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2.2.2. LA SELEZIONE DEI SAPERI (OVVERO IL PROBLEMA DEL CANONE)
La dialettica passato-presente è in gran parte perseguita all'interno delle istituzioni educative, attraverso le politiche culturali, le scelte editoriali e, soprattutto, l'insegnamento dei saperi. Ciò comporta l'assunzione più o meno esplicita, di alcuni criteri di selezione dei saperi: che cosa, vale la pena trasmettere o insegnare.
Il risultato si traduce nell'affermazione di certi saperi su altri e di certe forme di questi, su altre forme. Ossia di un canone, poiché quei saperi e quelle forme fissano la misura in base alla quale rapportare tutti i saperi e tutte le forme. Il suo significato è affine all'etimologia del termine greco e latino (kanón, cănon) che allude ad un'unità di misura costituita da uno strumento di misurazione. L'immagine ben richiama l'idea di un criterio di selezione rivolto all'inclusione o all'esclusione.
di alcune opere. Ambiguo, in quanto avvertito come uno strumento utile ad appropriarci del passato e costruirci un'identità culturale, ma 'scomodo' poiché a prezzo dell'assunzione di un atteggiamento in certa misura altezzoso, elitario, autoritario. Non stupisce, da questo punto di vista, che il canone sia un concetto che divide tra loro conservatores e novatores. Rappresentanti rispettivamente, di un'opzione chiusa e tutta declinata al passato, o aperta e declinata al presente. Va da sé che, se la prima opzione rischia di essere eccessivamente autoritaria e di risolversi in un canone univoco e fissato per sempre, la seconda rischia il dissolvimento di ogni confine, ossia la moltiplicazione a dismisura dei canoni che è, alla fine, assenza di qualsiasi canone. Il problema, e la sua soluzione, risiede nella definizione dei criteri dai quali guardiamo ai saperi. La validità dei criteri non è, evidentemente, assoluta. Bensì.Dipende da chi tali criteri fa propri e a quale scopo. Limitandoci a quelli operanti all'interno delle istituzioni educative allo scopo di selezionare saperi per formare, tali criteri, qualunque essi siano, dovrebbero soddisfare un'esigenza conciliativa tra chiusura e apertura, passato e presente, del canone o dei canoni.
Il canone è di tipo diacronico, mira a fissare l'identità delle opere nell'ambito di una tradizione che le individua come appartenenti ad un medesimo stile, genere ecc., in base alle caratteristiche che esse hanno in comune. È invece di tipo sincronico quando mira a fissare le scelte di gusto e di valore affermatisi in una certa comunità in un certo momento storico. Anziché l'identità delle opere, esso definisce l'identità culturale della comunità che lo assume come valido.
Il dibattito sul canone si riaccende periodicamente in corrispondenza di eventi culturali e sociali che segnano
un aspetto fondamentale della nostra società: la cultura e i suoi valori. Per quanto riguarda il primo evento, c'è un dibattito in corso sul canone culturale, ovvero l'insieme di opere e autori considerati di valore e rilevanza. Questo dibattito si concentra sulla questione di cosa debba essere incluso o escluso dal canone, creando un'opposizione tra cultura "alta" o di élite e cultura "bassa" o di massa. Il secondo evento riguarda l'identità culturale e come il canone contribuisca a definirla in relazione alle altre culture presenti nella società multietnica. Il canone può influenzare la percezione e l'accettazione delle diverse identità culturali, creando un confronto e un dialogo tra di esse. Il terzo evento solleva la questione del canone in relazione alla globalizzazione e all'omologazione culturale. In un mondo sempre più interconnesso, le influenze culturali si diffondono rapidamente e possono portare a una standardizzazione delle espressioni culturali. Inoltre, il predominio delle forze politiche o commerciali può influenzare la selezione e la promozione delle opere e degli autori nel canone. È evidente che tutti e tre gli eventi hanno un impatto significativo sulla cultura e sui valori che essa rappresenta. La discussione sul canone culturale diventa quindi cruciale per comprendere e affrontare le sfide e le opportunità che questi cambiamenti portano con sé.il problema dei valori. Rispettivamente: quali valori le due culture incarnano o rifiutano; quali i valori che fondano e riflettono l'identità culturale di un popolo; infine, a quali valori, o all'assenza di quali valori, si può imputare il carattere omologante e nichilista dell'attuale modello culturale. Va inquadrato il più famoso degli interventi recenti in questo ambito: la pubblicazione di Il Canone occidentale di Harold Bloom. 1. In primo luogo, per il Bloom il canone è, innanzitutto, una difesa dell'atto della lettura come atto individuale di solitudine fatica rapimento. Al contrario, esso non è un 'programma di letture per la vita'. E non lo è perché anziché limitarsi a stabilire chi appartiene o non appartiene al canone egli si spinge ad identificare le qualità che rendono 'canonici' i suoi autori. Tra queste, la singolarità è una virtù preziosa eindispensabile alla permanenza nel canone poiché è in forza di questa originalità che l'opera vince la competizione con la tradizione. In secondo luogo, il canone non è definito da alcuni autori eteronoma, esso si definisce nella continua lotta tra testi. La costruzione dei canoni è ad opera di scrittori, poeti, compositori, artisti 'che gettano ponti tra forti precursori e forti successori'. Evidente qui il richiamo di Bloom al concetto di 'angoscia dell'influenza'. Senza di essa non può esserci scrittura canonica in quanto quest'ultima, essendo creativa, sempre fraintende i testi che la precedono. In terzo luogo, le opere che vincono la lotta con la tradizione - che è 'conflitto tra genio passato e attuale aspirazione' - sono opere, secondo Bloom, che hanno valore estetico. Entrare nel canone significa travalicare la tradizione e, allo stesso tempo, sussumerla. In sintesi, Bloomprospetta un canone elitario in quanto selettivo; determinato storicamente, in quanto emergente dalla competizione delle opere con la tradizione; definito in base al criterio del valore estetico che si dà come forza nel conflitto, sempre aperti, tra testi; socialmente istituito dai lettori, dai discorsi delle comunità, dalle pratiche nelle aule scolastiche, dalle discussioni nell'ambito della società. Sebbene Bloom parli esclusivamente del canone letterario, la sua concezione si presta a qualche utile generalizzazione in vista di una selezione 'canonica' dei saperi, non letterari. Evidenziamo pertanto qualcuna delle caratteristiche della concezione bloomiana del canone, suscettibile di essere estese ad altri canoni.- LA 'SELETTIVITÀ APERTA' DEL CANONE. L'espressione soddisfa sia il requisito della scelta, anche severa, per poter discernere ciò che è davvero essenziale, sia quello della dinamicità della decisione,
la quale è destinata a cambiare nel tempo, in rapporto allo sviluppo dei saperi.
- IL CANONE FISSA L'IDENTITÀ CULTURALE. Questo significa che il canone riflette la memoria selettiva di coloro che sono cresciuti al suo interno e che ne hanno ricavato in questo modo la propria identità culturale.
- L'ASSUNZIONE DI CRITERIO (ESTETICO). Quest'ultima caratteristica del canone bloomiano è quella che più risente del suo essere riferito alla letteratura. Infatti, sebbene tutti i saperi possano vantare una qualche forma di valore estetico, quest'ultimo tuttavia non ha sempre lo stesso 'peso' nella selezione dei saperi. In breve, una formula, una dimostrazione o una teoria possono essere esteticamente apprezzabili, ma le ragioni per includerle nei saperi da insegnare riguardano, più che il valore estetico, il valore formale, epistemologico, storico.
Nella costruzione del canone la forza estetica permette alle opere
di vincere la lotta ingaggiata con le altre opere per la conquista della sopravvivenza. In questo senso, il valore estetico non riflette solo la maggiore potenza espressiva dell'opera, bensì la capacità dell'opera di imporsi, con continuità o rottura, sulla tradizione e, anche di superarla. Tale valore ha come risultato la sopravvivenza del testo, così come della teoria.
In sintesi, la selezione dei saperi da insegnare, siano essi umanistici o scientifici, se operata sulla scorta di canoni, ossia rispetto a ciò che conta - di estetico o di epistemologico - dei saperi, esercita la funzione insostituibile di rendere esplicito il problema dei valori. È ciò che dice alle giovani generazioni che i saperi non sono tutti uguali e alle istituzioni che, se così è, sono loro che devono assumersi l'onore della scelta e il rischio delle ragioni che fanno valere per compierla.
2.2.3. SAPERI SAPIENTI E SAPERI PER LA VITA
Dal
Da un punto di vista pedagogico, la selezione dei saperi operata in direzione 'canonica' converge intorno all'idea di formazione umana, della quale evidenzia un 'significato disciplinare'. Nel senso di ricercare lo specifico 'gradiente formativo' dei saperi, ossia la misura della loro potenzialità formativa. Il rischio è, tuttavia, che nell'ammettere la validità della selezione di 'saperi sapienti' si trascuri di prendere in considerazione il loro valore per la vita. Conviene soffermarsi sul significato della relazione tra saperi sapienti e saperi per la vita. Ci chiediamo: se il sapere sapiente è quello definito da un'operazione assiologica che lo seleziona come esemplare e paradigmatico in vista del completo svolgimento della formazione umana, in che senso e a quali condizioni esso può farsi sapere per la vita? Con l'espressione SAPERE PER LA VITA potremmo riferirci ad un'accezione
meramente utilitaristica, secondo la quale i saperi hanno valore per le abilità strumentali che permettono di conseguire in diversi contesti. Potremmo, al contrario, propendere per un'accezione di tipo 'spirituale' nel senso espresso da Mattew Arnold che raccomanda "la cultura come il miglior mezzo per uscire dalle nostre difficoltà odierne". Da queste parole emerge l'idea che i saperi, intesi qui come produzione dei 'grandi uomini di cultura', abbiano valore in quanto strumenti di azione concreta nel presente, ossia per 'risolvere le difficoltà della vita'. Il limite di questa interpretazione è che i saperi che meglio assolvono allo scopo sono, secondo Arnold, quelli di tipo umanistico, in particolare la filosofia e la letteratura. Meglio optare per un'accezione di tipo 'ecologico' secondo la quale il sapere è per la vita se permette di acquisire la capacità di affrontare
situazioni complesse, siano esse materiali o spirituali. Morin chiama tale capacità "conoscenza organizzativa globale". Essa suppone la regolazione continua dell'interazione tra soggetto e oggetto, tra io e mondo, tra uomo e ambiente. In una logica di saperi come sistemi autopoietici, la formazione dell'uomo si realizza attraverso la costruzione di reti di significato, la connessione tra le diverse discipline e la comprensione delle interdipendenze tra i fenomeni.