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A DeMause si deve il primo studio accurato e documentato dell’infanticidio.

Storia dell’infanzia raccoglie una serie di brani di provenienza molto differente che fanno capire la

distanza psicologica nell’approccio alla violenza tra noi e le società che ci hanno preceduto. Nella

Grecia del V secolo, Euripide scriveva tragedie teatrali all’interno dei quali i personaggi si

muovevano in un’ambientazione reale: i bambini venivano annegati nei fiumi, buttati nei letamai e

nelle fogne, chiuse in giare a morire di fame e lasciati sul ciglio della strada. Sempre nella Grecia

del IV secolo a.C., Aristippo proclama il diritto di ogni uomo di poter fare dei suoi figli ciò che

crede, anche eliminarli come altre cose inutili da lui prodotte. Ilarione è un autore di alcune lettere

che lascia alla moglie durante la gravidanza per un viaggio di lavoro: nella sua lettera c’è scritto

«Se come mi auguro partorirai un maschio lascia che viva, se è una femmina abbandonala».

Plutarco parla dei cartaginesi e si riferisce quindi ad una società di qualche secolo a lui

precedente, ricostruendone usi e costumi: i cartaginesi erano consapevoli di offrire i loro figli in

sacrificio. Coloro che non ne avevano li compravano dai poveri e tagliavano loro la gola come

degli agnelli. Seneca, un filosofo romano del I secolo d.C., esorta i contemporanei ad affogare i

bambini che al momento della nascita erano deboli o anormali. Bisogna aspettare il Medioevo per

vedere dei cambiamenti. Si comincia a parlare di infanticidio come omicidio a partire dal IV

secolo, più precisamente dal 374 d.C., considerato tale proprio da una legislazione. I Padri della

Chiesa condannano l’infanticidio perché metteva in serio pericolo la salvezza dell’anima dei

genitori. Ma anche questo elemento non era sufficiente e la pratica ha continuato a perdurare

anche se in modo nascosto. Esistono una serie di tracce indirette che mostravano ancora la

pratica dell’infanticidio. La pratica perdura come si evince da alcuni elementi:

- il rapporto tra i due sessi, poiché c’erano più bambini che bambine;

- fino al XVI, i casi in cui l’infanticidio è punito come reato sono sporadici;

- in tutti i documenti ufficiali il numero delle nascite illegittime è assai modesto.

Non sempre alla base della morte procurata del figlio vi sono comportamenti intenzionali. Si parla

infanticidio accidentale

di nei casi in cui il decesso del bambino avviene come conseguenza non

voluta di comportamenti messi in atto dall’adulto. La causa può risiedere in conseguenze magico-

superstiziose o pseudoscientifiche che spingono a mettere in atto pratiche ritenute salutari o

curative per il bambino che le subisce, ma che invece provocano sofferenze e traumi tali da

pregiudicarne la sopravvivenza. Per lungo tempo si è ritenuto che l’acqua gelida (l’usanza di

sottoporre il bambino a bagni freddi per renderne forte e temperato il corpo debole e immaturo), il

fuoco (per scongiurare l’epilessia era appropriato provocare ustioni sul collo del bambino), il

sangue, l’urina e il sale fossero sostanze con poteri propiziatori, cioè che portavano il bene, e

apotropaici, cioè che allontanavano il male. Quando la gravidanza ha termine e il bambino nasce

disabile, si va a cercare la colpa in qualcuno che ha fatto qualcosa di male o qualcuno che vuole

male a qualcun altro.

istituzionalizzato

L’abbandono è un’altra pratica di lunga durata che caratterizza l’infanzia nei

tempi passati. “Istituzionalizzato” significa riconosciuto e regolamentato all’interno delle società:

ci sono luoghi e modalità per abbandonare i bambini. La prima forma di abbandono

istituzionalizzato è quello della vendita: i bambini erano di proprietà dei genitori e la loro vendita

era un atto documento in ogni popolo. Ancora nel VII secolo d.C., l’arcivescovo di Canterbury

vietava la vendita dei figli come schiavi dopo i 7 anni, età del bambino in cui si considerava finita

l’infanzia. Dopo questi anni, i bambini erano considerati grandi e i genitori non avevano più diritto

di venderli. Nella Russia zarista dell’Ottocento, il commercio dei bambini, o anche detta “tratta dei

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minori” che consiste nella vendita del figlio per un misero compenso, diventa illegale. Anche il

servizio che offre la balia è una forma di abbandono istituzionalizzato: i genitori lasciano il

bambino ad un’altra persona per dedicarsi ad altre pratiche. Uno dei meccanismi che può portare

una persona, e in genere i bambini, a diventare posseduti da altre persone è il debito contratto o

“servitù da debito”. Un genitore è disposto a far ciò perché non ha la possibilità di maneggiare

denaro. Il prestatore decide la somma del denaro per far lavorare il bambino per un determinato

periodo di tempo. Certe volte i bambini vengono trattenuti per un tempo maggiore rispetto a

quello stabilito o addirittura per tutta la vita finché il bambino non moriva.

infanticidio indiretto,

L’abbandono può anche essere visto come un secondo DeMause, in tutti

quei casi in cui i genitori hanno un problema da risolvere e devono o vogliono rinunciare al figlio.

L’abbandono può essere inteso come un abbandono indiretto per raggiugnere l’obiettivo di

uccidere il figlio, evitando di compiere il gesto pratico di togliere la vita al bambino. L’infanticidio

viene così sublimato e si lascia il pensiero che il bambino può essere ancora vivo perché

qualcuno potrebbe averlo preso in custodia. Ma in realtà si è consapevoli che non è così. Il padre

decide se un figlio deve essere ucciso, mentre è la madre a compiere l’atto di uccisione. Tra gli

autori che hanno studiato il fenomeno dell’abbandono c’è Boswell, studioso di demografia, cioè

di quei processi di trasformazione della popolazione europea. Fino al IV secolo, la maggioranza

delle donne che avevano più di un figlio, ne avevano abbandonato almeno uno. Inoltre, nei primi

tre secoli d.C., è stato abbandonato in Europa tra il 20 e il 40% di tutti i neonati.

Il contributo di DeMause viene riassunto attraverso sei fasi “psico-storiche” per far capire

l’evoluzione degli approcci dei genitori versi i figli:

1. l’infanticidio (fino al IV secolo);

2. l’abbandono (fino al XIII secolo);

3. l’ambivalenza (nel XIV e nel XVII secolo);

4. l’intrusione (nel XVIII secolo), che segna il periodo in cui si comincia a ragionare di educazione

nell’infanzia. Ma l’educazione serve per entrare nel mondo dei grandi;

5. la socializzazione (dal XIX secolo alla prima metà del XX secolo), che significa che il lavoro di

educazione dell’infanzia non è solo compito del genitore e dell’insegnante ma è un’esigenza

sociale;

6. l’aiuto (dalla seconda metà del XX secolo), in cui si osserva nel rapporto genitori-figli una

raggiunta pienezza per quanto riguarda la disponibilità ad entrare in una profonda relazione

empatica. I genitori esistono per i loro bambini.

Capitolo5: Dalla tutela ottocentesca al Novecento dei diritti

L’Ottocento è un secolo decisivo nella storia dell’infanzia: è il secolo-cerniera poiché troviamo

profonde permanenze del passato ed elementi di radicale novità che influiscono sulle condizioni

materiali di vita dei bambini. Il secolo XIX è anche il momento in cui sorge una forma di attenzione

sociale, detta tutela, nei confronti dell’infanzia. La società ottocentesca manifesta in maniera

chiara la volontà di assumere nuove responsabilità verso questa fascia particolare di popolazione.

Nel corso del Novecento i bisogni saranno interpretati come diritti fondamentali. Quello che

cambia con l’Ottocento è l’ingresso di un soggetto nuovo nel campo della protezione dell’infanzia

che soffre di povertà, malattie e solitudine: il governo dello Stato nazionale. Secondo lo Stato,

agire verso i bambini significa salvare gli adulti che diventeranno. Dal 1861 e per tutta la seconda

metà del secolo, il governo italiano concentra i propri sforzi soprattutto attorno a tre emergenze

sociali: l’analfabetismo, lo sfruttamento economico e le violenze familiari. Ciò che avviene nei

principali paesi occidentali durante l’Ottocento è una maggiore attenzione agli aspetti legislativi

riguardo all’infanzia. Gli interventi ci sono, ma sono sporadici perché manca un’organizzazione

politica in grado di sistematizzare questi interventi. Lo Stato si presenta come “protettore”

dell’infanzia: l’infanzia è una categoria da proteggere e da tutelare. Lo Stato, sul piano retorico

protegge, ma sul piano politico controlla. Uno dei primi interventi si trova all’interno del codice

civile Zanardelli del 1865, dove si fa un appello ai genitori affinché si assumano responsabilmente

Proibizione delle professioni girovaghe:

i propri doveri di cura. Nel 1873 si arriva alla legge sulla è

un problema diplomatico perché, fin dalla metà degli anni Sessanta, cominciano ad arrivare delle

lamentele al governo italiano da parte delle opinioni pubbliche straniere che si lamentano di una

massa di bambini poveri che chiedono elemosina per le strade. A causa loro, l’immagine dell’Italia

è molto sconveniente per lo Stato italiano, il quale arriva a proibire questa professione girovaga.

Una volta che queste attività vengono proibite generano ancora più profitto perché finiscono nelle

mani di poche persone che ne traggono un enorme guadagno. I bambini vengono quindi sfruttati

in attività illecite da dei protettori che li continuano a mandare a girovagare per le strade. Sarà

compito della polizia arrestare questi bambini girovaghi e sfruttati. Un altro problema che 9

comincia ad essere visibile dopo il fallimento dell’obbligo di istruzione, e in particolare dopo il

dell’obbligo di istruzione Legge Casati

fallimento dell’Introduzione con la del 1861 e dell’Obbligo

scolastico Legge Coppino

con la del 1877, si constata nel 1886 il problema che i bambini

continuano a non andare a scuola. È necessario mettere le famiglie nelle condizioni di riconoscere

questa obbligatorietà. Il problema di fondo è a quale età è bene far cominciare i bambini a

lavorare. La legge del 1886 introduce per la prima volta nella legislazione italiana il concetto di età

minima lavorativa: i bambini al di sotto dei 9 anni non possono essere utilizzati nei lavori

industriali. Il problema ha una radice esclusivamente economico perché il sistema si alimenta del

lavoro facilmente sfruttabile dei bambini. L’economia non può fare a m

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A.A. 2017-2018
21 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PED/01 Pedagogia generale e sociale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher likelikelike di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Pedagogia dell'infanzia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Macinai Emiliano.