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P
e il costo marginale, esso coglie gran parte di quello che importa sapere in termini di uso del
potere di mercato. Per un’impresa concorrenziale l’indice di Lerner è pari a zero, in quanto essa
fissa un prezzo pari al costo marginale. Per un monopolista, invece, si può dimostrare che l’indice
di Lerner è pari all’inverso dell’elasticità della domanda: meno la domanda è elastica, maggiore è
la distorsione fra prezzo e costo marginale. Inoltre l’indice di Lerner non può mai superare 1 e può
raggiungere questo valore massimo soltanto se il costo marginale è parti a 0. Per un’industria
composta da un numero di imprese maggiore di uno ma non elevato, il calcolo dell’indice di
Lerner è + complesso e necessita di un qualche indice medio. In tal caso, si può misurare un
N i
∑
P − s C
i
i=1
LI = s
indice di Lerner relativo a tutto il mercato nel modo seguente: . è la
i
P
quota di mercato della i-esima impresa e N è il numero totale di imprese. L’indice di Lerner, come
CR4 o l’HHI, è una misura sintetica; tuttavia non è tanto una misura del modo in cui è strutturata
la produzione di un’industria, quanto una misura dei risultati di mercato. Maggiore è l’indice di
Lerner, + i risultati di mercato si allontano dal caso della concorrenza e maggiore è il potere di
mercato che viene sfruttato. In questo senso, l’indice di Lerner è un indicatore diretto del livello di
concorrenza di un mercato.
Tuttavia, anche l’indice di Lerner, come gli indici strutturali è imperfetto. Tanto per cominciare, il
calcolo dell’indice di Lerner per un’industria si scontra con il problema della definizione del
mercato. A tale riguardo, la stima dell’indice di Lerner relativa tutta l’industria potrebbe risultare
difficile da ottenere, proprio come lo sono valide stime del CR4 e dell’HHI. Inoltre anche quando
l’indice di Lerner viene misurato in modo accurato, la sua interpretazione può rimanere ambigua
perché ci possono essere dei costi fissi di entrata che devono essere recuperati con un margine
prezzo-costo positivo, e prezzi bassi potrebbero essere praticati da un incumbent (azienda di
maggiori dimensioni (dominante) di uno specifico mercato) ad alto costo per prevenire l’entrata di
concorrenti 10
CAPITOLO 4 - TECNOLOGIA E COSTI DI PRODUZIONE
Secondo l’approccio neoclassico, la tecnologia di un’impresa è una relazione di produzione che
descrive in che modo una data quantità di fattori produttivi viene trasformata nella quantità
prodotta dall’impresa; inoltre l’impresa è percepì come un’unità produttiva il cui obiettivo è la
massimizzazione dei profitti, cosa che, a sua volta, implica la minimizzazione dei costi di
produzione per una data quantità.
Tuttavia la teoria neoclassica non si preoccupa di specificare nel dettaglio quanto accade dentro a
un’impresa. È sufficiente vedere l’impresa come una scatola nera nella quale entrano fattori
produttivi e dalla quale escono uno o + prodotti. Aprendo questa black box, si scopre ovviamente
che la combinazione dei fattori prodotti è un processo complesso per molteplici ragioni. Si
immagini un’impresa che produce canne da pesca composte da fusto e una particolare
impugnatura. Da una parte un manager può decidere di acquistare all’esterno alcuni beni e
servizi, esternalizzando l’attività di outsoucing (appalto a una società esterna di determinate
funzioni o servizi, o anche di interi processi produttivi), per esempio la fornitura delle impugnature
particolari. Dall’altra gli stesi beni e servizi potrebbero invece essere ottenuti internamente alla
stessa impresa.
Nel primo caso, uno dei problemi principali che si presentano con i fornitori è quello dell’hold up.
In particolare i fornitori tenderanno a non investire molto in attività specifiche al rapporto l’impresa
poiché l’investimento specifico sarà difficilmente riutilizzabile per il fornitore in attività con altre
imprese, inoltre l’impresa a valle potrebbe “prenderlo per il collo” estorcendo condizioni
estremamente favorevoli. Ovviamente, il fornitore, prevedendo questa eventualità farà di tutto per
evitare di trovarsi in questa situazione e tenderà quindi a non legarsi le mani con investimenti
specifici all’impresa a valle. Ciò normalmente significa che la fornitura non sarà esattamente del
tipo e della qualità desiderata dall’impresa determinando così una riduzione della qualità
complessiva.
Nel secondo caso l’alternativa è quella di internalizzare nella stessa impresa a valle. Questo
richiede di predisporre una nuova unità produttiva che si occupi della fornitura in questione. Il
problema in questo caso è che l’unità produttiva dovrà essere istruita alla produzione, organizzata
e controllata nella sua attività e ciò comporta maggiori costi. D0altra parte uno degli aspetti
positivi di questa attività di organizzazione e controllo delle attività internalizzate è che se si
presentano delle situazioni inattese, queste sono più facilmente gestibili all’interno della stessa
azienda (mentre con un fornitore sarà necessario rinegoziare il contratto di fornitura e questo
normalmente richiede tempo e denaro).
Quanto è stato detto ha mostrato in modo approssimativo che i confini delle imprese sono
determinati dal trade-off che emerge tra uso del mercato esterno e internalizzazione.
==>Confini impresa: trade off outsourcing-internalizzazione
Un’impresa che massimizza i profitti deve risolvere un problema: minimizzare il costo di
produzione per un dato livello di output. Ciò coinvolge due caratteristiche dell’impresa:
- Funzione di produzione: come gli input vengono trasformati in output q = f(x1, x2, x3,…,xn).
Questa funzione specifica la quantità q che l’impresa produce utilizzando n diversi fattori nella
quantità x1 per il primo fattore, x2 per il secondo fattore e via dicendo fino al n-esimo fattore,
che viene utilizzato in quantità pari a xn. La tecnologia dipende dall’esatta forma della funzione
f( ). La natura di tale tecnologia sarà a sua volta un fattore determinante dei costi dell’impresa.
- Funzione di costo: minimo costo necessario per produrre un certo livello di output.
N
∑
min w x f (x , x , . . . , x ) = q
Formalmente sotto il vincolo che . Cioè per una specifica
i i 1 2 n
i=1
quantità di produzione q e dati i prezzi w1, w2,..,wn dei n fattori, esiste un unico modo per
scegliere la quantità di ciascun fattore x1,x2,..,xn in modo tale da minimizzare il costo totale di
q.
Questa relazione fra costi e quantità prodotta è quanto descritto dalla funzione di costo (minimo)
dell’impresa: di solito tale funzione viene indicata con l’espressione C(q) + F , dalla quale si
possono derivare tre concetti fondamentali:
1. costo fisso —> il concetto di costo fisso è rappresentato dal termine F, che descrive un dato
ammontare di spesa che l’impresa deve sostenere in ciascun periodo e che non è collegato
alla quantità di produzione. Fra i costi che possono essere considerati fissi vi sono quelli
11
associati al finanziamento di un impianto di particolari dimensioni e i costi per la pubblicità. Va
notato, tuttavia, che spesso tali costi potrebbero essere fissi soltanto nel breve termine.
2. costo medio—> è semplicemente una misura della spesa per unità produttiva ed è dato dal
costo totale diviso per la produzione totale. Questa misura di costo dipende dal livello di
C(q)
F
C′
(q) = +
produzione; di qui la sua rappresentazione algebrica . Serve a capire se
q q
l’impresa può produrre
3. costo marginale —> si calcola come l’aumento del costo totale sostenuto aumentando la
produzione di un’unità. Oppure, il costo marginale può essere definito come il risparmio sul
costo totale realizzato quando l’impresa diminuisce la produzione di un’unità. Più
precisamente, il costo marginale è la pendenza della funzione di costo totale e quindi è
∂C(q) ∂[C(q) + F ]
C′
(q) = =
definito dalla derivata . Serve a capire quanto l’impresa deve
∂q ∂q
produrre. Quando il costo marginale è inferiore al costo
medio, un aumento della quantità comporterà
una riduzione del costo medio. Al contrario,
quando il costo marginale è maggiore del costo
medio un aumento della quantità comporterà un
aumento del costo medio. Nella figura il costo
marginale è inferiore al costo medio per tutte le
quantità inferiori a q*e il costo medio è
decrescente per tutti questi livelli di produzione.
Questa caratteristica vale per tutte le funzioni di
costo. Il costo medio è decrescente ogni
qualvolta il costo marginale e minore del costo medio è decrescente ogni qualvolta il costo
marginale è maggiore del costo medio. Un corollario della relazione appena descritta fra costo
marginale e costo medio è che i due sono uguali in corrispondenza del punto minimo sulla
funzione di costo medio.
Il costo medio diminuisce con la quantità prodotta quando è maggiore del costo marginale;
aumenta quando è inferiore al costo marginale e è essenzialmente pari al costo marginale al
valore minimo del costo medio.
Il fatto che il costo medio diminuisca all'aumentare della quantità equivale a dire che il costo per
unità di prodotto diminuisce all'aumentare della scala delle operazioni. Di solito si dice che in
economie di scala.
questo caso vi sono delle Se invece costi unitari aumentano all'aumentare
della produzione, si dirà che vi sono delle diseconomie di scala. Fondamentalmente, la presenza
di economie o diseconomie di scala dipende dalla tecnologia disponibile.
Qualunque sia l'origine delle economie di scala, il fatto che esse siano misurate da una
diminuzione del costo medio fornisce un modo preciso per misurarne l’esistenza. Si può costruire
1
CM(q)
S = =
un indice preciso dell’entità delle economie che è . Ossia, S è il rapporto fra
η
C′
(q) C
costo medio e costo marginale. S può anche essere indicato come l’inverso dell’elasticità del
costo rispetto alla quantità prodotta. In altre parole S misura l’aumento proporzionale di
produzione che si ottiene