Riassunto esame Metodologie e tecnologie didattiche, prof. Silva, Dainese e Ciani, libro consigliato Mettere i voti a scuola, Benvenuto
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Misurazioni
Due caratteristiche che le misurazioni devono puntare a massimizzare sono:
1) La validità, ovvero la capacità di misurare proprio ciò che si intende misurare, che può essere:
- di contenuto: occorre sottoporre a verifica elementi che siano rilevanti e rappresentativi, magari
scegliendoli collegialmente;
- di criterio: occorre che i criteri che possono essere assunti per un confronto al fine di valutare la
validità delle misure (solitamente altre misure) siano a loro volta validi; se sono simultanei o
disponibili in breve tempo conferiscono validità concorrente, mentre se sono disponibili solo a
distanza di tempo, ad esempio l’ottenimento di un certo tipo di lavoro dopo certi studi, conferiscono
validità predittiva;
- di costrutto: occorre che le misure non presentino delle anomalie in relazione al costrutto teorico
al quale dovessero riferirsi, rilevabili attraverso confronti con misure riferentesi allo stesso costrutto,
ovvero conferenti validità convergente, o con misure riferentesi ad altri costrutti, ovvero conferenti
validità discriminante.
- di facciata: occorre che la prova sia presentata in modo che le sue caratteristiche esteriori, come la
lunghezza, non sortiscano un effetto negativo sul destinatario.
2) L’affidabilità, ovvero il grado di precisione con cui può essere eseguita la misurazione. I tre fattori
che possono incidere sul grado di precisione sono lo strumento di misurazione, il valutatore e il
valutato.
Le scale di misura classiche sono quattro:
1) Scala nominale: classificazione secondo due categorie alle quali vengono assegnati dei nomi, ad
esempio «presenza/assenza» o «adeguatezza/non adeguatezza», utile soprattutto per rilevare la
presenza o l’assenza delle caratteristiche costituenti una competenza.
2) Scala ordinale (o graduatorie): ordinamento rispetto alla maggiore o minore presenza di una
caratteristica; un esempio noto è quello dei voti scolastici, spesso scambiati per scala ad intervalli,
tanto che a volte vengono erroneamente introdotti i +, -, ++, --.
3) Scala ad intervalli equivalenti: scala nella quale gli intervalli tra i valori sono uguali; è utilizzata ad
esempio nelle prove oggettive nelle quali il voto è determinato dal numero di risposte esatte e, a
differenza delle precedenti, permette un confronto tra i risultati ottenuti dai diversi studenti.
4) Scala di rapporti (o scala metrica): scala uguale alla precedente nella quale però lo 0 non è fissato
convenzionalmente ma corrisponde all’assenza della caratteristica misurata.
Obiettivi
Nell’organizzazione delle sequenze didattiche (programmazione didattica) il docente deve prendere in
considerazione gli obiettivi più generali relativi alla crescita dello studente come persona (finalità e obiettivi
educativi) e gli obbiettivi relativi alla propria disciplina (obiettivi specifici), magari distinguendo tra
obiettivi che rispetto al percorso didattico devono essere raggiunti all’inizio (prerequisiti), durante
(intermedi) e alla fine (finali). Un obiettivo didattico può essere considerato raggiunto quando lo studente
esibisce un certo comportamento o è autore di una certa prestazione considerata indice dell’apprendimento
riuscito. Indicatori
La valutazione può comprendere, soprattutto quando le prove sono semistrutturate o aperte, il procedimento
dell’analisi degli indicatori. Un indicatore è in senso largo un descrittore, ovvero una descrizione accurata e
minuziosa di uno degli elementi costituenti dell’apprendimento che si intende verificare (uno degli obiettivi
da raggiungere o degli aspetti della competenza in esame), e in senso stretto una caratteristica oggettiva più
o meno misurabile che si suppone indicativa di un certo stato di cose relativo all’apprendimento dello
studente. In quest’ultimo senso un indicatore è spesso posto in relazione con uno standard, stabilito
secondo l’approccio normativo o criteriale. Un esempio di descrittore per l’abilità di fare relazioni d’ordine
può essere: «sa ordinare sul piano spaziale delle schede in cui è rappresentato qualcosa che si svolge in una
successione temporale (un ciclo vitale, una breve storia ecc.)».
La redazione di schede di indicatori può avvenire seguendo questi passi:
1) Definire gli elementi costituenti dell’oggetto da valutare, ad esempio per la competenza dello
scrivere si possono riconoscere la capacità di produrre idee, di organizzarle, la coscienza della
norma sociale, la competenza grammaticale, ortografica e la capacità di produrre testi decifrabili.
2) Scegliere indicatori significativi per ogni elemento od operando campionamenti se gli elementi
sono in numero eccessivo, ad esempio «esaustività degli argomenti» e «capacità argomentativa».
3) Stabilire l’ampiezza e la ripartizione della scala di punteggi, ad esempio, attribuendo un massimo di
15 punti assegnabili all’indicatore «esaustività degli argomenti», individuare queste cinque fasce di
punteggio: 0-5, 6-9, 10, 11-14, 15.
4) Assegnare ad ogni fascia un’espressione, ad esempio per la prima fascia «scarsa», per la seconda
«incerta», per la terza «accettabile», per la quarta «sicura» e per la quinta «specifica».
5) Confrontare il proprio utilizzo delle schede con quello di altri docenti in modo da verificare se vi è
accordo nell’attribuzione dei punteggi agli indicatori. La sperimentazione collegiale è l’unico
mezzo per aumentare l’affidabilità e la precisione.
Giudizi
Il giudizio è una modalità di valutazione che sta a metà fra quella puramente quantitativa (misurazione) e
quella puramente qualitativa (osservazione), in quanto la sua natura è qualitativa ma rimanda a misurazioni.
Il giudizio finale, dato al termine di un ciclo didattico (ad esempio il quadrimestre o l’anno scolastico), è
rivolto sia allo studente sia ai suoi genitori e punta a sintetizzare diversi aspetti del comportamento tenuto,
tra i quali la partecipazione, la correttezza, la capacità di organizzare il lavoro, l’acquisizione di un metodo
di studio efficace, l’acquisizione di abilità e conoscenze e il raggiungimento degli obbiettivi programmati,
considerando il profitto, l’impegno, le difficoltà sociali e il confronto di rendimento col resto della classe.
Il giudizio per la singola disciplina è ottenuto pesando i diversi elementi che concorrono a formarlo, ad
esempio i risultati delle verifiche, il profitto e gli standard appropriati, ed attribuendo ad ogni valore della
scala di giudizio, ad esempio ottimo, distinto, buono, sufficiente e non sufficiente oppure A, B, C, D ed E, il
relativo livello. Tipi di verifica
In ordine decrescente lungo l’asse dell’oggettività troviamo tre tipi di prova di verifica.
1) Prova strutturata di conoscenze (o test di profitto)
Si caratterizza per stimoli e risposte prefissati. Non è adatta a misurare alcune caratteristiche come
la creatività linguistica o alcune abilità come l’oralità. Richiede un maggiore dispendio di tempo
nella costruzione, a fronte della possibilità di riutilizzo negli anni successivi e di un risparmio di
tempo nella correzione. Infine consente, a differenza della prova orale, una misurazione simultanea.
Molto utilizzata nei paesi anglosassoni, inizia ad essere impiegata in Italia negli anni Settanta, dove
la diffusione rimane però contenuta perché, a fronte del riconoscimento dei vantaggi che comporta
in termini di oggettività della valutazione, si ritiene che non sia capace di rilevare certe conoscenze
o certi loro aspetti e sia difficile da redigere.
Le fasi della sua progettazione, costruzione ed utilizzo possono essere divise nei seguenti passi.
1) Stabilirne i tratti principali, ad esempio l’essere una prova criteriale o normativa, in base
alle finalità richieste e al tempo didattico di somministrazione.
2) Definire gli obbiettivi d’apprendimento, considerandone ad esempio il tipo, che secondo la
tassonomia di Bloom può essere: conoscenza, comprensione, applicazione, analisi, sintesi o
valutazione, o il riferimento a certe parti del programma piuttosto che altre.
3) Stabilire la forma dei quesiti strutturati a scelta predefinita: quesiti dicotomici (ad esempio i
sì/no o i vero/falso), quesiti politomici (o quesiti a scelta multipla), quesiti a completamento
e quesiti a corrispondenza.
4) Formulare i quesiti in modo che siano il più possibile semplici, concisi e comprensibili.
5) Somministrare la prova.
6) Correggere le singole prove.
7) Analizzare statisticamente i quesiti ponendo l’attenzione ad alcuni indicatori, fra cui:
- l’indice di facilità, ovvero il rapporto tra il numero di risposte corrette e il numero di
risposte totali, che va da 0 a 1 ed è desiderabile che sia fra 0,3 e 0,7;
- l’indice di discriminatività, ovvero il rapporto tra la differenza tra il numero di risposte
corrette date dalla metà migliore degli studenti e il numero di risposte corrette date dalla
metà peggiore degli studenti e metà del numero di risposte totali, che va da -1 e 1 ed è
desiderabile che sia fra 0,2 e 0,4.
8) Pesare i quesiti, ad esempio considerando l’importanza degli obiettivi a cui sono associati o
il numero di alternative che offrono.
9) Elaborare i punteggi, magari tenendo conto della possibilità dello studente di affidarsi al
caso applicando penalizzazioni degli errori per cui:
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