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Gli illuministi della rivista Il Caffè

Nel Settecento, la più decisa voce di protesta contro l'autoritarismo linguistico arcaizzante venne dal gruppo degli intellettuali milanesi del "Caffè". I redattori del Caffè si battevano contro tutte le forme di passatismo e di fiorentinismo, quindi, erano avversi alla Crusca, simbolo di questa posizione conservatrice.

Di fondamentale importanza nelle discussioni sulla "questione della lingua" è l'articolo di Alessandro Verri intitolato "Rinunzia avanti notaio degli autori del presente foglio" periodico al Vocabolario della Crusca. Si tratta di un pamphlet dal tono sarcastico nel quale non solo veniva respinta l'autorità della lingua toscana e dell'accademia di Firenze, ma veniva anche messo da parte ogni ideale di ricerca stilistica.

Verri denunciava lo spazio eccessivo occupato in Italia dalle questioni retorico-formali (le "parole") a danno delle "cose", ovvero...

del concreto progresso della cultura. La "parola", secondo gli illuministi del "Caffè", doveva essere strumento al servizio delle idee. La parte iniziale della rinunzia è articolata in sette punti:
  1. Perché se Petrarca, se Dante, se Boccaccio, se Casa, e gli altri testi di lingua hanno avuta la facoltà d'inventar parole nuove e buone, così pretendiamo tale libertà convenga ancora a noi.
  2. Perché, sino a che non sarà dimostrato, che una lingua sia giunta all'ultima sua perfezione, ella è un'ingiusta schiavitù il pretendere che non si osi arricchirla e migliorarla.
  3. Perché nessuna legge ci obbliga a venerare gli oracoli della Crusca ed a scrivere o parlare soltanto con quelle parole.
  4. Perché se italianizzando le parole francesi, tedesche, inglesi, turche, greche, arabe, slave noi potremo rendere meglio le nostre idee, non ci asterremo di farlo per timore o del Casa o del Crescimbeni.
o del Villani o di tant'altri.

5. Consideriamo ch'ella è cosa ragionevole che le parole servano alle idee, ma non le idee alle parole.

6. Porteremo questa nostra indipendente libertà sulle squallide pianure del dispotico Regno Ortografico e conformeremo le sue leggi alla ragione dove ci parrà che sia inutile il replicare le consonanti o l'accentar le vocali, e tutte quelle regole che il capriccioso pedantismo ha introdotte e consagrate noi non le rispetteremo in modo alcuno.

7. Protestiamo che useremo né fogli nostri di quella lingua che s'intende dagli uomini colti da Reggio di Calabria sino alle Alpi.

L'autore fa appello alla libertà espressiva, all'importanza dei contenuti, alla facoltà di introdurre forestierismi nel lessico, al naturale processo di arricchimento proprio di tutte le lingue.

In questo passo lo stile di Verri, altrove più vivace, si fa formale: gli intellettuali contemporanei hanno il diritto di

plasmare la lingua perche hanno esattamente due braccia, due gambe e una testa come gli antichi autori toscani; i grammatici sono accusati di porre freno al progresso dell'ingegno umano con vane ossessioni sulla correttezza formale.

Rinunzia avanti nodaro

Va osservato che il titolo dell'articolo, nella prima stampa, era nonnotaio, come invece Verri si premurò subito di far correggere nell'errata corrige. La forma nodaro è vistosamente settentrionale.

notaio aio aro

La forma nodaro, per contro, è toscana, come suggeriscono il suffisso -aio (anziché -aro) e la consonante sorda -d- in posizione intervocalica (anziché la sonora -t-).

L'ironico saggio di Sulle colonne del Caffè, Verri scrisse molti altri articoli, tra i quali legislazione sul pedantesimo, nel quale espose le sue idee sul modo migliore di scrivere libri.

Il termine legislazione presente nel titolo ha indubbiamente una venatura di ironia, perché suggerisce l'idea che si possano

stabilire protocolli antipedanteschi, quasi norme giuridiche. La pedanteria, insomma, risulta uno dei mali della società, da contrastare con regole esplicite. Nel saggio vengono condannati i modelli formali tradizionali, dominati dalla smania retorica per la sovrabbondanza. La polemica è rivolta nuovamente contro la Crusca e contro il toscanismo. Dei delitti e delle pene Cesare Beccaria, autore del celebre trattato, scrisse una Risposta alla Rinunzia, fingendo di prendere le parti dell'Accademia della Crusca contro le tesi di Verri. Naturalmente si tratta di un testo comico e parodico: non vuole affatto mettere in discussione le accuse alla Crusca, anzi, serve per rendere ancora più ridicoli gli Accademici. Gli argomenti a difesa sono infatti volutamente privi di senso: l'autore non si affida ad argomentazioni razionali, ma alla caricatura. Su i parolai Nell'articolo, anche Pietro Verri, fratello di Alessandro, prese posizione contro il formalismo cruscante dei

fiorentinisti (i «parolai») e abbracciò la causa dei «libertini», ovvero diquanti, antifiorentinisti e anticruscanti, assumevano un comportamento disinvolto nei confrontidelle regole grammaticali.

Di Pietro Verri ricordiamo anche un intervento curioso contro l'uso del «lei» come allocutivo diIl Tu, Voi e Lei.rispetto, nell'articoloCESAROTTI, DAL SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUESaggio sulla filosofia delle lingue

Nel di Melchiorre Cesarotti, pubblicato con diverso titolonel 1785, poi riedito con il titolo definitivo nel 1800, è dato trovare la sintesi esemplare di tutte lemigliori idee sulla lingua elaborate dall'Illuminismo. Gli argomenti qui sostenuti mostrano lamaturità del pensiero illuminista in campo linguistico.

Non si tratta di idee elaborate per la prima volta in Italia, poiche le stesse tesi sono rintracciabiliCondillacin altri autori europei ( ). Si noti la modernità della strutturazione del

Testo, caratterizzato dalla fitta numerazione dei paragrafi, in modo da individuare con chiarezza il contenuto di ciascuno di essi. L'argomentazione è priva di ornamenti retorici oziosi ed evita le divagazioni. Ciò non significa che l'autore non faccia ricorso a espedienti stilistici efficaci come la martellante serie di riprese anaforiche.

Cesarotti, per il suo trattato, non ha scelto la forma dialogica, tradizionale anche in Italia per la materia linguistica. Tale forma, alla fine del Settecento era avvertita ormai come arcaica. Lo stile argomentativo di Cesarotti risulta dunque chiaro, fittamente articolato, già indirizzato verso il modello moderno di scrittura saggistica.

Il tema della costruzione logica era tra quelli più dibattuti nel Settecento. Molti studiosi ritenevano che la costruzione logica corrispondesse al presunto ordine naturale soggetto-verbo-complemento a sua volta corrispondente all'ordine logico della ragione. Una lingua come il latino,

caratterizzata dalle inversioni, non rispettava quest'ordine, come del resto non l'italiano rispettava l'italiano letterario e classico: per questo alcuni ritenevano latino e italiano lingue meno "razionali" del francese. Si trattava certo di un pregiudizio logico-stico. Il punto di vista adottato da Cesarotti sembra una sorta di compromesso: anche l'italiano ha il costrutto logico mentre il latino non lo ha; però il costrutto "illogico" rende lo stile più mosso e meno monotono. Un altro tema tipicamente illuminista è la fiducia nel miglioramento delle lingue. In base a questo principio, si pensava che le lingue moderne potessero diventare migliori di quelle antiche. Questo poteva essere frutto di un atteggiamento modernista e anticlassico. All'inizio dell'Ottocento, tale principio fu ribaltato: il purismo primo ottocentesco collocò la perfezione linguistica nel passato, nell'aureo Trecento. Tra i romantici tedeschi, gli

Schlegel riconobbero la perfezione di lingue antiche giudicate migliori delle moderne. Gli Schlegel ammirarono anche il latino e il greco (le lingue "sintetiche") più delle lingue del loro tempo (per le quali accolsero la definizione di "analitiche"). Un elemento innegabilmente innovativo e "democratico" della teoria di Cesarotti è quello che vede nella lingua la necessità di un consenso della maggioranza, attraverso il quale viene limitato l'arbitrio dei grammatici e si valorizza l'"uso". La prima metà dell'Ottocento si caratterizza per il clamoroso e inaspettato successo del Purismo, un movimento assolutamente avverso ai principi filosofici di Cesarotti.

IL FRANCESE E GLI APPUNTI DI LINGUA DI ALFIERI

Nel Settecento il francese divenne la lingua più importante d'Europa. L'astro del francese cominciò a risplendere dall'epoca di Luigi XIV e andò crescendo durante il XVIII secolo, fino

aristocratici. Il francese era considerato la lingua della cultura e del potere. Durante il periodo della Rivoluzione francese e dell'Impero napoleonico, il francese raggiunse il suo culmine come lingua internazionale. L'influenza politica e culturale della Francia era così grande che il francese divenne la lingua di scambio tra le nazioni europee. I trattati, le leggi e i documenti ufficiali venivano redatti in francese e la nobiltà e l'aristocrazia di tutta Europa parlavano e scrivevano in questa lingua. In Italia, nel XVIII secolo, il francese era così diffuso che ogni persona colta era in grado di leggerlo e di conversare in esso. Un esempio di questo è l'intellettuale Alfieri, che iniziò a scrivere il suo diario personale in francese anziché in italiano. Quando decise di migliorare il suo italiano, prese appunti in cui confrontava le forme toscane con quelle francesi e piemontesi. Il piemontese era il dialetto naturale della sua regione di origine, mentre il francese era la lingua conosciuta da tutti i piemontesi di alta classe sociale, in particolare dai nobili e dagli aristocratici. Il francese era considerato la lingua della cultura e del potere.frequentatori della corte. VitaLa di Alfieri, la sua bella autobiografia letteraria, descrive fra l'altro la conversione al Vita toscano e la faticosa rinuncia al francese. Nella arte gli eventi sono rimeditati e ricostruiti con arte. Invece qui proponiamo il vero diario che lo scrittore tenne nel periodo giovanile, un testo di valore artistico più modesto, ma rispondente in misura maggiore alla verità quotidiana. In questo diario, il testo del 1775 è in francese, la lingua a cui Alfieri ricorreva nel modo più naturale. Però, nel 1777, ecco il passaggio improvviso all'italiano, dopo un lungo silenzio. GOLDONI VENEZIANO, ITALIANO E FRANCESE Alfieri incominciò il suo diario in francese per poi passare all'italiano in forza della passione per la letteratura e della volontà di confrontarsi con gli scrittori classici. Goldoni segui il cammino inverso. Dopo avere conquistato una solida fama in Italia con le commedie in dialetto veneto e in italiano, sitrasferirò a Parigi.Nella capitale francese
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I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher giulia.arcangeletti di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Linguistica italiana e Didattica della lingua e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi "Carlo Bo" di Urbino o del prof Franceschini Lorenzo.