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Capitolo 4. La libertà: da illusione a necessità (Davide Rigoni e Marcel Brass)

La sensazione di controllare volontariamente gran parte delle nostre azioni, del nostro

comportamento e della nostra vita è un vissuto oggettivo, intuitivo e pervasivo dell’esperienza

umana. Il problema di come riusciamo a operare un controllo cosciente e volontario sul nostro

comportamento ha sempre attirato l’attenzione di scienziati e intellettuali provenienti da varie

discipline come la filosofia e la psicologia. Il fascino di comprendere come possiamo determinare

volontariamente il nostro comportamento è alimentato dal dibattito riguardante il libero arbitrio,

questione che negli ultimi decenni è stata affrontata da psicologi e neuroscienziati cognitivi con

diverse modalità e diverse tecniche. Le azioni motorie sono generate da un’attività preconscia del

cervello di cui diveniamo consapevoli solo a uno stadio successivo, circa 200millisecondi prima che

l’azione venga eseguita. Questo dimostra come il libero arbitrio non sia la vera forza motrice del

nostro comportamento: il sistema motorio cerebrale produrrebbe un movimento come risultato

finale dei suoi input e output; la coscienza verrebbe informata del fatto che un movimento sta per

avvenire e ciò produrrebbe la percezione soggettiva che il movimento è stato deciso

volontariamente.

Nella vita di tutti i giorni non è importante solamente decidere quando eseguire un’azione e quale,

ma anche decidere se sia il caso di eseguirla o meno; il controllo del proprio comportamento risiede

soprattutto nella capacità di inibire volontariamente un’azione, anche in assenza di segnali esterni

che ci indichino di farlo. Una prospettiva diversa sul comportamento volontario è emersa

recentemente nel campo della psicologia sociale, secondo la quale la volontà umana verrebbe

concepita come un organo alimentato dalla forza di volontà.

Capitolo 5. Decisioni libere e giudizi morali: la mente conta (Filippo Tempia)

Il libero arbitrio si può definire come la possibilità di un soggetto di operare, almeno in alcune

situazioni, scelte che nascano dalla propria volontà e che non siano quindi predeterminate dagli

antecedenti fisici. Le neuroscienze degli ultimi decenni hanno dimostrato una relazione molto

stretta tra l’attività cerebrale e tutti gli eventi mentali.

Dal punto di vista neuroscientifico è bene porsi alcune domande prima di accettare qualunque

conclusione conseguente ai dati scientifici che indicano un’attivazione cerebrale precedente alla

presa di coscienza, da

Parte del soggetto, della propria volontà di agire o della propria scelta.

Il primo fattore da considerare è la temporizzazione della prima consapevolezza della volontà di

agire, che viene annotata mentalmente durante ogni decisione di compiere il movimento e che viene

riportata retrospettivamente dal soggetto non appena terminata l’esecuzione dell’atto motorio

prescritto dallo sperimentatore.

Una seconda linea di riflessioni riguarda il reale significato fisiologico delle aree cerebrali che si

attivano prima del movimento volontario.

Le decisioni comportamentali tengono conto di molti fattori, alcuni dei quali sono specifici

dell’uomo rispetto agli animali, come i giudizi di bellezza/bruttezza, di giustizia/iniquità e di

bene/male; per dimostrare scientificamente che le emozioni svolgono un’azione causale nella

formulazione dei giudizi morali, non è sufficiente evidenziare un’attivazione di aree cerebrali

deputate all’analisi delle emozioni stesse. Le ricerche neuroscientifiche e psicologiche degli ultimi

anni hanno dimostrato definitivamente che le emozioni entrano in gioco nei giudizi morali insieme

a elementi razionali.

Capitolo 6. Che cos’è una scelta? Fenomenologia e neurobiologia (Roberta De Monticelli)

La questione del libero arbitrio è una delle non molte questioni filosofiche che sono anche questioni

vive e sensate per ciascuno; nel caso del libero arbitrio la cosa in questione è proprio la persona

umana. Dunque la questione si pone da un lato nei prolegomeni di un’etica e dall’altro nel cuore

stesso di una teoria della persona che assumerà aspetti molto diversi a seconda di come vi si

risponde.

Secondo gli esperimenti di Libet c’è un intervallo di circa 500millisecondi tra l’attivazione dell’area

cerebrale interessata o correlata ai processi decisionali e l’occorrere dell’intenzione cosciente o

decisione e ci voglio altri 300ms per arrivare all’esecuzione. Generalizzando, la nostra coscienza

avrebbe sempre mezzo secondo di ritardo rispetto agli eventi reali. Secondo la saggista gli

esperimenti in questione non provano che non siamo liberi nel senso di essere capaci di

autodeterminarci all’azione ma costituiscono invece una suggestiva conferma dell’ipotesi

fenomenologica su come si diventa persone: c’è un senso in cui la libertà viene prima di noi.

Una decisione è l’atto che riempie l’apparente lacuna causale fra un’azione e i suoi motivi.

L’esperienza più diretta di questa lacuna la facciamo ogni volta che esitiamo sul da farsi. Secondo il

determinista una decisione è un evento, e come tale deve avere una causa, che può essere o l’agente

stesso o altri eventi antecedenti la decisione. In realtà nessuna delle parti in lizza nella disputa sul

libero arbitrio si è mai soffermata sul significato della decisione, per cui gli esperimenti non parlano

del nostro volere ma dei suoi presupposti, costituiscono forse affascinanti finestre sulla

neurobiologia di questa strana discrezionalità dove la libertà non è altro che il gioco del caso e delle

risposte, attraverso il quale una persona di edificherà per prova ed errore.

Capitolo 7. La moralità è riducibile alle emozioni? (Mario De Caro)

Il saggista vuole affrontare il versante della discussione sulla moralità riguardante gli attacchi alla

nozione di responsabilità morale che provengono dagli ambiti scientifici; secondo la prospettiva

emotivistica i i concetti morali esprimono le reazioni fisiologiche di approvazione o rifiuto da parte

degli agenti in contesti in cui sono in gioco relazioni interpersonali. Il disgusto morale è diverso dal

disgusto alimentare: il disgusto morale infatti prevede da parte nostra la prontezza nello giustificare

le nostre reazioni, cosa che invece risulterebbe impossibile nel disgusto alimentare. Per avere una

normatività morale è necessario che vi sia un distacco di tutte le nostre predisposizioni emotive: la

reazione facciale di disgusto quindi non deve essere saldamente associata ai nostri giudizi e alle

nostre azioni morali ma solo contingentemente; è proprio il fatto che possiamo dissociarci dalle

nostre reazioni istintuali per valutarne l’accettabilità che è moralmente cruciale.

Capitolo 8. Se non siamo liberi, possiamo essere puniti? (Andrea Lavazza e Luca Sammicheli)

Lo spontaneo e basilare istinto di giustizia può essere complicato da qualcosa di imprevisto o di non

considerato, ovvero la presunta capacità di controllarsi da parte del colpevole: se non era in nostro

potere evitare un’azione che pure fisiologicamente noi abbiamo causato ci sembra ovvio scusare il

responsabile e ritenere sbagliato punirlo come se lo avesse fatto apposta. In questa accezione, libertà

fa riferimento alle relazioni causali, alla descrizione delle azioni, al rapporto mente-corpo e alle

condizioni di possibilità delle scelte razionali. Il legame tra concettualizzazione dell’agire umano e

istituti giuridici risulta quindi indissolubile: si potrebbe dire che sia la filosofia a detenere le chiavi

della prigione; oggi però a contendere l’ultima parola sui verdetti sembrano candidarsi anche le

neuroscienze. Queste infatti hanno aperto una nuova prospettiva sul funzionamento proprio della

mente/cervello: il cervello è la mente, e la prova definitiva sta nel fatto che è possibile vedere in atto

nel cervello quei processi che Cartesio voleva collocare in una non ben precisata dimensione altra.

In primo luogo, si assiste a una riproposizione del dilemma determinismo-libertà. Secondo Martha

Farah i dati neuroscientifici indicano che tutto il nostro comportamento è determinato al 100% dal

funzionamento del cervello, che è a sua volta determinato dall’interazione tra geni ed esperienza. La

nostra concezione della moralità è già stata alterata dalla nuova comprensione della biologia

cerebrale e alla velocità a cui vengono fatte le nuove scoperte tale concezione cambierà ancora di

più nel futuro: si crederà quindi sempre meno nel libero arbitrio. Il diritto dunque realizza un

conflitto tra pensiero scientifico ed esperienza vissuta in quanto sembra che le ragioni che forniamo

per il nostro comportamento non si riferiscano tanto alle nostre deliberazioni interiori ma siano

piuttosto giustificazioni a posteriori per cercare appunto di spiegare e razionalizzare ciò che

abbiamo fatto.

I modelli di mente/cervello che implicitamente reggono i sistemi penali moderni paiono quasi

dualistici e si richiamano implicitamente o esplicitamente alla teoria dell’agent causation, cioè la

teoria che sostiene l’attribuzione all’agente consapevole dell’origine causale dell’azione; in altri

termini il diritto si trova ad ammettere che ciò che lo fonda è proprio un’intuizione prefilosofica

riconducibile a un fatto immediatamente dato dell’esperienza umana; si tratterebbe di passare dal

sistema retributivo (secondo il quale in assenza di circostante attenuanti gli individui che

commettono reati meritano di essere puniti) ad un sistema consequenzialista che considera la

punizione come uno strumento per promuovere il futuro benessere sociale e cerca di prevenire i

crimini per mezzo dell’effetto deterrente della legge. A questo proposito è bene riflettere sul fatto

che la giustizia penale retributiva sarebbe inconciliabile con quello che potremmo chiamare nuovo

determinismo riferito alle scelte umane: se tutte le azioni vengono prodotte da cause materiali che

vanno oltre la possibilità di controllo degli individui, diventano inintelligibili i concetti di colpa e di

punizioni meritate su cui poggia il sistema retributivo. Se il crimine non è libero in quanto frutto di

una certa architettura cerebrale, la punizione non ha alcun senso e l’unica reazione possibile da

parte dell’ordinamento giuridico è la messa in condizione di non nuocere.

Per far si che sia accertata la colpa degli imputati, negli Stati Uniti sono spesso richieste risonanze

magnetiche funzionali o tomografie a emissione di positroni per valutare la funzionalità di

specifiche aree cerebrali: l’obiettivo è quello di evi

Dettagli
Publisher
A.A. 2013-2014
6 pagine
6 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/03 Filosofia morale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Aspasia1989 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia morale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi Roma Tre o del prof De Caro Mario.