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QUANTO SIAMO RESPONSABILI?
la responsabilità sembra un concetto indispensabile per la nostra vita morale e sociale. Le nostre interazioni
sono intessute di attribuzioni rispetto alla paternità dell’azione, alle conseguenze che esse mettono in capo al
loro autore e dei giudizi morali e legali che sulla base di esse formuliamo. Ciò che in questi anni sta
emergendo è una concezione naturalistica e naturalizzata dell’essere umano, che connette ai meccanismi del
mondo fisico l’intera gamma dei nostri comportamenti, enormemente raffinati ed elaborati. In base ad una
recente suddivisione proposta da Nicole A Vincent si possono distinguere sei accezioni di responsabilità:
- Virtue-responsibility: ha a che fare con le virtù classiche, la diligenza, la coscienziosità. Una persona
è responsabile quando possiede un carattere virtuoso che la rende un agente il quale nelle proprie
scelte agisce in base a principi e non senza principi e spinto dalle proprie convinzioni e non a
dispetto di esse;
- Role-responsibility: riguarda gli obblighi che competono a una persona per la posizione che ricopre o
il compito che è chiamata a svolgere;
- Outcome-responsibility: attiene agli effetti prodotti direttamente o indirettamente dall’agente per i
quali è considerato responsabile;
- Casual-responsibility: copre il legame tra eventi e stati di cose;
- Capacity-responsibility: rappresenta la condizione base, esclusa la libertà, per la responsabilità
personale generale; si tratta di quelle qualità personali, naturali, acquisite o attribuite, necessarie
perché gli effetti delle azioni possano essere imputati all’agente;
- Liability-responsibility: costituisce la declinazione in termini di sanzione per le azioni o le omissioni
che possono essere attribuite al soggetto.
Da questa elaborazione emerge che le capacità dell’individuo costituiscono il primo criterio su cui basare i
giudizi di responsabilità: la sanzione quindi non sarebbe frutto di deliberazione razionale collettiva, ma quasi
un fatto naturale degli esseri umani in società.
Capitolo 1. Genealogie della responsabilità (Luca Fonnesu)
Nelle principali lingue europee il termine “responsabilità” si diffonde alla fine del diciannovesimo secolo,
dopo essere apparso in inglese e in francese un secolo prima reso in senso politico. Il primo studio
monografico sulla responsabilità è stato redatto da Lucien Lévy-Bruhl il quale individua un aspetto e
caratteristico nella storia della responsabilità, cioè il suo frequente sovrapporsi con la questione della libertà,
o meglio del libero arbitrio.
Nell’opera intitolata “Responsabilità e pena” Hart, nel dare una definizione del termine responsabilità,
rimanda ad un aspetto importante riguardante la sua dimensione “intersoggettiva”, dove il rispondere
corrisponde a un atteggiamento o un comportamento di tipo reattivo di fronte a un’accusa e quindi in un
orizzonte giuridico, o analogo al giuridico. Nell’Etica Nicomachea Aristotele distingue tra azioni volontarie
e involontarie, necessarie secondo il filosofo per poter parlare di lode e di biasimo; la distinzione aristotelica
tra questi due tipi di azioni segna una prima configurazione determinata dalla figura dell’agente, cioè la
configurazione di un soggetto.
La storia della responsabilità è influenzata anche dall’avvento del cristianesimo: se il tribunale costituisce il
primo luogo della responsabilità, l’avvento del cristianesimo arricchisce ulteriormente il quadro perché fa
sempre riferimento ad un tribunale ma quello del giudice supremo, Dio: il tribunale assume una
connotazione morale con la responsabilità rivolta all’azione compiuta che in quanto tale deve essere
retribuita.
Il confronto tra le due concezioni della responsabilità si sviluppa ampliamente nella riflessione filosofica
moderna, dove il dibattito continua ad essere collegato alla libertà del volere: chi accetta la compatibilità tra
necessità naturale e una qualche forma di libertà prende posizione in favore della concezione predittiva,
mentre chi ritiene che la libertà sia incompatibile con la necessità difende la concezione tradizionale basata
sul merito (retribuzionistica). I maggiori esponenti delle due opposte fazioni sono Hume e Kant: il primo
difende esplicitamente non solo la compatibilità della libertà con la necessità ma indica la necessità come
condizione essenziale per poter parlare di approvazione e disapprovazione morale; Kant difende la
concezione retribuzionistica.
Le strutture concettuali della responsabilità si ripresentano anche nella filosofia recente: almeno fino alla
metà del ventesimo secolo l’indagine sulla responsabilità resta concentrata sulla libertà come sua
condizione. Nella seconda metà del ventesimo secolo tornano a fronteggiarsi le concezioni della libertà e
della responsabilità: dal lato retribuzionistico si ha il vantaggio di una maggiore aderenza al senso comune e
il difetto di assunzioni metafisiche, dal lato utilitaristico si apprezza la rinuncia a queste ultime ma si ha la
difficoltà di rendere conto del pensiero morale ordinario.
Capitolo 2. Il problema filosofico della responsabilità (Mario De Caro)
La libertà è l’essenza stessa dell’umano perché è condizione di possibilità della nostra responsabilità morale:
noi pertanto siamo responsabili per le nostre azioni solo nella misura in cui le compiamo liberamente.
Perché si possa dire che una determinata azione è compiuta in virtù del nostro libero arbitrio devono darsi
due condizioni: in primo luogo all’agente si devono presentare due o più corsi d’azione alternativi e in
secondo luogo deve essere proprio quell’agente a determinare quale di questi corsi d’azione si attualizzerà
(deve cioè compiere l’azione autodeterminandosi e allo stesso tempo avrebbe potuto compiere un’azione
diversa da quella che ha compiuto).
Tradizionalmente le argomentazioni contro libero arbitrio e responsabilità morale fanno riferimento alle
acquisizioni della scienza, che sembrerebbero mostrare che ogni nostro comportamento è interamente
determinato da fattori che sono al di là del nostro controllo. Il più classico esempio di questo pensiero è
offerto da una celebre serie di esperimenti tenuti in California dal neurofisiologo Benjamin Libet il più
famoso dei quali chiedeva ai soggetti sperimentali di rilassarsi e di attendere un po’ prima di flettere la
falange di un dito, facendo però attenzione al momento esatto in cui veniva presa la decisione di compiere
quell’azione; nel frattempo gli sperimentatori misuravano l’attività celebrale dei soggetti tramite
encefalogramma: ebbene, l’esperimento sembra mostrare che la consapevolezza della decisione arriva un
terzo di secondo dopo che sono cominciati i processi neurofisiologici. Molti interpretano l’esperimento di
Libet come prova dell’illusorietà del libero arbitrio, cioè come negazione dell’idea che ci sono casi in cui gli
esseri umani possono consapevolmente determinare le azioni che compiono. Contro l’interpretazione di
Libet ci sono molte teorie, le quali affermano che il darsi di tale impulso non è né condizione necessaria né
condizione sufficiente di un’azione che noi, almeno soggettivamente, consideriamo libera. Non è condizione
necessaria perché spesso compiamo un’azione che consideriamo libera senza avvertire alcun impulso a
compierla.
La più classica delle argomentazioni a priori contro libertà e responsabilità è stata enunciata con chiarezza
da Chisholm, il quale afferma che le se le nostre azioni sono determinate noi non abbiamo mai alcuna
possibilità di agire diversamente da come di fatto agiamo: perciò non godiamo del libero arbitrio né di
conseguenza della responsabilità; se al contrario le nostre azioni non sono determinate allora noi, lungi
dall’essere liberi e responsabili, siamo semplicemente in balia del caso, perché se un’azione non è
determinata nulla può determinarla, nemmeno l’agente. Galen Strawson ha fornito una nuova versione di
questo argomento, affermando che:
- È innegabile che i neonati sono fatti nel modo in cui sono fatti in virtù dei caratteri che sono stati
trasmessi loro per via genetica e delle esperienze che capitano loro nell’ambiente in cui nascono,
quindi non possono essere ritenuti responsabili;
- Nel seguito della loro vita il particolare modo in cui gli esseri umani si sforzano di cambiare se stessi
è determinato dai fattori ereditari e dalle esperienze che hanno avuto;
- Se invece accadesse che alcuni dei tentativi che essi fanno per cambiare se stessi non fossero
determinati, allora tali tentativi sarebbero il frutto di fattori indeterministici o del caso;
- Pertanto noi non siamo mai responsabili per il modo in cui siamo e conseguentemente per le azioni
che compiamo.
L’idea che noi esercitiamo il libero arbitrio e che per questo portiamo la responsabilità delle azioni che
compiamo sembra giocare un ruolo essenziale nelle nostre vite; per noi infatti è assolutamente inconcepibile
immaginare un mondo in cui nessuno è mai responsabile di alcuna azione. Bisogna quindi chiedersi se esiste
un modo per rispondere a chi nega libertà e responsabilità: una tipica strategia sta nel cercare di mostrare che
la libertà è compatibile con il determinismo oppure con l’indeterminismo. La prima via è seguita dal
compatibilismo (secondo il quale ciò che conta nella nostra intuizione della libertà è che il soggetto possa
fare quanto intende o vuole fare) mentre l’altra via è quella del libertarismo (compatibile con
l’indeterminismo). Wittgenstein assume a questo proposito una posizione più articolata per difendere la
libertà: egli afferma infatti che nell’ambito della vita quotidiana possiamo continuare a ritenerci liberi e
responsabili delle nostre azioni mentre nei contesti scientifici possiamo guardare a noi stessi come automi
privi di responsabilità.
Capitolo 3. Responsabilità e causalità (Simone Gozzano)
Il concetto di responsabilità è all’origine dell’attribuzione di colpe e meriti: l’idea che una certa entità o un
evento siano responsabili di qualche altro evento può essere compresa per mezzo di una relazione causale
individuata tramite un controfattuale e una volta che accertiamo la sua veridicità possiamo accettare
l’imputazione causale di responsabilità. La connessione causale tra un evento E