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Non si sa quando venne fatta l’immagine, se si tratti di un dipinto ex novo o di un restauro di una rappresentazione più

antica, ma tutta l’area in età moderna era caratterizzata da vigne e da pochi insediamenti sparsi di carattere religioso.

Pompeo Ugonio testimonia nel 1588 che le diverse chiese lungo l’Appia si trovavano da tempo in pessime condizioni,

segno di abbandono prolungato nel tempo, infatti Ss Nereo e Achilleo viene definita chiesetta scoperta e rovinata. Nel

1439 le ultime religiose rimaste nel monastero annesso a S. Cesareo vennero trasferite nel monastero di S.Sisto (poi

abbandonato nel 1575 perché zona insalubre). Cesare Baronio -> Unico intervento per risanare lo stato di abbandono

venne fatto dal cardinale Cesare Baronio, secondo il suo biografo p. Calenzio, venne nominato titolare di Ss Nereo e

Achilleo nel 1596, scegliendo quella chiesa perché non si era proposto nessuno. Baronio restaurò quella chiesa e altri

luoghi sacri, inoltre in linea con il fervore post tridentino era interessato alle ricerche antiquarie e divenne uno dei

principali esponenti della Congregazione dell’Oratorio, voleva ritornare al cristianesimo delle origini. Il cardinale nutriva

venerazione nei confronti della Vergine, da piccolo venne prodigiosamente guarito,contrassegnava i suoi libri con “Caesar

Mariae servus, Mariae servus Caesar”. Il culto mariano nell’Oratorio risale a S. Filippo Neri, legato anch’esso alla Vergine.

Gli oratoriani commissionano opere legate alla Madonna, così l’iconografia della Madonna della Vallicella venne fatto

ripetere da Baronio sul frontespizio degli Annales Ecclesiastici, oppure nel dipinto del 1597 commissionato a Durante

Alberti per la chiesa dei Ss Nereo e Achilleo, oppure sulla facciata e nella Confessione di questa stessa chiesa.

Tra 1596-1603 Baronio fa restaurare Ss Nereo e Achilleo e S. Cesareo, nel 1602 S. Gregorio al Celio, questi tre restauri

vengono descritti con cura dal cardinale in una lettera indirizzata nel 1597 al p. Talpa: il cardinale era coinvolto nella

gestione finanziaria e nella genesi intellettuale dei restauri, in più parte del materiale impiegato proviene dagli scavi

nell’area delle terme, quindi il cardinale era sicuramente a conoscenza dell’edificio del disegno vaticano, la realizzazione

o il restauro di una più antica immagine di culto mariano rientra nell’ideologia di Baronio.

Liber Pontificalis -> nella biografia di papa Leone IV si ricordano restauri fatti per volontà del pontefice nel monastero

Corsarum, noto alle liste dell’806 di papa Leone III per la presenza di un oratorio dedicato a S. Cesareo nei pressi di S.

Sisto, nell’area vi era anche una chiesa dedicata alla Vergine annessa al monastero.

Contraddizioni -> se questo edificio fosse stato tanto importante da essere restaurato in età moderna, perché venne

interrato velocemente e riscavato nel 1658? L’interro è piuttosto veloce, in più non si hanno notizie di un edificio del

genere. Poi considerando l’immagine sacra è impossibile che Martinelli non sia riuscito a riconoscere la

rappresentazione, a meno che per “antichità” intendesse il precario stato di conservazione che ne rendeva difficile la

decifrazione.

La coclea fracta. G. Palma

Itinerario di Einsiedeln -> è la sola fonte che riporta “coclea fracta”. L’Itinerario risale ai primi anni di Adriano I (772-795), il

manoscritto presenta ben dieci itinerari urbani e il decimo “de Porta Appia usque Scola Graeca” interessa questa zona.

Dalla porta San Sebastiano, l’anonimo elenca i principali monumenti e toponimi (includendo città cristiana e antica)

sull’Appia, andando verso Roma. Tra questi compare la coclea fracta, ma la fonte non fornisce indicazioni esplicite.

Nell’Itinerario veniva inserito un titolo che indicava i punti estremi del percorso, poi a destra e a sinistra su due colonne

metteva i nomi dei diversi siti in base a come li trovava sul percorso, mentre al centro i siti che il percorso attraversava o

sotto i quali passava (come archi, porte, piazze).

La coclea fracta, posta a ovest dell’Appia era tra due monumenti la Forma Iobia e l’Arcus Recordationis, seguono poi le

Terme, la chiesa di Nereo e Achilleo e San Sisto, i primi due monumenti hanno collocazione incerta (forse la Forma Iobia

è l’Arco di Druso), quindi si usano gli altri. In più per essere citata la coclea fracta doveva essere importante nel

paesaggio.

Nell’Ottocento l’Itinerario venne molto studiato (da C.L. Ulrichs, E. Jordan, G.B. De Rossi, R. Lanciani, Ch. Hulsen), ma la

coclea fracta venne ignorata dai più, solo con Lanciani (1891 Itinerario) vi è una prima interpretazione.

Lanciani -> secondo lui doveva trattarsi di un mausoleo di bizzarra architettura sulla destra dell’Appia intramuranea, tanto

che la riporta nella Forma Urbis accanto a San Cesareo in turrim (titolatura medievale), tutto in rosso (colore per

medievale e moderno).

Hulsen -> nel 1907 dice che secondo lui si trattava di rovine di un grande nicchione presente in tutti gli edifici termali,

forse faceva parte delle terme di Commodo e Severo, situate come attestano i Cataloghi Regionari proprio nella Regio I.

Gerold Walser -> alla fine degli anni Ottanta nell’edizione critica del codice di Einsiedeln scrive che era un macchinario

per il sollevamento dell’acqua (chiamato appunto “coclea”) descritto da Vitruvio nel X libro del De Architectura,

ipotizzando una connessione con le terme di Caracalla (stessa identificazione è stata riproposta nel 2004 da S. Del

Lungo).

Significato di coclea -> nel latino classico e medievale “coclea” ha vari significati. Nel latino classico è la chiocciola, sia di

terra che di acqua, animale impiegato a fini alimentari, ma anche nella farmacopea, secondo Plinio e Sereno Sammonico

(III d.C. autore di un Liber medicinalis) la conchiglia delle cocleae prima di essere mescolate ad altri ingredienti (come

vino, aceto, miele) venivano frantumate fino ad ottenere delle cocleae minutae. Si può ipotizzare che il toponimo coclea

fracta indicasse un luogo di cura, forse legato alle sorgenti di acque terapeutiche che scaturivano ai piedi del Celio (come

l’area Apollinis et Splenis dei Cataloghi Regionari). Tuttavia nel latino classico il termine coclea indica tutti quegli oggetti

che ricordano una chiocciola, una spirale, un tipo di porta usata nei giochi circensi, l’argano impiegato nelle baliste,

svariati strumenti che usano la vite perpetua (torchi o macchinari per sollevare l’acqua). Non è da escludere che si

riferiscano alle vestigia sventrate di terme. Tra gli oggetti a forma di chiocciola coclea indica “scala a chiocciola”,

elemento architettonico di collegamento tra due o più livelli, inserite dentro una struttura circolare o quadrangolare (come

quella oggi esistente presso la c.d. Domus Parthorum, non lontano dalla via Appia), oppure nascoste in spessi muri

(come la coclea nel recinto perimetrale delle Terme di Caracalla). Cocleae erano anche all’interno di colonne “coclidi” .

Nel latino medievale “coclea” si restringe, non vuol dire più chiocciola, ma un tipo di vaso per bere oppure un sortilegio. Si

conserva il significato di scala a chiocciola, anzi la torre in cui viene inserita (documentato fino al XIII secolo). In un’epoca

non lontana dall’Itinerario vi è la definizione di Isidoro di Siviglia tra VI-VII secolo: “le cocleae sono torri alte e rotonde,

queste cocleae come cycleae, sono montate ad anello e a spirale”. La coclea fracta potrebbe essere il rudere di un’antica

torre imponente al cui interno il passante poteva distinguere l’ossatura della scala a chiocciola.

Prendendo per buono che si a una scala a chiocciola sull’Appia l’unica attestazione della torre in quella zona è data

dall’appellativo “in Turrim” della chiesa di San Cesareo riferibile ad una torre nei pressi della quale si costituì la chiesa. In

realtà Martinelli ricorda una titolatura simile nel 1635 proprio lì vicino: una chiesa o oratorio di Sant’Agata de Tempulo,

tuttavia questa si trova sul lato orientale dell’Appia (tra il bivio dell’Appia-Latina e la chiesa di San Sisto) in un’area non

presa in esame.

Ritornando alla teoria di Lanciani che la coclea fracta sia collegata con S. Cesareo in Turrim la menzione più antica è

fornita dal Liber Censuum di Cencio Camerario (1192), in cui il nome della chiesa è seguito dalla denominazione “de

Appia”. Invece l’associazione di una torre alla chiesa appare in un documento relativo a Santa Maria in Tempulo del 1213

in cui è citato come testimone un presbiter Rainaldus Sancti Cesarii in Turre. Nel 1240 un documento di San Sisto

menziona un presbiter Gualterio Sancti Cesarii in Turre. I riferimenti alla torre continuano fino al XV secolo: “in turri” lo

ritroviamo nell’interario dei beni di San Giovanni a Porta Latina compilato da Niccolò Francipani nel 1302 (sotto Bonifacio

VIII); “in turrim” nel catalogo di Torino del 1325 riferito alla chiesa di San Cesareo ma anche all’annesso hospitale affidato

all’ordine dei frati Crociferi; infine nella “in Turre/in Turri” nella Descriptio Urbis Romae eiusque excellentiae di Niccolò

Signorili del 1430. In un atto di locazione di un terreno “in perpetuum et in emphiteosim” stipulato dal cardinal Bessarione

in nome del monastero di S. Cesareo nel 1455 si viene a conoscenza dell’effettiva esistenza di una vecchia torre nelle

vicinanze, il contratto prevede per l’affittuario (Tommaso de Cosciariis) l’obbligo di restaurare la torre sita nel terreno

adiacente le mura di San Cesareo. È difficile far corrispondere questa torre alla coclea fracta, ovvero la scala in rovina,

ma a favore vi è la localizzazione topografica degli edifici.

Scavi del 1936-1955 hanno rilevato che San Cesareo venne eretta sui resti di due grandi ambienti in opera laterizia, di

forma rettangolare, comunicanti tra loro attraverso un passaggio tripartito da colonne, la pavimentazione musiva in

tessere bianco nere e soggetto marino (scena di Nettuno su un carro trainato da cavalli, circondato da un corteo di nereidi

su animali fantastici) risale all’età antonina ed appartenevano non ad una ricca domus, ma a un edificio termale (A.

Insalaco fa paragoni con le Terme di Ostia), forse proprio quelle Terme Severiane e Commodiane citate dai Cataloghi

Regionari. Dello stesso complesso potrebbero essere i resti di strutture scoperte nel seicento a nord di San Cesareo,

nella vigna Fanelli: un’aula suddivisa da 4 file di colonne, fiancheggiata da ambiente intercomunicanti. La zona retrostante

era piena di rovine sia nella cartografia del cinquecento che del seicento.

L’autore di Einsiedeln doveva aver visto i resti delle terme percorrendo l’Appia e in questi edifici di età imperi

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Publisher
A.A. 2017-2018
36 pagine
2 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ANT/10 Metodologie della ricerca archeologica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Shrewa di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Metodologia della ricerca archeologica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi Roma Tre o del prof Manacorda Daniele.