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Un altro esempio: il modello di Watts delle regioni uditive
7.
Per creare un’intelligenza simile a quella del cervello è necessario, secondo
Watts, creare un sistema modello funzionante in tempo reale che esprime
l’essenza di ogni computazione eseguita, in modo da intuire quali informazioni
sono rappresentate a ogni stadio. Secondo Mead, inoltre, lo sviluppo del modello
comincia necessariamente ai confini del sistema (cioè dai sensori), per poi
procedere verso le regioni meno conosciute, dando origine, quindi, alla
retroingegnerizzazione del cervello.
Un esempio di modellizzazione neuromorfica di una regione del cervello è infatti
l’ampia replica di una parte significativa del sistema umano di elaborazione dei
segnali acustici, sviluppata da Watts. Essa si basa su studi neurobiologici
riguardanti i tipi di neuroni e i collegamenti fra neuroni. Seguendo 5 percorsi
paralleli di elaborazione delle informazioni acustiche, esso permetteva di
comprendere le rappresentazioni intermedie delle informazioni a ogni stadio
dell’elaborazione neurale.
Tale metodo è stato utilizzato come preprocessore in sistemi di riconoscimento
del parlato e ha dimostrato la sua capacità di estrarre suoni di un altoparlante da
quelli di fondo.
Esso è infatti dotato di sensibilità spettrale (ovvero della capacità di sentire
meglio determinate frequenze), risposte temporali (ossia di una maggiore
sensibilità alla distribuzione temporale dei suoni, che crea la sensazione della loro
posizione), ma anche della capacità di percepire suoni forti e deboli e
l’amplificazione.
Il sistema visivo
8.
I progressi nella comprensione della codifica delle informazioni visive consentono
di sviluppare e innestare chirurgicamente impianti retinici sperimentali.
Pioniere nello studio dell’elaborazione visiva è Tommaso Poggio del MIT, che ha
distinto l’attività di identificazione da quella di categorizzazione, ossia la capacità
di distinzione. Abbiamo infatti già progettato sistemi sperimentali e commerciali
che riescono abbastanza bene a identificare i volti.
Gli strati del sistema visivo rilevano caratteristiche sempre più raffinate. Esso
richiede infatti circa 150 millisecondi per rilevare un oggetto, il tempo
corrispondente alla latenza delle cellule per il rilevamento di tratti nella corteccia
infero-temporale.
Esperimenti recenti hanno usato un approccio gerarchico, secondo cui le
caratteristiche rilevate vengono analizzate da ulteriori strati del sistema. La
maggior parte dei neuroni risponde infatti solo a una particolare vista
dell’oggetto, ma alcuni sono in grado di rispondere indipendentemente dalla
prospettiva.
La corteccia formula una congettura su ciò che vede e poi stabilisce se le
caratteristiche di ciò che si trova nel suo campo visivo corrispondono alla sua
ipotesi. Tale maccanismo di “ipotesi e test” è una strategia utile anche nei sistemi
di riconoscimento di forme basati su computer.
Noi, quindi, ci illudiamo di ricevere dai nostri occhi immagini ad alta risoluzione,
poiché ciò che il nervo ottico invia al cervello sono solo contorni e indizi. Di
conseguenza, noi fingiamo il mondo a partire da ricordi corticali. Un gruppo di
cellule gangliari invia informazioni sui bordi, mentre un altro rileva grandi aree di
colore uniforme e un terzo è sensibile allo sfondo. Ciò che riceviamo sono quindi
suggerimenti.
Solo recentemente gli strumenti hanno avuto una sufficiente potenza di
elaborazione nei microprocessori per replicare la capacità di rilevamento di
caratteristiche a livello umano, al punto che Moravec ha applicato le sue
simulazioni al computer a una nuova generazione di robot in grado di navigare in
ambienti complessi.
Mead ha inoltre dimostrato un chip che svolge le funzioni della retina e le prime
trasformazioni del nervo ottico.
Un altro tipo particolare di riconoscimento visivo è il rilevamento del movimento,
che avviene secondo un modello di ricerca di base semplice, che confronta il
segnale a un recettore con un segnale ritardato al recettore adiacente. Tuttavia,
ulteriori aumenti della velocità di un oggetto osservato diminuiscono la risposta
del rilevatore.
Altri lavori in corso: un ippocampo artificiale e una regione olivocerebellare
9. artificiale
L’ippocampo è fondamentale per l’apprendimento di nuove informazioni e la
conservazione a lungo termine dei ricordi. L’Università della California ha
mappato gli schemi di segnale stimolando sezioni di ippocampo di topo con
segnali elettrici, per stabilire quali input producessero un output corrispondente.
E’ stato quindi sviluppato un modello matematico delle trasformazioni eseguite
dagli strati dell’ippocampo, allo scopo di stabilire se la funzione mentale può
essere ripristinata installando il chip ippocampale al posto della regione
disabilitata.
In pazienti colpiti da ictus, epilessia e morbo di Alzheimer, un chip posizionato sul
cranio potrebbe comunicare col cervello attraverso due schiere di elettrodi
collocate ai due lati della sezione danneggiata, di cui una registrerebbe l’attività
elettrica proveniente dal resto del cervello e l’altra invierebbe le istruzioni
necessarie al cervello.
Un’altra regione del cervello di cui si costruiscono modelli è quella
olivocerebellare, da cui dipendono equilibrio e coordinazione del movimento degli
arti, con l’obiettivo di applicare un circuito olivocerebellare artificiale a robot
militari e che assistano persone disabili.
Avendo ottenuto prestazioni buone, si può pensare che le attività comuni per un
paziente paralizzato possano essere svolte da assistenti robotici, dando al
soggetto una maggiore indipendenza.
Funzioni di livello superiore: imitazione, previsione, emozione
10.
La parte che conosciamo meno del cervello è la corteccia cerebrale, regione
situata in cima alla gerarchia neurale e costituita da 6 strati sottili nelle aree
esterne degli emisferi cerebrali. Essa contiene miliardi di neuroni da cui
dipendono percezione, pianificazione, decisioni, pensiero cosciente e capacità di
usare il linguaggio.
Rizzolatti e Arbib hanno avanzato l’ipotesi che il linguaggio sia emerso da gesti
manuali, che necessitano, per essere eseguiti, della capacità di correlare
mentalmente la prestazione e l’osservazione dei movimenti della mano. L’”ipotesi
del sistema specchio” sostiene che la chiave per l’evoluzione del linguaggio sia
una proprietà chiamata “parità”, che è la comprensione che il gesto o l’emissione
verbale abbiano lo stesso significato per chi lo compie e per chi lo riceve, cosa
che gli animali non riescono a capire.
La capacità di imitare i movimenti degli altri appare, quindi, un fattore critico per
lo sviluppo del linguaggio.
Essa si realizza attraverso la ricorsione, citata da Chomsky nelle sue prime teorie
del linguaggio umano, in cui sottolineava la presenza di molti attributi comuni per
spiegare le somiglianze fra lingue. La ricorsione è, quindi, la capacità di
assemblare parti piccole in un blocco grande, e continuare questo processo
infinitamente, così come facciamo per costruire complesse strutture di frasi e
periodi da un insieme limitato di parole.
Un’altra caratteristica chiave del cervello umano è la capacità di fare previsioni,
fra cui quelle relative ai risultati delle proprie decisioni ed azioni. Libet ha infatti
dimostrato che l’attività neurale che avvia un’azione si verifica effettivamente
circa un terzo di secondo prima che il cervello abbia preso la decisione di
intraprendere l’azione. la decisione è quindi un’illusione, poiché, come sostenuto
da Dennet, l’azione viene inizialmente avviata nel cervello, e solo poi partono i
segnali verso i muscoli, che si fermano per dire all’agente cosciente cosa
succede.
I neurofisiologi stimolavano elettronicamente dei punti del cervello per indurre
particolari sensazioni emotive, che spingevano i soggetti a formulare subito delle
spiegazioni alle emozioni provate. Nei pazienti in cui le due metà del cervello
sono scollegate, la parte sinistra (legata all’espressione verbale) crea complesse
“confabulazioni” per le azioni avviate dall’altra metà.
La capacità più complessa del cervello umano è tuttavia l’intelligenza emozionale,
sebbene ovviamente l’elaborazione emozionale del cervello sia alimentata dalle
funzioni di percezione ed analisi.
Gli esseri umani hanno una corteccia più grande degli animali, che riflette la
nostra migliore capacità di pensiero critico ed analitico, pianificazione e decisione.
Le situazioni emotivamente cariche sono ugualmente trattate da cellule fusiformi,
dotate di dendriti apicali che collegano fra loro i segnali provenienti da molte altre
regioni del cervello.
La maggiore concentrazione di neuroni spiega la percezione che l’intelligenza
emotiva sia campo d’azione dell’emisfero destro.
Gli input provenienti dall’organismo fluiscono, infatti, nel midollo spinale
superiore, portando messaggi e dati elaborati nel tronco cerebrale e nel
mesencefalo, e successivamente utili ai neuroni Lamina 1 per creare una mappa
del corpo che ne rappresenta lo stato attuale.
Le informazioni passano poi attraverso una regione a forma di nocciolina, il
nucleo ventromediale posteriore, che calcola reazioni complesse agli stati
dell’organismo. Esse, sempre più raffinate, finiscono infine nelle regioni della
corteccia chiamate insula e collocate sul fianco sinistro e destro della corteccia.
Tali regioni sono fondamentali per l’autocoscienza e le emozioni complesse,
strettamente collegate ad aree del cervello che contengono mappe
dell’organismo, in quanto gran parte del nostro pensiero è rivolto al nostro corpo.
I dati delle due regioni insula vanno a una piccola area di fronte l’insula destra, la
corteccia frontoinsulare, regione che contiene le cellule fusiformi. Le scansioni
fMRI hanno infatti rilevato come esse vengano intensamente attivate.
Le cellule fusiformi appaiono solo all’età di 4 mesi e aumentano
significativamente fino ai 3 anni, sviluppando la capacità di affrontare problemi
morali e percepire emozioni di alto livello, influenzate da tutte le regioni
percettive e cognitive. Ciò rende difficile retroingerizzare l’azione delle cellule
fusiformi, che non operano un problem solving razionale, motivo per cui non
abbiamo il controllo sulle nostre emozioni. Il resto del cervello è infatti
fortemente impegnato a cercare di attribuire ad esse un senso logico.
Interfacciamento di cervello e macchine
11.
Un’altra a