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Il saper ascoltare è, per esempio, particolarmente importante nella professione

medica. Molte indagini evidenziano come ciò che più lamenta il paziente è

proprio una carenza di ascolto da parte del personale medico\sanitario.

Le stesse considerazioni vanno estese in campo educativo. Parliamo, infatti, di

ascolto pedagogico in quanto grazie, ad un ascolto profondo si può realizzare

un’autentica relazione fra le perone in virtù della quale è data la possibilità di

sentire (con) l’altro da sé.

8. Luoghi e modi dell’agire educativo

Vi è un aspetto comune a tutte le pratiche positive di formazione dell’uomo:

quello di assicurare alla persona una condizione di equilibrio esistenziale.

Parliamo, allora, di ben-essere. L’O.M.S. ha enunciato che ben-essere è uno stato

di completo benessere fisico, mentale e sociale, non la semplice assenza di

malattia o infermità. Infatti, lo stare bene è un concetto polisenso poiché può

essere inteso in vari modi (godere della presenza di amici, comprare un

determinato bagnoschiuma presentato da una pubblicità, non soffrire

eccessivamente di gravi patologie organiche etc.).

Le azioni educative, in tale prospettiva, possono agire in relazione al grado di

benessere\normalità di disagio\devianza\marginalità presenti nei soggetti cui

sono rivolte.

Consideriamo tutte queste tematiche. Il disagio è da considerare una condizione

soggettiva o di “imbarazzo” amputabile a motivi per lo più esterni che creano nel

soggetto un certo grado di sofferenza, frustrazione, alienazione ed

insoddisfazione.

Si è soliti distinguere almeno due categorie di disagio: per bisogni primario o

materiali (mancanza di beni o diritti fondamentali per la vita); per bisogni di tipo

evolutivo (come conseguenza dell’incapacità di assolvere ai compiti specifici

dell’età). Regoliosi propone come emblematico il disagio adolescenziale.

Tuttavia, non vi sono indicatori adeguati per riconoscere un disagio poiché esso si

presenta, spesso, anche in maniera a-sintomatica.

L’emarginazione traduce anch’esso un concetto relativo. Non esiste una

marginalità in sé, ma esiste una marginalità rispetto a qualcosa. Ad esempio, le

marginalità trasversali a vari gruppi sociali non integrati ( le comunità di

immigrati clandestini o di immigrati “regolarizzati” ma di fatto comunque

esclusi). Vi sono poi le marginalità culturali prodotti dal mancato riconoscimento

dei diritti e delle pari opportunità. Così, l’emarginato, di volta in volta, sarà

l’analfabeta, il soggetto in condizione di handicap, il giovane che non riesce a

trovare lavoro, l’omosessuale …

Secondo Merton l’emarginazione e il disagio possono essere anche causa

scatenante di devianza. La società occidentale spinge tutti i membri verso un

unico obiettivo, proposto in maniera generalizzata. Tuttavia, essa non è in grado

di fornire a tutti i membri le stesse possibilità per raggiungere tale obiettivo

generale. Pertanto, coloro che appartengono alle classi meno privilegiate

avranno un maggiore incentivo a mettere in atto comportamenti devianti come

razione del conflitto tra obiettivi proposti e mezzi effettivamente a disposizione.

La conseguenza è uno stato di anomia , cioè di non equilibrio in cui ciascuno

trova soluzioni individuali al conflitto.

Tornando al concetto di devianza, esso si riferisce a un comportamento messo in

atto da parte del soggetto che si discosta da norme presenti in un determinato

sistema sociale. Il fatto che il soggetto si discosti da determinate norme non vuol

dire però che il termine devianza debba assumere per forza un connotazione

negativa: la storia dimostra l’esistenza di un certo numero di devianze che hanno

portato a conseguenze positive.

Viceversa, l’accezione in senso negativo del termine diviene funzionale per il

controllo sociale. In tale ottica, spesso si è utilizzata una prevenzione “repressiva”

(intesa come difesa dei buoni, dei giusti e dei corretti contro il pericolo

rappresentato dai cattivi, dai devianti).

Già, il termine prevenzione si presta a una molteplicità di interpretazioni. Ad

esempio in campo criminologico si parla in genere di tre forme di prevenzione

ciascuna con l’obiettivo di impedire l’azione criminale senza prestare attenzione

l’attore di tale azione quale persona che può modificarsi nel corso del tempo (si

tende ad etichettare la persona).

La prima di queste tre forme è quella punitiva che dovrebbe svolgere un’azione

deterrente nei confronti della commissione dei reati: quanto più grave è un reato

tanto più si inasprisce la pena.

La seconda è di tipo correttivo e si regge sulla convinzione che il crimire possa

essere contrastato tramite interventi specifici svolti in contesti istituzionali ( ad

es.i cosiddetti “riformatori giudiziari”).

La terza è di tipo meccanico consiste nel frapporre ostacoli fisici all’eventuale

commissione di reati. Ma, spesso, le misure antitaccheggio risultano inefficaci o

fungono addirittura come stimolo per aggirare l’ostacolo.

La seconda classificazione per il termine prevenzione è di tipo sociologico e

consiste nel proporre programmi di prevenzione primaria (essa consiste nel

predisporre e promuovere interventi mirati a controbilanciare tutti quei fattori

che in genere causano risposte individuali criminogene. Risulta però troppo

selettiva poiché coinvolge solo i diretti interessati al cambiamento), di

prevenzione secondaria (rivolta ai soggetti ritenuti “a rischio”), di prevenzione

terziaria (si tratta di soggetti collocati all’interno del range dell’antisocialità).

Infine, è ben diversa quella prevenzione che agendo all’interno della normalità

mira a promuovere il benessere e non ad agire contro.

Tale prospettiva mira quindi all’empowerment della persona e, nello stesso

tempo, a mobilitare energie e risorse comunitarie capaci di attivare processi

personali e di fornire risposte utili ai bisogni della persona.

Lavorare in una prospettiva promozionale vuol dire, secondo Tramma e Kanizsa,

rafforzare il soggetto perché possa rispondere adeguatamente alle varie

situazioni della vita quotidiana.

Quindi non si parla più di “riabilitazione” ma di “prevenzione” in quanto

anticipazione.

9.Analisi pedagogica di una problematica emergente: il bullismo.

Il fenomeno del bullismo si manifesta, spesso, nella scuola in quanto luogo

principale di aggregazione giovanile sia pure sui generis.

Ci viene da chiederci come mai si sta avendo un’attenzione sempre maggiore per

un fenomeno che sicuramente “c’è sempre stato, ci siamo passati tutti

(direttamente o indirettamente) ma… non è mai morto nessuno!”?

Forse perché oggi grazie anche a youtube è un problema che è diventato più

palpabile rispetto al passato.

Il bullying (termine sistemico che include congiuntamente i comportamenti del

“precursore” e quelli della “vittima”, ponendo al centro dell’attenzione la

“relazione” nel suo insieme) assume spesso, il connotato della pericolosità

sociale dai contorni inquietanti e dalle dimensioni mai toccate in passato: questo,

in parte è vero, ma in parte ubbidisce alla logica che tende a far apparire

l’adolescenza come una vera e propria mala juventud.

Cominciamo ad analizzare il fenomeno in chiave quantitativa: la logica dei grandi

numeri fa configurare tale problema come un fenomeno particolarmente

inquietate di allarme sociale. Spesso, però, si dimentica che il quadro contestuale

è notevolmente cambiato rispetto al passato. Innanzitutto, la scuola secondaria

di oggi, è un scuola con un numero notevolmente più ampio di utenti, inoltre il

sistema scolastico come quello familiare risultano notevolmente più attenuati

lasciando spazio a forme di accondiscendenza inusuali nel passato.

Inoltre, dobbiamo considerare il bullismo come una problematica che va

indagata in prospettiva prevalentemente gruppale, in quanto si afferma

all’interno di un gruppo che comprende, oltre ai bulli e alle vittime, anche un

buon numero di persone.

Ada Fonzi, che può essere considerata l’antesignana degli studi e delle ricerche

sul bullismo in Italia, ha l’indubbio merito di aver sottolineanto che il bullismo

assume connotati differenti sia in riferimento ai diversi contesti nazionali sia per

ciò che concerne l’età dei soggetti coivolti.

In realtà, il bullismo è qualcosa di diverso dalle normale conflittualità tra coetanei

(occasionali episodi di violenza) pertanto ha alcune caratteristiche precise:

 l’asimmetria cioè uno squilibrio nel rapporto di forza tra due o più

persone;

 L’intenzionalità cioè l’intenzione di arrecare un danno alla persona più

debole e la conseguente mancanza di compassione;

 La persistenza cioè l’intensità e la durata nel tempo di una relazione di tale

squilibrio relazionale;

 La mancanza di sostegno, la vittima si sente spesso, isolata e ha molta

paura di riferire gli eventi perché teme rappresagli e vendette. Ciò non fa

altro che aumentare la condotta del bullo.

9.a. Gli attori

Il bullo: la sua principale caratteristica è l’essere aggressivo sia nei confronti dei

compagni, sia degli adulti (insegnati, genitori etc). Ciò lo porta a considerare lecito

l’utilizzo di mezzi violenti e strategie di problem solving che non escludono il raggiro,

l’inganno la menzogna etc.

Queste sue modalità di comportamento sono, in genere, accresciute dal consenso e

dal prestigio all’interno del gruppo. Queste circostanze alimentano nel bullo la quasi

totale assenza di empatia: egli tiene in scarsa considerazione i sentimenti altrui. Il

rendimento scolastico non è di solito una variabile predittiva, ma tende spesso ad

abbassarci e può sfociare in totale disaffezione nei confronti dell’istituzione in

quanto percepita come troppo contenitiva.

Ma accanto al bullo dominante vi è anche il gruppetto dei cosiddetti “bulli gregari”

(o passivi o sostenitori): più ansiosi, insicuri, meno popolari rispetto al primo, sono

coloro che cercano la propria identità e l’affermazione nel gruppo attraverso il ruolo

di aiutanti o sostenitori del bullo.

Essi non prendono, in genere, l’iniziativa in quanto si limitano a eseguire gli ordini

del bullo dominante forse anche per non correre il rischio di divenire essi stessi

Dettagli
Publisher
A.A. 2015-2016
27 pagine
7 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PED/01 Pedagogia generale e sociale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher luigitripix di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Pedagogia generale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Messina o del prof Michelin Antonio.