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DELL’ADOLESCENZA

3.1 un documento su cui siamo (quasi) tutti d’accordo

La convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia ed adolescenza contiene il più completo

riconoscimento dei diritti dei minori d’età; è stata approvata a New York dall’ ONU nel 1989; non è

ancora stata ratificata da Somalia e USA. Il suo potere in alcuni stati è stato ridimensionato da

clausole, tuttavia rimane almeno formalmente l’atto normativo internazionale più recepito. La

convenzione è frutto di un ventennio di elaborazioni e un’articolata negoziazione. Nella

convenzione si evince la ricerca di un giusto equilibrio tra l’istanza di riconoscimento dell’autorità

dei bambini e del loro diritto di esprimersi e autodeterminarsi e il contrapposto dovere dei genitori

di poteggerli e guidarli. La convenzione esclude i nascituri. L’effettivo godimento della convenzione

varia da Paese a Paese in quanto influiscono le risorse, il livello di sviluppo socioeconomico e di

democrazia effettiva.

Si divide in 3 sezioni:

I. dedicata ai diritti riconosciuti

II. al sistema di garanzie

III. contiene alcune norme attuative

riporta sia diritti civili che economico/sociali; viene spesso usata un’altra classificazione dei diritti,

ovvero quella delle 3 P:

protection diritti orientati alla protezione del minore o di alcuni aspetti della sua vita

o 

provision raccoglie le disposizioni per quanto concerne l’accesso ai servizi e alle forme di

o socializzazione

partecipation raggruppa i diritti civili e politici.

o

3.2 i cardini interpretativi della convenzione

Nella convenzione troviamo alcuni principi che orientano la lettura, riassumo lo spirito e

rappresentano gli aspetti innovativi.

- Art. 2: Principio di non discriminazione -> i diritti sono riconosciuti a tutti i bambini a

prescindere dal sesso, religione, colore, lingua, opinione politica o dei suoi genitori o tutori,

ecc.

- Art. 3: principio del best interest -> tutte le decisioni relative ai minori, di competenza delle

istituzioni pubbliche o private, dei tribunali, dele autorità amministrative o degli organi

legislativi, l’interesse del fanciullo deve predominare. La valutazione del miglior interesse

per il minore non può che passare attraverso l’ascolto dello stesso, e quindi attraverso il

riconoscimento del art. 12

- Art. 12: diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa

La nuova personalità giuridica del minore è determinata dal fatto che gli sono stati riconosciuti i

diritti soggettivi, ma anche fal prevedere un suo ruolo attivo nel processo di protezione e tutela.

3.3 il diritto all’ascolto

art. 12 stabilisce che è diritto del minore esprimere la sua opinione sulle questioni di suo interesse.

È composto da due facce complementari ovvero 1. Quella che vede il minore come parte attiva,

che si concretizza nella manifestazione di un pensiero, volontà, o di un desiderio; 2. Quella più

passiva in quanto destinatario dell’attenzione è l’adulto. I due aspetti costituiscono la modalità con

cui il minore partecipa ai contesti di vita in cui è inserito. La tutela di tutti i diritti riconosciuti al

minore passa per un’effettiva implementazione dell’articolo 12 in quanto solo attraverso la garanzia

del minore, che i suoi bisogni reali possono essere conosciti da quanti detengono nei suoi confronti

responsabilità educative, di cura e di rappresentanza. L’ascolto dunque è un mezzo essenziale per

l’individuazione del miglior interesse del minore. La corretta pratica dell’ascolto permette quindi

all’adulto educatore di stabilire con il minore una relazione feconda nella quale le de parti abbiano

pari dignità, pur nel rispetto dei diversi ruoli e responsabilità.

3.3.1 L’ascolto del minore come valore sociale

È necessario promuovere la diffusione dello spirito e della logica dell’ascolto autentico, affiche

diventi un elemento centrale nella relazione con il minore, a tutti i livelli, penetrando nei diversi

contesti di vita dei bambini e ragazzi. Ogni Stato dovrebbe promuovere dei corsi di formazione

rivolti dalle famiglie agli educatori sociali, dai funzionari alle forze dell’ordine; questa formazione

dovrà essere orientata alla trasformazione del pensiero sull’infanzia, poiché solo cambiando la

visione della società, apartire dalle categorie che svolgono ruoli strategici, si potranno avere nuove

prassi sufficientemente condivise per potersi radicare.

3.3.2 le condizioni per implementare il diritto di ascolto

Il livello di complessità dell’ascolto dipende dal contesto, dalle finalità e della situazione del minore

coinvolto; il livello di complessità richiederà diverse specifiche competenze tecnico- proffessionali.

Le diverse specifiche competenze professionali consento di affinare attitudini e curare il setting, ma

anche di trattare correttamente i contenuti raccolti, di interpretarli adeguatamente. Ci sono alcuni

elementi che caratterizzano ogni processo di ascolto e possono essere riassunti in 5 passi

1. Fase preparatoria: dove vanno fornite tutte le informazioni fondamentali (come si svolge

l’ascolto, cosa succederà, chi sarà coinvolto)

2. Ascolto vero e proprio: dovrebbe svolgersi in forma riservata ed essere il più autentico

possibile, garantendo al minore libertà di espressione, senza condizionamenti estreni

3. Valutazione delle opinioni del minore: alla luce del grado di maturità appurato durante

l’ascolto verranno valutate le opinioni del ragazzo e verrà deciso quale peso attribuirvi.

4. Restituzione al minore: dovrebbe esser fatta una restituzione rispetto all’interpretazione e al

peso dato alle opinioni. Al minore dovrebbe quindi esser concessa la possibilità du

contestare sia l’interpretazione che le implicazioni pratiche.

5. Reclamo a un’istanza esterna: qual’ora ci si accorga che il minore non è stato ascoltato o

che la sua opinione non sia stata tenuta in nessuna considerazione.

Al crescere della formalità della situazione questi passi dovranno essere sempre più articolati e

maggiormente definiti nella prassi.

Sono state individuate anche una serie di caratterische che dovrebbero avere ascolto e sulla base

delle quali poterne valutare il grado di effettività. L’ascolto dev’essere:

- Trasparente

- Volontario

- Rispettoso dal punto di vista del minore

- Condotto con modalità appropriate all’età del minore e non discriminatorie

- Sostenuto da adulti adeguatamente preparati

- Sicuro

- Valutabile per i risultai che ha prodotto

3.4 il diritto alla partecipazione

La convenzione disegna il profilo di un minore dotato di autonomia, inteso come soggetto che fa

parte a sé. Questo nuovo minore dovrà essere seguito passo passo dall’adulto che lo incoraggerà

ad essere protagonista, delle scelte e delle valutazioni che lo interesseranno; e man mano che il

bambino acquisterà capacità d’agire il ruolo dell’adulto si dovrà fare sempre più marginale. In

quest’ottica la convenzione non sminuisce bensì rafforza il ruolo dell’adulto affidandogli un ruolo

educativo.

3.4.1 la partecipazione espressa nel art.12

È uno dei cardini interpretativi della costituzione in quanto riassume il diritto di partecipazione del

minore; partecipazione intesa come possibilità che ladulto da al minore di interagire, essere

coinvolto, di svolgere un ruolo da protagonista, il quale chiede che l’opinione espressa produca

degli effetti. Il fatto che sia data la possibilità al minore di esprimere la propria volontà non implica

che si debba esaudire la sua volontà. Rendere il minore partecipe non significa attribuirgli potere

decisionale.

Cap. 4 ADOLESCENTI IN DIFFICOLTÀ: IL PUNTO DI VISTA PEDAGOGICO

4.1 stereotipi e stigmi: adolescenti criminali, delinquenti, bulli…

Lo stereotipo (= pregiudizio) è un’opinione precostituita su singoli soggetti o su determinati gruppi

di persone. Dunque esprimere un’opinione stereotipata vuol dire esprimere un giudizio secondo i

criteri di un personale pregiudizio.

Lo stigma sta ad indicare una caratteristica precisa della persona o del gruppo; questo sarà motivo

di classificazione, etichettamento in senso negativo. (il bullo, l’incapace ecc).

La stigmatizzazione e l’etichettamento sono processi pericolosi in quanto l’educatore, se si ferma a

ciò, non riesce ad avere una visione reale e comprendente dell’adolescente; inoltre questi processi

possono causare nel soggetto stigmatizzato, etichettato un comportamento conforme alle attese

esterne.

Difronte a situazioni complesse e problematiche in cui vivono i ragazzi è facile usare pregiudizi o

etichette, in quanto offrono una scorciatoia, se pur sbagliata.

Oggi sono comunemente usati tanti stereotipi, da cui derivano giudizi affrettati e pregiudizi, si

usano, anche troppo, atteggiamenti semplificatori nei confronti degli adolescenti in difficoltà usando

come schermo le regole e atteggiamenti punitivi per correggere e limitare i comportamenti

“devianti”.

L’approccio educativo si basa sul presupposto che nessun’adolescente è una mela marcia, che

nessuno va espulso (es. da scuola), ma che tutti hanno il diritto di essere aiutati anche più volte;

questo richiede agli educatori un’elevata formazione e degli investimenti adeguati nell’educazione.

4.2 le storie dei ragazzi in difficoltà

In passato la biografia di una persona era di pertinenza delle discipline come la storia e la

letteratura, poi in tempi più recenti ha acquisto importanza anche per le scienze sociali, nella

fattispecie per la pedagogia. Si è infatti compreso che è fondamentale ricostruire la storia

dell’adolescente, la quale è un elemento imprescindibile del processo educativo o rieducativo; è di

fondamentale importanza comprendere le concrete vicende formative, i vissuti, ricostruire le

attribuzioni di significato e le elaborazioni che ha fatto l’adolescente. Dunque un comportamento

dissonante o deviante, non nasce per caso senza alcun motivo, bensì è sempre frutto di una

sequenza di vicende problematiche attraverso cui l’adolescente non ha trovato un ancoraggio

sicuro a cui potersi sostenere; questo ancoraggio è fondamentale in quanto le difficoltà provate dal

ragazzo sono tali da non poter essere affrontate in autonomia.

4.3 una lettura educativa degli adolescenti in difficoltà. La difficoltà come categoria

pedagogica

Etichettando i ragazzi (come bulli, il drogato, l’alcolizzato ecc) ovvero riconoscendoli solo

attraverso le loro azio

Dettagli
A.A. 2017-2018
52 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/04 Psicologia dello sviluppo e psicologia dell'educazione

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher alessia.demarin di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Pedagogia della marginalità e della devianza minorile e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Trieste o del prof Santamaria Franco.