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PARTE PRIMA: UNA NUOVA VIA VERSO LA SCUOLA INTERCULTURALE
Nessuno chiama più la scuola secondaria di primo grado “scuola media unica”, ne qualcuno si
sogna di parlare di “classi miste” riferendosi alla presenza nelle aule di femmine e maschi le une
accanto agli altri; sono entrambe situazioni assodate, considerate normali. Ciò non e avvenuto
invece per le trasformazioni che riguardano la presenza di alunni di diversa nazionalità e con
differenti scelte culturali. Si parla ancora di scuola multiculturale o di classi multietniche.
Cap. 1 Educazione alla pace per una scuola interculturale.
1. Educare alla pace e alla gestione dei conflitti per una scuola interculturale.
Negli ultimi anni si e assistito a una serie di progetti di intercultura rivolti alle scuole e si è sentito
parlare di educazione alla pace e alla gestione dei conflitti applicata al contesto scolastico. Infatti,
sia l’educazione alla pace che la formazione alla gestione dei conflitti hanno molto da offrire per un
cambiamento della scuola orientato al benessere dei suoi membri e a una migliore qualità delle
relazioni al suo interno, in una prospettiva realmente interculturale. Sotto il nome di educazione
alla pace spesso passano progetti che hanno i contenuti e le modalità più disparate: educazione
alla legalità, allo sviluppo, alla mondialità ecc. Proposte valide in se ma che rischiano di creare un
calderone. Se l’obiettivo è quello di diffondere all’interno del proprio istituto una cultura della pace e
di promuovere una sana convivenza multiculturale, non è sufficiente limitarsi a parlare di buoni
sentimenti o di quanto è necessario valorizzare le diversità, senza provare a fornire degli strumenti
di lettura della realtà, capaci di creare un vero cambiamento.
2. Due approcci (e una sintesi) per il benessere della scuola.
Gli strumenti utili in questo senso possono derivare dalla tradizione, dalla filosofia e dalla pratica
della nonviolenza e dalla mediazione costruttiva dei conflitti. Entrambi gli approcci possono
arricchirsi vicendevolmente: la mediazione può portare alla prospettiva nonviolenta una maggiore
concretezza nel processo di analisi dei conflitti, ma se applicata solo come strumento e non
assunta come atteggiamento nel vivere una situazione conflittuale rischia di cadere in un
eccessivo tecnicismo. La nonviolenza può aiutare la mediazione a non cadere in un esasperato
relativismo etico e permette di prestare maggiore attenzione ad eventuali asimmetrie di potere. La
pratica della mediazione presuppone che il mediatore mantenga una posizione equidistante,
facilitando il dialogo tra le parti, che rimangono responsabili della soluzione del loro problema. La
nonviolenza rischia di assumere un aspetto troppo ideologico, che favorisce l’assunzione di
atteggiamenti troppo giudicanti, a volte in contrapposizione. Insieme, la mediazione e la
nonviolenza offrono una serie di principi e strumenti importanti. La forma con cui vengono applicati
non è univoca e automatica, ma richiede una lettura del contesto e una scelta individuale o
collettiva rispetto a quale tipo di cambiamento si vuole incentivare. Senza queste operazioni anche
il più specializzato intervento di educazione alla nonviolenza e alla mediazione rischia di fallire.
La scuola deve utilizzare un approccio integrato e sistemico allo scopo di fornire strumenti concreti
per gestire le situazioni conflittuali che si presentano nelle classi, nel collegio docenti o nel
colloquio con i genitori. Il diffondersi di una cultura della mediazione e della nonviolenza favorisce
l’affermarsi di un clima caratterizzato da fiducia, responsabilità e ottimismo non ingenuo: in una
parola nella scuola va diffondendosi un maggiore benessere individuale e collettivo.
3. Un esempio: il conflitto interculturale.
Il malessere della scuola negli ultimi tempi è stato identificato, oltre che nei disinvestimenti
governativi nei confronti del settore, col fenomeno delle classi multiculturali, con la difficoltà, cioè,
ad integrare nel gruppo classe e nel sistema scolastico italiano gli alunni appartenenti ad altre
culture. Molti bambini e ragazzi di origine straniera vivono situazioni di profondo disagio nella
scuola e gli alunni e i loro insegnati spesso non sanno come relazionarsi a loro. Dea qui
scaturiscono incomprensioni, paure, litigi ed episodi che vengono etichettati col nome di razzismo.
Considerare le difficoltà di inclusione scolastica degli alunni stranieri con un problema di incontro o
scontro tra culture è pericoloso, poiché la cultura non è uno stigma che caratterizza una persona,
non è una cosa che appartiene a qualcuno, ma è un insieme complesso di costumi, credenze,
abitudini, costantemente sottoposto ad evoluzione e a processi di ibridazione. Le persone non
sono portatrici di cultura, semmai le attraversano. A scontrarsi sono persone non culture. Il
cosiddetto scontro interculturale a scuola nasce da un disagio del gruppo e quindi bisogna
applicare un intervento incentrato sui conflitti all’interno del gruppo classe e non solo sull’individuo
come, per esempio, il bambino straniero neoarrivato.
La scuola multiculturale è una sfida educativa che coinvolge l’intera comunità scolastica, la quale
pertanto è chiamata a dotarsi di strumenti adatti per affrontarla e per prevenire degenerazioni.
5. Educazione alla pace: il nostro contributo a una tradizione di lavoro educativo.
Nel cammino per la pace l’educazione riveste un ruolo fondamentale. Negli anni ’30 Maria
Montessori è stata tra le prime studiose a livello mondiale ad affermare la necessità di educare alla
pace e a delinearne i punti fondamentali nel suo progetto di una scuola liberante e
responsabilizzante per i bambini, ma è a partire dagli anni ’50-’60 che nel nostro paese si sono
sviluppate le più interessanti esperienze educative miranti alla costruzione di una società più giusta
e pacifica: Danilo Dolci in Sicilia, la scuola di Barbiana in Toscana, le impostazioni educative di
maestri come Mario Lodi. Fino agli anni ’70 però i contributi per una educazione alla pace sono
stati più che altro interventi, esperienze o riflessioni isolate di alcuni intellettuali come Lamberto
Borghi, Aldo Capitini, Danilo Dolci e Don Milani. Solo dagli anni ’80 in Italia si cominciano ad
avviare iniziative formative dirette all’educazione alla pace e si organizzano convegni e seminari
per creare un reale confronto su tema. Gli anni ’80 del 900 furono infatti un decennio segnato da
forti preoccupazioni legata alla ripresa della corsa agli armamenti (Euromissili), da allarmi ecologici
rinforzati anche da disastri come quello di Chernobyl e dall’emergere della consapevolezza degli
squilibri nord-sud del mondo, che richiamarono un’esigenza di maggiore giustizia e di una più
decisa lotta alle disuguaglianze. Inoltre, sul finire del decennio, ci fu la disgregazione del blocco
sovietico simboleggiata dalla caduta del muro di Berlino. Si comprende come gli anni ’80 siano
stati un periodo che sottopose l’opinione pubblica e la scuola ai temi della guerra e della pace.
Corrispose pertanto un aumento dell’attenzione verso l’educazione alla pace, che invase il dibattito
scientifico, pedagogico e non solo dando vita una stagione di convegni, seminari e alla nascita di
organizzazioni finalizzate alla diffusione di una cultura di pace. Una stagione che, dopo una fase di
latenza, si è riavviata a partire dal 2001 dinanzi allo scontro di civiltà che appariva dominante. A
partire dagli ultimi anni del 900 si è andata sempre più diffondendo la consapevolezza che, per
educare alla pace, sia necessario formare a gestire costruttivamente i conflitti, attraverso corsi di
mediazione. In Italia, a contribuire a rendere popolare quest’approccio è stato Daniele Novara e il
centro psicopedagogico per la pace da lui fondato. Negli ultimi anni, nel contesto scuola, la
preoccupazione per l’educazione alla pace si è rivolta alla prevenzione e al contenimento del
fenomeno del bullismo, all’accoglienza dei bambini stranieri e alla corretta convivenza nella scuola
interculturale. Oggi educare alla pace nella scuola significa promuovere un nuovo modo di
convivenza nonviolenta basata sul dialogo, capace di prevenire le contese inutili e affrontare
costruttivamente quelle necessarie, interrogandosi su come considerare e approcciare le diverse
diversità che si incontrano a scuola.
CAP. 2 CONFLITTI, DIFFERENZE, CULTURE, DIALOGO
1. Conflitti e differenze.
All’origine dei conflitti vi è quasi sempre una differenza nei punti di vista, nelle credenze, negli
interessi, nelle opinioni, negli obiettivi. Secondo Dudley Weeks il conflitto è un prodotto naturale
della diversità. I conflitti interculturali presentano alcune caratteristiche particolari che ne rendono
delicata la gestione: 1) l’assenza di regole comuni cui entrambe le parti implicate nel conflitto
possono far riferimento; 2) il fatto che spesso a scontrarsi/ incontrarsi non sono solo tradizioni o
stili di vita, ma le valutazioni sui valori etici, cioè ognuno potrebbe giudicare giusto fare o non fare
una cosa secondo i propri parametri.
2. Scontri tra culture.
È molto diffusa la convinzione che i conflitti debbano risolversi seguendo la logica della
ragione/torto e pervenendo ad una conclusione vincitore/vinto. Tale logica è inappropriata a gestire
conflitti perché non c’è una legge riconosciuta da tutti. Essa, tuttavia, continua ad avere successo
nella mentalità collettiva. Ogni cultura viene concepita come entità ben definita, dotata di
caratteristiche chiare e stabili, ognuna delle quali ben distinta dalle altre: i valori e gli atteggiamenti
di cui ciascuna è portatrice sono incompatibili con quelli di altre culture; pertanto, nel caso di un
avvicinamento o competizione, lo scontro è inevitabile. Si può scegliere la via dell’indifferenza o di
una benevola tolleranza. In tutti i casi il risultato è lo stesso: si produce violenza.
3. Culture: entità o processi?
Bisogna superare la sociologia riduzionista della cultura a favore di un costruzionismo sociale. La
prima considera la cultura come qualcosa di statico, collegabile ad un determinato gruppo di
persone e determinante l’identità degli individui che ne fanno parte. Invece, il costruzionismo
sociale ha mostrato che le forme culturali nascono come prodotto della comunicazione. Le culture,
dunque, non sono degli oggetti, ma delle pratiche sociali e si costituiscono attraverso complessi
dialoghi con le altre culture. La cultura è qualcosa che circola, non è un bagaglio di simboli e valori
imposti, ma un insieme di idee e simboli disponibili per l’uso, una risorsa sociale, una cassetta
degli attrezzi.
4. Piccolo gl