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Estratto del documento

Lo spettacolo non è immagine e metafora, è azione reale. C’è alleanza tra azione e parola. Solo

l’azione è viva, ma solo la parola rimane.

Quipu

Le teorie sono macabre quando inchiodano un pensiero a concetti e parole che invece furono

veicoli provvisori, canoe. Provvisorio non vuol dire casuale, né incerto, vuol dire che il fluire della

terminologia segue il fluire del pensiero nel mutare delle circostanze. Il teatro è atto, emanazione

ininterrotta, in esso non vi è nulla di fisso. È un atto vero, quindi vivo. Le metafore sono pericolose,

ma è impossibile non usare metafore. Sarebbe la rinuncia a trasmettere l’esperienza. La

terminologia usata in questo libro deriva dalla pratica, dagli allievi che durante il lavoro definivano a

parole quello che capivano e sentivano del processo creativo. La loro terminologia è valida perché

comprensibile a coloro che iniziano a praticare arte. Non bisogna cercare il retroscena scientifico di

queste parole (come inconscio), si usano nella loro accezione più semplice. Prese alla lettera

diventano piombo e ci cadono addosso. Gli antenati parlavano con quipu, con messaggi fatti di

nodi, che per gli Inca erano semplici promemoria contabili. La specificità del teatro è il contatto vivo

e immediato tra attore e spettatore; è necessario trovare una struttura spaziale unificante per attori

e spettatori, senza cui il contatto resta affidato al caso. Lo spettacolo è la scintilla che scaturisce

dal contatto fra due ensembles: quello degli attori e quello degli spettatori; il regista modella questo

contatto per colpire l’inconscio collettivo dei due. Grotowski amalgama divergenze, tensioni,

paradossi per frantumare il significato univoco dell’azione. Costruisce sistemi di collisioni fra i

diversi elementi scenici per suscitare nella mente dello spettatore una con-fusione, per costringerlo

a reagire a due o più catene di associazioni fra loro inconciliabili.  “dialettica di apoteosi e

derisione”. Questo termine non dice niente di tecnico. È un buon promemoria, non una buona

spiegazione del “come fare”. Grotowski non cerca, trova le definizioni per il proprio lavoro. Di

tempo in tempo, getta via tutto l’armamentario di parole e rinnova la sua lingua. Lotta contro la

fissità delle parole, la loro prepotenza e insufficienza, non tramite il mutismo, ma tramite il

mutamento. In alcuni casi sono le circostanze e la prudenza a suggerire di cambiare le parole. È il

solo modo adatto ad evocare l’esperienza tecnica: per ombre e riflessi. Qualcosa di assente deve

proiettare la sua ombra sullo schermo di parole che presenta consigli tecnici, visioni poetiche,

ipotesi scientifiche. Non c’è farfalla sul ramo, eppure si vede l’ombra della farfalla posarsi

sull’ombra del ramo. Le parole diventano presenza se sappiamo riconoscere e accettare la natura

della loro ombra. è difficile proteggere le loro ali leggere, lasciarle mutare di traduzione in

traduzione. Non dobbiamo preoccuparci se a volte, ancora troppo legate all’esperienza, i loro

contorni si ingrandiscono fino a diventare nebbia. Più sono vicine alla lampada più la loro ombra è

confusa. Basta che si allontanano un po’ perché le ombre acquistino un profilo riconoscibile e

preciso.

Il popolo del rituale

Lettera a Richard Schechner. 1991

“Cultura senza frontiere”, l’assenza di frontiere è legata alla libertà. Quando la demarcazione dei

confini si perde, rischia di perdersi anche l’identità. E quando l’identità diventa incerta, nasce per

reazione il rigore, il tentativo esasperato di darsi un profilo opponendosi agli altri. Compare

l’intolleranza, la xenofobia, il razzismo. I confini sono pure illusioni, a volte imposte. Allora

generano soffocamento. Per esempio la Jugoslavia, il profilo era artificiale, l’unione imposta.

Violenta è stata l’esplosione come violenta era stata l’unione. Nel teatro è successo qualcosa di

simile: l’erosione dei grandi confini che davano identità al teatro d’origine europea, l’invenzione di

piccole tradizioni, la crescita di culture separate. L’invenzione da parte dei teatri di piccole tradizioni

può comportare forme di settarismo e d’intolleranza ideologica. Anche il teatro ha avuto i suoi

fondamentalismi (stanislavskiano, brechtiano, grotowskiano…). Il termine astratto “teatro” nella

realtà indica fenomeni non omogenei, ognuno con i confini che esso stesso e il contesto hanno

creato. I confini ristretti a volte generano un complesso di superiorità, in altri casi spingono allo

scambio. Mischiarsi mette alla prova la consistenza dei propri contorni. È un modo per

approfondire le differenza, per definirsi. Solidificando la propria identità e quindi la propria

differenza, c’è possibilità di una relazione. La dimensione interculturale del mondo in cui viviamo

non è una conquista: è una condizione di pericolo. Può scatenare reazioni rabbiose, se l’estraneo

si fa troppo vicino.

Interculturalismo e teatro  le piccole subculture di Holstebro mostrano che l’esotico è vicino di

casa. Nel teatro e nella cultura non esiste il genius loci. Tutto viaggia sciogliendosi dal proprio

contesto d’origine e trapiantandosi. Non esistono tradizioni legate indissolubilmente ad una

determinata geografia, lingua o professione. C’è il teatro nell’interculturalismo e c’è

l’interculturalismo nel teatro.

Barba dice di non volere una patria costituita da una nazione o da una città. Non ci crede. Eppure

ha bisogno di una patria. Questo è il perché del suo fare teatro. La sua patria è fatta di storia, di

persone. La nostra identità etnica è stabilita dalla storia. Non siamo noi a modellarla. L’identità

personale, ciascuno la costruisce da sé, ma a sua insaputa (“destino”). Il profilo su cui possiamo

agire consapevolmente, da esseri razionali, è quello della nostra identità professionale. Quando

confrontiamo il nostro mestiere con le tecnologie del tempo, quando confrontiamo le nostre piccole

cerchie di spettatori con i pubblici dei mass media, ci sentiamo arcaici. Se lo confrontiamo con

l’immagine di ciò che era, lo sgomento aumenta. Il rituale è vuoto. Il vuoto è assenza, ma anche

potenzialità. Il teatro non è il rituale di un popolo. Può divenire il popolo del rituale. Ogni teatro è

inglobato in un contesto storico e culturale da cui non sfugge. Può avere, però, una sua differenza,

una sua energia che gli permetta di tradurre a suo modo, reinventandolo e persino invertendolo, lo

stampo del mondo che lo ingloba. Nel teatro può preservarsi il seme della rivolta, del rifiuto,

dell’opposizione. Il teatro deve essere uno specchio. Lo specchio riproduce, però inverte. Occorre

conoscere la via per non identificarsi totalmente con il presente, per non invischiarsi e

addomesticarsi allo spirito dei tempi. La storia, il passato che conosciamo, è il racconto del

possibile. Ci fa intravedere il mondo ed il teatro così come potrebbero essere. Di questo dialogo

con ciò che fu diverso si nutre la nostra scontentezza per il presente. i veri interlocutori diversi

sono i morti (intercult. Verticale).

Parole-ombra

Le ricerche di Antropologia Teatrale di Barba iniziarono con esercizi di traduzione. Lentamente le

parole delle differenti lingue di lavoro, nel loro scomporsi e sovrapporsi, delinearono un disegno

unitario. Dietro la fantasmagoria delle diverse immagini vi era un livello pre-espressivo comune a

tutti. Ogni artista di teatro è diverso. Ognuno usa parole diverse, diverse metafore, diversi

orientamenti estetici o scientifici. Storie dissimili navigano in un fiume comune. Da un lato la

scienza dell’attore è arida anatomia del bios, dello scheletro-in-vita e del corpo-in-vita. Dall’altro è

saper volteggiare fra e con le parole, cambiarle ed inventarle, perché anche la mente deve

danzare, di pensiero in pensiero, attorno al disegno dell’azione. Certe parole sono stimoli; si deve

sapere come trasformare lo stimolo in carburante. Vi è sempre un dislivello tra le intenzioni del

regista e la realtà che gli attori presentano. Es. Grotowski incontrò un’attrice il cui viso eccedeva in

espressività. Cercò di nasconderlo con una maschera, ma non funzionò. Provò allora a

trasformare il viso stesso in una maschera, bloccandolo in una sola espressione. Funzionò e lo

applicò a tutti gli attori. Nello spettacolo i volti restavano impassibili nell’orrore (Auschwitz). La loro

fissità era in contrasto con la vitalità del corpo, composto in un dettagliato disegno di movimenti, tra

danza e acrobazia, la cui instabile base erano i grossi zoccoli da prigioniero.

L’arte scenica è come poesia nello spazio. Il linguaggio fisico del teatro si rivolge in primo luogo ai

sensi, invece di rivolgersi innanzitutto all’intelletto, come fa la lingua della parola. Questa lingua

fatta per i sensi, deve occuparsi prima di tutto di soddisfarli. Il che non impedisce di sviluppare, in

seguito, tutto ciò che ne consegue sul piano intellettuale. Alla poesia della lingua si sostituisce una

poesia nello spazio.  “testo performativo”. Indissolubilità di efficacia e precisione. L’efficacia non

deriva soltanto da ciò che essa rappresenta o indica, ma dall’esattezza con cui sono stati montati

assieme i suoi diversi segmenti. “Danza”, “grottesco” e “biomeccanica” sono sinonimi, come per

Artaud erano sinonimi, nell’orizzonte delle sue parole-ombra, “crudeltà”, “vita”, “necessità”,

“ininterrotta emanazione in cui non vi è nulla di fisso”. Danza, grottesco, biomeccanica non erano

diversi stadi nell’evoluzione artistica, ma tre modi diversamente stimolanti, in epoche diverse, per

indicare il lavoro analitico sullo (segno di rifiuto), sul ritmo e sul tempo, sulla pre-recitazione, sui

principi di precisione e distorsione nel disegno dei movimenti. Mettere in luce la nascosta

morfologia elementare che i diversi attori hanno in comune non vuol dire accomunarli in un’unica e

universale idea di teatro. Il rischio dell’Antropologia Teatrale non è l’omogeneizzazione delle fonti, il

suo rischio principale sono i lettori, e vorranno dare eccessivo peso alle parole mutevoli. Rischiano

di avere un peso eccessivo le parole costrette ad insistere sugli estremi. Questa insistenza degli

estremi è in funzione della chiarezza esplicativa e non dell’efficacia pratica. I poli opposti vanno

considerati come i confini di un ampio territori

Dettagli
Publisher
A.A. 2017-2018
37 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PED/03 Didattica e pedagogia speciale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher hazelim di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Pedagogia del corpo e della psicomotricità e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano - Bicocca o del prof Gamelli Ivano.