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CAPITOLO VI IL CORPO NELLA RELAZIONE EDUCATIVA AL NIDO (L. Bichi)
La riflessione e il contatto con il corpo vissuto del bambino è indispensabile per costruire una relazione
educativa significativa.
Il corpo che siamo o i corpo che abbiamo?
Attraverso il corpo ogni individuo riconosce se stesso come identità, incontra gli altri, riconosce il mondo. il
corpo, nei processi educativi che accompagnano lo sviluppo, troppo spesso viene relegato ad un valore
secondario rispetto ai fattori cognitivi. Non è tanto il secondo posto attribuito al corpo che gli fa perdere
valore ma è la divisione stessa tra mente e corpo che impedisce di vedere l’interezza.
Assumere il corpo come categoria del pensiero significa delineare una pedagogia in grado di incarnarsi
nell’esperienza sensibile, consapevole delle radici corporee del sapere. Significa tracciare percorsi formativi
che fanno parte del corpo vissuto lo snodo soggettivo, intersoggettivo sul quale pesano sia un secolare
interdetto educativo sia una profonda e improrogabile domanda di ascolto. Sempre legata alla sfera
corporea esiste una profonda differenze fra comprendere e spiegare. La prima azione implica una presa,
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un’esperienza concreta legata al corpo, la seconda invece, si lega all’intelletto e diventa significativa
solamente se vi è stata esperienza diretta. Se le conoscenze significative si legano così tanto all’esperienza
sperimentata con il corpo occorre considerare seriamente il ruolo che esso svolge all’interno dei contesti
educativi. Essere consapevoli dell’importanza che il corpo riveste nello sviluppo psichico, affettivo, di
apprendimento è di estrema importanza per l’educatore soprattutto se pensato in questo contesto storico
dove gli spazi e i luoghi dei giochi di movimento sembrano ristringersi e sparire sempre di più. Porsi nella
relazione con il corpo-soggetto significa incontrare il bambino nella sua dimensione corpo. Se questo
incontro non avviene è possibile imbattersi nel rischio di proporre attività fortemente cognitive anche
presentate in modo precoce nella vita del bambino a scapito di proposte da sperimentare con l’intero
corpo. Anche per quanto riguarda la routine e le programmazioni, se viene perso il contatto corporeo con il
bambino, rischiano di diventare inutili, per non dire dannose, perché in esse si maschera la possibilità di
perdere di vista il bambino con i suoi bisogni, i suoi tempi, i suoi desideri nel tentativo di ottimizzare il più
possibile i momenti strutturati. Il momento del pasto, del cambio del pannolino, del pisolino, il momento
dell’attività, del tempo libero in giardino solo per fare alcuni esempi, non sono solo momenti che servono
per accudire il corpo-soggetto nei rispettivi orari o per adempiere la lista delle attività da fare secondo la
programmazione, ma si iscrivono nell’esperienza totale del bambino come corpo-soggetto. Solo in questo
modo può esserci comprensione da parte del soggetto in formazione.
Il vissuto del corpo del bambino
Nello sviluppo del bambino il corpo ha un ruolo fondamentale, non soltanto perché è l’elemento di
cambiamento maggiormente visibile, ma perché p grazie ad esso che il bambino impara a conoscere il
mondo, se stesso e gli altri. Il corpo prende su di sé i cambiamenti lasciati dal tempo e da ciò che è stato
vissuto, ed è la parte immediata mostrata agli altri. La consapevolezza di essere un soggetto distinto dal
mondo non fa da subito parte del soggetto, ma è qualcosa che il bambino costruisce nella sua storia. La
nascita è il momento in cui inizia l’incontro tra l’io e il mondo.
Il corpo del neonato è sofferente, incapace cioè di sopravvivere senza il corpo dell’altro, che rimane un
punto importante non solo come fonte di nutrimento, ma anche per dare amore, protezione e
manifestazione d’affetto. Il bambino rimane per gli autori, alla continua ricerca di piacere e dello stato di
benessere. Qualsiasi alterazione dello stato di quiete provoca uno squilibrio che il bambino manifesta con il
pianto che richiama a sé la persona che se ne prende cura per ristabilire un equilibrio che non sarà mai
permanente ma sempre precario. Proprio perché l’esperienza della continuità del benessere sperimentata
nella vita intrauterina finisce con la nascita. Il bambino inizia a provare i bisogni come la fame, la sete.. la
nascita però non porta con sé una differenziazione netta tra io e non io. Il bambino infatti continua a
sentirsi confuso nei suoi limiti, non si sente distinto dalla madre o dagli oggetti. Le prime sensazioni che
sperimenta a contatto cin il mondo sono frammentarie. La mano, il volto sono percepiti come buoni o
cattivi rispetto alla sensazioni gradevoli o sgradevoli che riceve. La globalità fusionale viene ritrovata nel
contatto con l’adulto, questo contatto va oltre alla soddisfazione dei bisogni primari perché in essa avviene
anche un incontro affettivo e relazionale. La fusionalità periodica rappresenta un tornare indietro da parte
del bambino, ma questa regressione è importante perché permette lo sviluppo del bambino stesso.
Secondo i due psicomotricisti il contatto corporeo è più efficace per l’acquisizione della coscienza di sé, del
riconoscersi ad un’immagine riflessa ad uno specchio. È nel momento in cui il bambino inizia a sentirsi
unificato che comincia ad essere parte attiva della relazione cessa di essere solo colui che è preso nell’
abbraccio ma diventa anche colui che vuole prendere, cercando quindi la permanenza dello stato fusionale
con il corpo dell’adulto. L’oscillazione dell’assenza e della presenza dell’altro fa nascere nel bambino
l’angoscia e la paura di perdita permanente. Il bambino accarezzato, coccolato viene coinvolto totalmente
con tutto il corpo, ciò lo aiuta a prendere coscienza di sé.
Per Spitz il bambino è l’elemento somatico per eccellenza. L’autore sostiene che: ogni funzione psichica, si
tratti di sensazione, di percezione, di pensiero o di azioni presuppone un’ investimento libidico, vale a dire
un processo affettivo. La libido si origina nel corpo e in esso trova parti privilegiate in cui l’investimento è
tale che non sono più zone neutre ma diventano zone erogene perché producono piacere. Nella fase orale
è la bocca l’organo investito dalla libido. 14
La Klein introduce anche l’aspetto delle pulsioni aggressive che nei primi stadi vitali hanno la priorità. A
testimonianza di ciò è secondo l’autrice il rapporto ambivalente verso il seno; aggredito anche con morsi.
Questo significherebbe che bel neonato è presente una relazione oggettuale precoce e quindi esiste la
possibilità di un organizzazione pulsionale fin dall’inizio della vita. Spitz rifiuta l’ipotesi di uno psichismo alla
nascita opponendosi alla klein. E infatti, spitz parla del bambino come essere prettamente corporeo, cioè
formato da funzioni biologiche. Secondo l’autore, infatti le attività mentali, sorgono in seguito in modo
graduale, procedendo dall’indifferenziato al differenziato, partendo proprio dell’aspetto fisiologico. Questa
prevalenza del corpo rispetto alla percezione visiva prende il nome di somatopsiche: è un periodo in cui il
bambino intesse con la madre un rapporto tonico. Solo successivamente il bambino passa da una situazione
fisiologica ad una percezione vera e propria.
Per Winnicotti il bambino ha sin dalla nascita una vita psichica e per questo lo definisce come unità
psicosomatica. L’attività mentale sarebbe una funzione adattiva dello psiche- soma all’ ambiente,
permetterebbe quindi la formazione dell’individuo. Il vissuto del corpo andrebbe a formare il sé, cioè
l’esperienza di un vissuto continuo che si origina nel corpo e si modella nella relazione duale tra madre e
bambino, infatti le esperienze esterne legate alle cure materne e quelle interne collegate alle forze
pulsionali, tendono ad essere unificate in un tutto unico, favorendo, oltre all’integrazione, anche ciò che
l’autore definisce personalizzazione. Con questo termine winnicott intende l’acquisizione progressiva di
vivere nel proprio corpo. Al fine si sviluppi il sé il bambino ha bisogno di vivere in un ambiente quasi
perfetto con una madre sufficientemente buona, perché è importante che ogni tanto abbia delle
mancanze. Tre sono i ruoli che la madre dovrebbero adempiere: il primo è l’holding: questo riguarda il
sostegno, non solo fisico, ma anche psichico, dato che inizialmente il bambino è incluso nel funzionamento
psichico della madre. Il secondo ruolo è dato da Handling che consiste nella manipolazione del corpo, sia
attraverso cure di igiene personale, sia attraverso carezze e scambi cutanei. Il terzo ruolo si riferisce
all’’object presenting cioè alla capacità della madre di mettere a disposizione l’oggetto nell’esatto
momento in cui ne ha bisogno, né troppo tardi né troppo presto ma in modo tale che il bambino abbia il
sentimento onnipotente di aver creato magicamente quest’ oggetto. Questa attività mentale del bambino
permette di trasformare un ambiente sufficientemente buono in uno perfetto.
L’incontro con l’altro nella relazione educativa:
La nozione del corpo non può essere compresa se non si tiene conto dell’altro come conformatore. Il
bambino appena nato non può sopravvivere da solo, ma necessita di un altro non solo per il
soddisfacimento dei bisogni primari ma anche per appagare il bisogno di essere amato, manipolato,
accolto, contenuto, ha bisogno cioè di azioni che lo facciano sentire completo. Quando il bambino nasce
non è ancora un essere formato in grado cioè di utilizzare in modo coordinato il proprio corpo, non
percepisce infatti il mondo nel suo insieme, ma frammentariamente. È attraverso il corpo e la motricità che
il bambino entra in contatto con il corpo scoprendolo pian piano scoprendo sé stesso. L’esperienza e la
sperimentazione che il bambino fa nei suoi movimenti e nelle risposte che riceve sono molto importanti,
perché sono queste che danno senso al movimento stesso. Il senso lo si ritrova subito nell’incontro tra
bambino e adulto. In questo incontro le due parti si trovano in due posizioni opposte e solo nell’insieme
compiono un’azione. Il gioco è l’espressione di una duplice intenzionalità: avvicinarsi all’altro per prenderlo
e per fargli dono di sé, in modo che, allo stesso tempo, qualcosa possa accadere. Questi giochi creano
ritmo, e un contatto con il mondo. Così la comunicazione non sarà mai puramente verbale, ma passerà
attraverso il nostro corp