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VERSO IL CONSEGUIMENTO DELLA PIENEZZA DELL’IDENTITA’ UMANA. Questo
avviene con il passaggio dalla potenza all’atto, ovvero da ciò che l’uomo intrinsecamente è a ciò
che può/deve essere per configurarsi perfetto.
La perfezione si costituisce a due livelli:
Come fine naturale, il fine naturale è quello determinato dalla stessa natura del soggetto.
1. Negli esseri viventi sono naturali quei fini che orientano i cicli e i processi biologici
(esempi: crescita corporea e nutrizione).
Come fine libero, il fine libero connota l’uomo in modo particolare poiché legato alla sua
2. essenza di vivente, dotata in più di una natura libera. I fini liberi non sono di per sé
necessari, come i fini naturali, ma semplicemente possibili. L’uomo nasce perfettibile e
diventa, se lo vuole, perfetto.
I fini liberi (o volontari) non sono di per sé necessari, come i fini naturali, ma semplicemente
possibili; è necessaria una scelta libera voluta dal soggetto individuale. L’uomo nasce perfettibile e
diventa, se lo vuole, perfetto.
Non esiste una separazione reale tra questi. L’uomo in quanto “immagine di Dio” trova il senso di
sé nella scoperta del piano divino, e lo trova attraverso l’esercizio della sapienza, che è resa
possibile dalla condizione di perfettibilità dell’uomo. Il centro pedagogico della questione consiste
nel passaggio dalla perfettibilità alla perfezione, dall’intreccio di intelligenza e volontà, condizione
perché il pensare sia inglobato nella dimensione della contemplazione in cui la conoscenza umana
sperimenta il suo momento più alto.
5.4. Senso religioso e rischio educativo
Il problema della libertà dell’uomo e il significato da attribuirle stanno al centro della riflessione
religioso-educativa di LUIGI GIUSSANI, sacerdote milanese, fondatore del movimento
Comunione e Liberazione. Egli ha reinterpretato l’educazione cristiana come percorso sapienziale.
Educare l’uomo significa aiutarlo a sperimentare una libertà non autosufficiente, cioè fine a se
stessa, ma concepita come un’opportunità per entrare nel tutto in cui siamo immersi e che l’uomo è
chiamato ad identificare. Il mondo è soltanto un segno di una realtà più ampia e profonda. Ogni
uomo per il fatto di esistere afferma nella sua vita, anche inconsciamente, un significato per cui vale
la pena vivere. È questo il senso religioso intrinseco a ogni esperienza umana: è la condizione stessa
dell’uomo che mette in moto gli interrogativi ultimi sul significato della vita.
Il SENSO RELIGIOSO è un esperienza comune a ogni uomo, ma quest’ultimo spesso non ha il
coraggio di esercitare sino in fondo la propria libertà e anziché accettare il limite del mistero,
presume di essere in grado da solo di trovare tutte le risposte necessarie per dare senso alla vita.
L’uomo non è disposto ad accettare la categoria del “rischio”: il rischio si configura come la
capacità di sfuggire alla doppia tentazione dell’arroganza razionalistica e dello scetticismo
sistematico e per un altro senso, si manifesta come disponibilità a “mettersi in gioco” cioè lasciarsi
interrogare e pervadere da ciò che potrebbe sconvolgere la vita ordinaria.
Nei miti, Ulisse e Giacobbe sono esempi di uomini che accettano il “rischio”.
Nel mito di Ulisse Giussani lotta fra l’umano, il senso aperto al mistero, egli è capace di
1. accettare anche l’avventura dell’ignoto. È con il superamento delle “Colonne d’Ercole” che
comincia a sentirsi uomo, quando supera questo limite.
Nel mito di Giacobbe Giussani accetta la sfida del rischio, nel ritorno dall’esilio incontra
2. Dio che, dopo una lotta, gli preannuncia il suo destino si dovrà chiamare Israele “ho lottato
con Dio”, ha accettato il rischio e la sua vita da quel momento ha assunto un altro
significato.
Il rischio, in sostanza, è la metafora dell’uomo che accetta di provarsi e di congiungere, nella
propria esistenza, ragione e volontà, che esercita la propria libertà non per ampliare la presunzione
del proprio dominio bensì per conquistare un livello più profondo di conoscenza del Mistero e
dunque di Dio.
Educare è aiutare l’animo dell’uomo a entrare nella totalità della realtà. La parola “realtà” sta alla
parola “educazione” come la meta sta a un cammino. La metà è tutto il significato dell’andare
umano. L’autorità del buon maestro non è opprimente, ma si presenta come una testimonianza
credibile e vitale mentre la tradizione costituisce la bussola per discernere il bene dal male e
l’orizzonte nel quale sperimentare il rischio della libertà in costante rapporto con le “ipotesi di
senso” proposte dagli adulti.
5.5. Incontro interpersonale e dialogo pedagogico
Un secondo e altrettanto essenziale itinerario di educazione della persona si svolge nell’orizzonte
dell’incontro con l’altro e con gli altri.
La persona è infatti al contempo:
Sussistenza (valore in sé);
1. Coesistenza (capacità di entrare in relazione con gli altri)
2.
Una persona da sola non può esistere in quanto persona perché non riesce nemmeno a riconoscere
se stessa come tale. La sua esistenza è strettamente “coesistente” con il modo di stare con gli altri.
Ciò significa che l’essere umano si attualizza in e a partire da qualcosa di profondo che supporta il
suo stare con gli altri. L’uomo è dotato di una posizione di potenziale apertura e predisposizione
verso ciò che gli verrà incontro. Chi non sperimenta l’avventura di “aprirsi all’altro” credendo di
salvare la propria anima l’avrà per sempre perduta (Guardini).
La coesistenza della persona non si compie se non a partire dall’interiorità di un essere che possiede
se stesso grazie alla sua libertà e per questo può aprire sé agli altri al punto da poter dire che
l’apertura della propria INTIMITA’ (aprirsi a ciò che è diverso da sé) fa essere ciascuno quello che
è. Nella donazione di sé si compie infatti, un doppio processo umanizzante: l’arricchimento degli
altri con quanto ciascuno è in grado di dare in termini cognitivi, affettivi, spirituali, e al tempo
stesso l’arricchimento di sé con il rafforzamento della volontà che si esercita nell’atto della
donazione. La persona è intrinsecamente “intersoggettiva” e il dialogo costituisce la forma per
eccellenza della comunicazione umana.
Attraverso il dialogo si mira a rendere il discepolo partecipe del procedimento della ricerca,
coprotagonista del processo educativo e fruitore di esperienze di confronto critico. Il dialogo
costituisce la condizione attraverso cui matura l’incontro con l’altro.
Alcuni filosofi e psicologi prospettano l’EMPATIA (con tale espressione Edith Stein indica la
percezione dell’altra persona nel suo valore peculiare e con il mondo di valori che essa si è fatto
proprio. Questo processo ha come conseguenza una retroazione su di me: empatizzando nell’altro,
si costituisce in me, soggetto empatizzante, un nuovo Io) come via pedagogica privilegiata per la
conoscenza e la realizzazione di sé. Il rapporto empatico si presenta come una possibilità autentica
di co-educazione tra maestro e discepolo ma anche tra persona e persona.
Chi sa sperimentare il coinvolgimento profondo dell’empatia trova accesso all’esperienza profonda
di sé. L’intersoggettività si traduce in un modello educativo progettato quale “cammino comune”
lungo il quale maestro e discepolo si riconoscono reciprocamente come soggetti. Esso è basato
sull’impegno di sincerità, di disponibilità reciproca, d’interazione e di comprensione, la PAROLA,
verbale o gestuale, svolge una funzione primaria nell’apertura all’altro, occupando un ruolo
strategico nel processo dell’incontro-dialogo. Con la parola la persona svela la sua ricchezza
interiore, l’irripetibilità e l’originalità della sua esistenza, i suoi predicati metafisici.
5.6. L’uomo con l’uomo di Martin Buber
Secondo MARTIN BUBER (il saggio Io e Tu del 1923 costituisce non soltanto un rilevante
apporto nel campo della filosofia dialogica, ma introduce anche suggestioni di notevole intensità nel
modo di pensare l’educazione dell’uomo, poi riprese in opere successive, fra cui, in particolare, Il
problema dell’uomo), l’individuo non avrà rotto la sua solitudine se non quando riconoscerà
nell’altro, in tutta la sua alterità, se stesso, l’uomo: se non quando aprirà un varco verso l’altro in un
incontro serio e trasformante.
L’interesse di Buber si rivolge alla categoria dell’INTERRELAZIONE che permette di rendere
piena ragione del rapporto IO-TU ritrovandosi con l’altro in una sfera comune. È la relazione
(definita sfera relazionale) che fa dell’uomo un uomo. La critica al soggettivismo si basa sulla
constatazione che non si può riconoscere la propria esistenza sulla sola base del pensiero senza
l’altro. Il peccato originale della modernità consiste nella riduzione dell’uomo a singolo. L’uomo
diventa io solo a contatto con il tu: l’io non è tale senza aver riconosciuto il tu ed esserne stato, a sua
volta, riconosciuto. La relazione Io-Tu (ben diversa da quella Io-Esso che oggettiva in modo
impersonale la relazione) ha una struttura colloquiale. Attraverso essa si snoda un continuo scambio
di ruoli: i soggetti in relazione si rivolgono l’uno all’altro e forniscono l’uno all’altro risposte
pertinenti.
La padronanza del mondo può avvenire soltanto attraverso la relazione dialogica, perché in essa
l’allievo cresce e forma il proprio carattere mediante l’incontro personale con l’educatore, nel clima
di comprensione creato dal maestro stesso. Ogni dialogo trae la propria autenticità se toccato da
un’esperienza di reciprocità. L’accesso alla pienezza interiore degli allievi avviene attraverso la
fiducia conquistata non una volta per tutte ma attraverso la condivisione della loro vita e
l’accettazione della responsabilità che tale partecipazione comporta.
5.7. Romano Guardini e la pedagogia dell’incontro
La riflessione filosofica e pedagogica di ROMANO GUARDINI, studioso tedesco di origini
italiane, si svolge nello stesso orizzonte fenomenologico in cui si situano altri importanti contributi
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