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La storia di una lingua → declinazione della storia generale. Storia linguistica
dell'Italia unita di De Mauro: la lingua letteraria era solo una componente del
quadro da lui tracciato, per illustrare il fenomeno compaiono altri fattori, dalla
demografia al livello di analfabetismo. Sono numerosi i casi di illustri storici
della lingua autori di opere di taglio francamente storico (F. Bruni). Attività di
storici e letterati → si trovano nelle scritture non letterarie. L'accesso alla
cultura in passato avveniva molto più spesso tramite canali non istituzionali.
Dopo l'Unità con scolarizzazione diffusa i documenti si moltiplicano: in
particolare gli epistolari di gente comune, che fino a qualche anno fa
venivano sottratti all’oblio degli archivi pubblici o privati soprattutto ad opera
di storici. Archivio digitale della scrittura ottocentesca anche pre-unitaria per
iniziativa di storici della lingua e della letteratura, carteggi appartenenti alla
prima guerra mondiale → si notano: ricorso a giochi linguistici, buona
padronanza espressiva, parodia sul latino, puntini sospensivi, toscanismi
veicolati dall'insegnamento. Nelle lettere di chi ha appena frequentato le
elementari il possesso sintattico e ortografico è precario, ma conta di più la
tenuta testuale, la capacità di rievocare un momento ad alto coefficiente
emotivo anche ricorrendo al code switching italiano-dialetto. Analisi di
epistolari di artisti: Giovanni Fattori, esponente dei macchiaioli, parla di sé
come un ignorante, ma scrive senza nessuna preoccupazione formale,
secondando i ritmi orali di un umore risentito e aggressivo che non esclude il
turpiloquio e non curandosi di correggere gli scorsi di penna. Più significativo
il ricorso alla metafora pittorica, non dipendente da suggestioni letterarie.
CAP. 5: Italiano antico e italiano moderno
Esiste una continuità di fondo tra l’italiano di Dante e quello di oggi, si pensi
all’inizio dell’Inferno. A differenza dell’italiano attuale, assestato su una norma
grammaticale rigida, nella lingua dei primi secoli l’uso era oscillante: oggi
sarebbe errore dire vada anziché vada, ma in Boccaccio si trova; superlativo
assoluto non ammette gradazioni, ma una volta non era cosi (bello assai);
oggi possiamo scegliere tra cui e a cui, anticamente ciò era possibile anche
per lui e lei; oggi il pronome relativo con funzione di complemento indiretto è
cui (nell’italiano popolare che), nell’italiano antico il che era diffuso anche con
valore obliquo (le spade lor con che v’han fesso i visi); oggi ella si può usare
solo come soggetto, anticamente no. Il confine giusto/sbagliato è labile e
dipende dalla reazione della collettività dei parlanti, mutevole nel tempo. Le
differenze nella grafia sono molto forti. Nel Duecento, alle origini della
tradizione grafica, si poteva ancora trovare k per indicare la velare sorda, ed
erano abituali oscillazioni per tutti i fonemi che non avevano un corrispettivo
nell’alfabeto latino: in Toscana la l palatale di figlio poteva essere espressa
anche con gl, lgli, lgl o li alla latina. Mancavano i segni paragrafematici:
punteggiatura, accenti, apostrofi, distinzione maiuscole e minuscole. Le
parole potevano essere scritte unite. La svolta si ebbe con la stampa, mentre
a Bembo si devono l’introduzione dell’apostrofo, l’uso della virgola, del punto
e virgola e degli accenti. Nei suoni la stabilità è massima, quindi le differenze
tra Dante e un parlante fiorentino colto attuale sono marginali (già citate
azione e nazione). Le congiunzioni (e, né, o) si pronunciavano con vocale
aperta, seguendo l’etimologia latina fino al XVIII secolo. La chiusura si deve
alla protonia sintattica, in quanto i 3 monosillabi si pronunciano
appoggiandosi alla parola successiva e quindi la vocale viene trattata come
atona, necessariamente chiusa. Per la morfologia le strutture portanti sono
rimaste le stesse (gatto-gatti, capra-capre, ecc). Nell’italiano dei primi secoli
era più nutrito il drappello di plurali femminili in a, relitti del plurale neutro
latino (le ossa<ossa). Non mancano differenze per i paradigmi verbali. Inoltre
nei verbi sussisteva grande varietà tra le forme concorrenti, molte delle quali
rimaste a lungo in uso nella lingua poetica (aveva e avea, udìo udì) e il vario
dinamismo di altri modi e tempi (fossero fossono). Per l’italiano antico in ogni
caso disponiamo di un corpus frammentario e limitato alla lingua scritta, oltre
che sospetto quanto ad attendibilità linguistica perché costituito da testi
letterari sia in prosa che poesia. In un registro di conti del contado fiorentino,
vicino al parlato, i testi sono distanti dal nostro orizzonte linguistico, a partire
dalla grafia fino alle sigle e al lessico. L’unico aspetto linguistico familiare è
l’ordine delle parole. La sintassi più libera dell’italiano, peculiarità dell’italiano
scritto, potrebbe spiegarsi con l’azione di lunga durata che la sintassi latina
ha esercitato su quella italiana.
In qualsiasi lingua il lessico è il settore soggetto a più rapido e intenso
cambiamento. Anche il latino che, usato nei documenti ufficiali della Chiesa
cattolica, ha accolto una serie di neologismi, coniati per iniziativa della
Fondazione Latinitas. In verità per la creazione di questi neologismi non si
ricorre all’adattamento di una parola nuova nella lingua ricevente, ma si
elaborano perifrastiche come instrumentum computatorium per computer o
foetoris delumentum per deodorante. In italiano il nucleo più riconoscibile di
arcaismi è quello di parole uscite d’uso, poi arcaismi che hanno mantenuto
debole vitalità per il lungo corso nella lingua letteraria (augello, poscia,
speme). E’ frequente il caso di parole che hanno mantenuto la loro veste
materiale intatta nei secoli cambiando il significato (donzella). In questo caso
italiano antico e moderno sono realtà non comunicanti. Parole che hanno
cambiato significato: garzone (bambino, ragazzo) dal francese, associato al
lavoro forse perché gli addetti a umili mansioni erano giovanissimi; credenza
(segreto) è un gallicismo, oggi inteso come armadio; convenire oggi ha il
valore di essere opportuno, nell’antico esprimeva idea di un dovere o
necessità inderogabile.
CAP. 6: Scritto e parlato
Il parlato è caratterizzato da rumore, intonazione variabile, progettazione
minore rispetto allo scritto, dalla compresenza di altre modalità comunicative.
Esistono anche varietà intermedie come il parlato-scritto, riprodotto da uno
scrittore nei dialoghi, e il parlato-recitato, scritto per essere calato nella
finzione scenica. Poi il parlato-scritto può essere trascritto, 3 tipologie:
testimonianze di ambito giudiziario, ricca di insulti come pappatore leccone
(mascalzone), furetto (ladruncolo), suffissi spregiativi (spionaccio,
bricconaccio); testi d’ambito religioso come le scritture visionarie di donne,
spesso poco più che alfabete, su indicazione del padre spirituale, o le
prediche senesi di san Bernardino (funzione fàtica e conativa, che di norma
cadono nello scritto, sono presenti; c’è anche deissi, ridondanza pronominale,
onomatopea, forte grado di allocutività, la chiamata continua degli
interlocutori tramite interrogative); ambito politico, in cui l’origine orale del
testo trascritto è affidata a segnali deboli, tipicamente all’uso dei deittici. I
tratti più rilevanti sono 2: la promozione dei pronomi obliqui (lui, lei, loro) a
funzione di soggetto, che si affermerà a livello di lingua letteraria solo col
Manzoni; e la dislocazione, l’alterazione dell’abituale ordine SVO, a sinistra
con anticipazione in prima posizione di un tema diverso dal soggetto (il caffè
lo prendo amaro). Non appartiene solo alla fenomenologia dell’oralità l’uso
dell’imperfetto indicativo nel periodo ipotetico dell’irrealtà (se lo sapevo non
venivo). Oggi il costrutto ha sapore colloquiale, ma Scavuzzo ha mostrato
come fosse diffuso nella poesia epico narrativo e nella tragedia alfieriana.
Il testo letterario tipicamente deputato alla rappresentazione del parlato è
quello teatrale. La dialogicità integrale della commedia fa sì che l’autore affidi
le sue intenzioni a parti esterne al dialogato come il prologo o le didascalie.
Dal punto di vista della lingua la svolta si ha con Goldoni, che in parte scopre
e in parte inventa un italiano della conversazione quotidiana, tarato sulla
ricezione del pubblico dei teatri lombardi. Espressioni fraseologiche emerse
in Goldoni: averne abbastanza, chiudere un occhio, essere alle solite, pezzo
grosso. Locuzioni avverbiali: chiaro e tondo, da un momento all’altro. In una
scala di vicinanza-lontananza rispetto al parlato reale, il teatro si colloca nel
punto più vicino, la poesia in quello più lontano (può fare i conti con i
meccanismi dell’oralità in presenza di un filtro predisposto dal poeta per i suoi
intenti d’arte). Anche la lirica può essere chiamata in causa. Si pensi a Guido
Gozzano, attento a rappresentare i meccanismi del discorso diretto. C’è
diverso uso degli allocutivi, i truismi (diciott’anni? Di già?), i convenevoli, i
connettivi fraseologici, formule di saluto prosastiche (Signora! Arrivederla!),
ecc. Hanno un rapporto con i reali meccanismi del dialogo le varie evenienze
di sospensione della parola. L’interruzione può nascere per la volontà di chi
sta parlando o perché un parlante non riesce a concludere un discorso per
fattori fisici come il singhiozzo: Clorinda nella Gerusalemme liberata si rivolge
a Tancredi (io ti perdon.. perdona). Ci sono anche esecuzioni deficitarie
dovute a fattori fisici, in cui si hanno più radicali alterazioni del significante o
del significato (La bella tartagliante di Paolo Abriani, 1600, Mio co-co-cor…).
Quando nella Commedia Dante incontra Brunetto Latini gli rivolge una
domanda fàtica, per il doloroso stupore nel ritrovare il maestro in quel luogo.
Se Brunetto, vedendo Dante, si era espresso con una tradizionale
esclamazione della grammatica poetica (Qual maraviglia), Dante reagisce
con viva immediatezza: per una volta le ragioni della poesia coincidono con la
riproduzione di un atto locutivo reale.
CAP. 7: Un certificato storico per l’italiano
Di italiano parlato si può parlare solo nel ‘900, quando le grandi rivoluzioni
mediatiche (trasmissioni radio 1924 e tv nel 1954) hanno immesso nel
tessuto dialettale della grande maggioranza dei cittadini un modello di italiano
super-regionale. Il tema della non esistenza dell’italiano in età