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BOLOGNA , L’ORTO BOTA NICO E A LD ROVA ND I
I. L’O rto, prim a m iniera per il m useo
Rinomato come naturalista, Aldrovandi fa il suo ingresso piuttosto di recente nella letteratura artistica attraverso Schlosser e in
virtù della sua frequentazione con Paleotti cui scrive gli Avvertimenti sopra alcuni capitoli della pittura.
Nel XVI sec Bologna, grazie ad Aldrovandi, divenne un centro d’avanguardia negli studi naturalistici, non scoraggiata di fronte
ad una realtà naturale sempre più ricca e geograficamente dilatata e intenzionata a farne un censimento capillare. Alla sua
morte (1605, 83 anni), la città e l’Università si trovano a disporre di una consolidata tradizione di ricerca naturalistica, di un
insegnamento ordinario di Scienze naturali, di un museo naturalistico, di una biblioteca scientifica e di un orto pubblico.
Intorno all’origine dell’Orto del Palazzo Pubblico vi sono stati dibattiti e dubbi: secondo alcuni esisteva dal 1395 con scopo
farmaceutico e non formativo, secondo altri dal 1365 per uso di piacere. Certo è che dal 1568 il sotto la
Giardino dei Semplici
direzione di Aldrovandi si ampliò sia a seguito delle scoperte geografiche, sia per il progressivo allontanamento della botanica
dalla scienza medica (non consisteva più solo in una collezione di piante medicinali, ma più ampi fini naturalistici).
Già nel 1554 Ulisse presentò il progetto di fondare un orto dei semplici come già esistevano a Padova (1545) e a Pisa (1547); il
suo scopo era eminentemente didattico-scientifici, a integrazione della cattedra di Scienze naturali e a servizio di farmacisti e
medici. A. riuscì nell’impresa che non poté compiere il suo predecessore Luca Ghini.
II. L’erbario dipinto, base e prolungam ento dell’O rto
Fino al ‘500 gli erbari erano decorati non da vere e proprie immagini di piante, ma da figure stilizzate e schematiche (a Naturalis
di Plinio non aveva alcuna illustrazione); erano ritenuti strumenti indispensabili ai fini dimostrativi e didattici, sebbene
historia
venissero copiati e ricopiati senza mai effettuare un raffronto diretto con le piante.
Con Aldrovandi l’illustrazione diventa un fondamentale strumento scientifico. Si potrà dubitare della sua affermazione di essere
stato il primo in Europa a ideare «il modo di essiccare le piante verdi fra charte strazze», ma di certo il suo erbario, iniziato nel
1551, è il più antico pervenutoci. Prima del XVI sec non vi sono testimonianze di erbari essiccati (ma l’uso di essiccare piante è
antico quanto l’uomo). Nello stesso momento l’erbario dipinto assume un’importanza complementare a quello essiccato,
mostrando colori e forme realistici.
Anche Fuchs, padre della moderna botanica (che al pari di Aldrovandi, si servì dell’iconografia del Ghini) rilevò che le
immagini sono più eloquenti delle descrizioni verbali, ma è «necessario che il pittore dimentichi di essere tale e tralasci ogni
artificio»; l’unica deroga al realismo si ha quando la pianta deve rappresentare contemporaneamente in diversi stadi del suo
ciclo vegetativo, con foglie, fiori e frutti contemporaneamente. L’erbario dipinto permetteva anche di dare vita all’immagine,
mostrando la pianta mossa dal vento, o piegata sotto il peso dei fiori.
Nel XVI sec la pittura assurge a metodo investigativo della realtà (Leonardo), così sarà per A. Ma continua a persistere il
condizionamento della tradizione, che permette di arricchire il dato oggettivo di significati allegorici o magici; un es. è la figura
della di cui A. critica l’ingannevole veridicità della raffigurazione, sebbene non sia in grado di superarla.
Mandragora ficta,
Le piante sono ritratte in tutte le fasi del ciclo vegetativo (puritia, riprese in svariati particolari e porzioni.
gioventù, età declinante),
Grande attenzione è rivolta al colore, strumento di conoscenza e classificazione della realtà naturale. Le tavole, oltre supplire la
mancanza di un approccio diretto alla natura (come nel caso di piante esotiche), erano un indispensabile strumento di lavoro.
CAPITOLO III
L’OFFICINA ARTISTICA
I. L’illustrazione botanica nella casa- m useo di Aldrovandi
Aldrovandi consacra l’illustrazione come un dato fondamentale per la ricerca, nessun naturalista ‘500esco lo comprese meglio
di lui. Essa necessita dell’osservazione diretta sia da parte dello scienziato che del pittore. Tramite le lettere, le memorie e il
testamento è possibile reperire informazioni sui pittori più importanti che hanno collaborato con Aldrovandi: Lorenzo Benini,
Cornelio Schwindt, Jacopo Ligozzi. Per trent’anni mantenne una bottega di pittori che stipendiò regolarmente, investendo tutti
i suoi averi. A. non lasciò mai che gli artisti operassero in totale autonomia poiché nelle illustrazioni non poteva emergere una
volontà creativa individuale. L’educazione che impartì agli artisti - che per, ragioni economiche, furono spesso di basso livello -
li condusse ad un tale livello di specializzazione che rendeva irrilevanti le carenze tecniche; di Giovanni de’ Neri infatti scrisse
che «in fare altre cose non vale nulla». Questa attività gli permise di sviluppare una riflessione teorica sulla pittura che lo
avrebbe poi abilitato quale consulente del del Paleotti.
Discorso intorno alle immagini sacre e profane
II. I collaboratori più stretti
(o Gio. degli Uccelli) fu il pittore che lavorò per A. più a lungo, per 32 anni. Compose ca. 7000 figure, la
Giovanni de’ Neri
maggior parte dell’intera raccolta. Specializzato negli uccelli, per gli altri animali e le piante si rivela piuttosto scarso: «fa
benissimo figure d’uccelli, ma in fare altre cose non vale nulla». A. conosce i suoi limiti ma ne loda l’impegno, tuttavia non lo
cita nell’Introduzione all’Ornithologia accanto a tutti gli altri celebri artisti; oltre alla sua scarsa bravura, ciò può essere dovuto
anche alla delusione per il coinvolgimento di Neri in commissioni esterne e per le frequenti assenze dovute a motivi di salute.
La censura è frequente e spesso al suo nome si allude tramite l’espressione anonima “il mio pittore”.
I disegni di de’ Neri dovevano quindi essere trasferiti su tavolette di legno, per essere poi lavorate dall’incisore. Francesco I gli
raccomandò il fiorentino che assunse per due anni.
Lorenzo Benini,
Altro incisore fu (talvolta disegnatore), Francoforte, assunto per 6 anni rimane poi in contatto epistolare.
Cornelio Schwindt
Sempre Francesco I raccomandò un altro incisore, detto Coriolano da Normiberga, assunto per 15
Cristoforo Lederlein
anni e autore della maggioranza delle xilografie, anche quelle mai usate per la stampa; anche suo fratello Joachim lavorò per A.
III. I pittori “ em iliani”
A fine ‘600 l’ambiente pittorico bolognese apprendeva a contatto con la scienza e l’esperienza visiva; Cavazzoni scrisse «il tener
Ciò si deduce anche dalla consulenza che A. offrì agli
davanti il vero mentre si opra è l’esigenza quotidiana degli uni e il consiglio dell’altro».
ambienti artistici bolognesi: «Lorenzino e Samachino, pittori bolognesi, quando gli occorreva dipingere qualche pianta o animale, venivano da me e
A. collaborò anche con artisti bolognesi di rilievo quali
pigliavano pitture delle cose naturali infinite che ho fatto dipingere al mio pittore».
Bagnacavallo, Aretusi, Procaccini (che dipinse una con un paradiso terrestre popolato da numerosi animali
Creazione di Eva
ritratti dal vivo), Cavazzoni, Passarotti padre (Bartolomeo) e figlio (Passarotto).
A. collaborò anche con pittori lombardi, tra cui Teodoro Ghisi di Mantova. Nei manoscritti si legge il nome di Pellegrino, un
artista non individuato che ha acceso la fantasia a molti studiosi.
IV. G li artisti m edicei
Per il reperimento di artisti A. si avvale quasi sempre di Francesco I.
Timoteo Refati, frate agostiniano di Mantova, operò a Firenze e passò per Bologna, dove eseguì le medaglie in cera e piombo
raffiguranti la famiglia Aldrovandi e disegni di cose naturali. Daniel Fröeschl, già miniatore presso l’Orto botanico di Pisa,
lavorò per A. Pastorino Pastorini, decoratore di vetrate, medaglista, abile ceroplasta. Realizza i ritratti in cera della famiglia
Aldrovandi e illustrazioni naturalistiche. Andrea Budana, allievo di Ligozzi, originario di Trento.
CAPITOLO IV
I L I GOZZI E AL DROVAN DI
I. I ra pporti con il g randuca toscano
Tra A. e i granduchi toscani Francesco I e Ferdinando I avvennero continui scambi di semi, piante rare e soprattutto immagini.
Nel 1577, ospite di Francesco, A. ammira gli uccelli dipinti da Giovanni de’ Neri, il ritrattista più abile in campo ornitologico.
Ma è soprattutto attratto da Jacopo Ligozzi (che con grande rammarico non potrà avere al suo costante servizio). Riesce a
ottenere alcuni suoi dipinti, riconoscibili per la sua sigla tipica (iniziali legate da un tratto trasversale sormontato da una croce).
In una lettera comunica al granduca il desiderio di ricevere il ritratto dei due serpenti che non era riuscito né far dipingere né a
mummificare a causa della morte di uno dei due; prima di regalarglieli, Francesco I li aveva fatti rappresentare a Ligozzi, per
cui replicando l’originale poté esaudire questa richiesta. La lunga iscrizione presente nel foglio fu certamente suggerita da A.; su
ogni squama è inserita una delle iniziali di Ligozzi (particolare notato da Marinela).
II. Sog gior no di Jacopo Ligozzi in Em ilia
Ligozzi non operò mai direttamente alle dipendenze di A., ma i due s’incontrarono almeno una volta a Bologna nel 1577
(Ligozzi fu infatti il latore di una missiva indirizzata da A. al ferrarese Alessandro Pacio). Le tempere che Ligozzi eseguì non
presentano alcuna caratteristica della sua tecnica e del suo stile (pur restando eccelse): si può supporre che siano state eseguite
di fretta vista la breve durata del soggiorno.
III. “ Il spirito” del m iniatore
Anche nelle opere di grande formato, Ligozzi ricerca il particolare e la minuzia. La sua sensibilità per piante e fiori è superiore
a quella per la figura umana. È abilissimo a cogliere la qualità del colore naturale.
Dagli abbozzi e dai lavori incompiuti si può ricostruire l’iter del suo lavoro. Anzitutto segna i contorni con un tratto sottile,
quindi rivela le masse chiaroscurali con l’acquerello, infine esegue le rifiniture e i particolari più minuti a tempera (nel
i contorni sono appena tracciati, l’intervento pittorico si è ferma ad un leggero strato di colore). Una
Dracocphalum Moldavico
vernice lucida, forse a base di chiara d’