificati i compiti e la composizione. La
Legge presentava un altro aspetto notevole: i Patronati scolastici venivano elevati ad Enti
di Diritto Pubblico e resi obbligatori in ogni comune ed era affidato loro il compito
dell’istituzione degli asili infantili. In sintesi essa andava a rafforzare il centralismo statale
attraverso Ispettori, Direttori Didattici, Provveditori, tutti di nomina ministeriale. Parliamo
ora dei Corsi magistrali istituiti da Credaro. A questo biennio di preparazione
all’insegnamento era affidato il compito di far acquisire l’abito del fare: il sapere era
demandato alla licenza ginnasiale. Incentrato sulla figura dell’insegnante di Pedagogia il
corso magistrale faceva largo spazio al tirocinio, da attuarsi in forme varie e complesse in
modo da abbracciare tutte le materie. Il professore di pedagogia veniva reclutato fra quei
maestri elementari che all’esercizio professionale lodevole aggiungessero un documento
di speciale cultura. I