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APPARTENENZE REGIONALI E SOCIALI
Per poter comprendere la coscienza dialettale dei locutori medievali, bisogna fare un'osservazione preliminare:
se la differenziazione dialettale veniva avvertita, non vi erano problemi di comunicazione tra locutori di villaggi
se la differenziazione dialettale veniva avvertita, non vi erano problemi di comunicazione tra locutori di villaggi
vicini anche se non parlavano in maniera esattamente uguale. Lentamente l’intercomprensione di locutori
appartenenti a entità linguistiche differenti è assicurata e questo processo è chiamato "continuum dialettale".
Mentre i signori e i principati avevano frontiere politiche, fiscali ed amministrative nette, il continuum della lingua
popolare era effettivo per tutti gli abitanti delle campagne. Gli appellativi del tipo "picard", "lorrain", "poitevin"
sono delle denominazioni puramente geografiche che tagliano in maniera arbitrale il continuum dialettale.
All’interno delle regioni che delimitano, queste etichette, pur essendo utili per una descrizione ragionata, possono
non corrispondere alle frontiere linguistiche reali,
COMPRENDERSI MALGRADO LE DIFFERENZE
Numerose testimonianze mostrano che la differenza dialettale era ben percepita ma non costituiva un ostacolo alla
comprensione dei locutori: non vi erano frontiere nette. La nozione di intercomprensione deve essere modulata a
seconda della natura del messaggio (scritto o orale), dello statuto sociale dei locutori e del livello raggiunto. Vi
saranno diverse conclusioni considerando le competenze attive (per esempio una conoscenza sufficiente del
dialetto dell'interlocutore), o competenze passive (comprensione di un messaggio dato).
La differenza dialettale può essere assimilata a un semplice accento che indica che un individuo è straniero ad una
determinata comunità linguistica e ciò era di competenza di numerosi commentari scolastici di rendimento del
santo Pierre nel Vangelo di Matteo che constatano la differenza senza particolari conseguenze per la
comunicazione.
Tommaso d’Aquino afferma nel XIII secolo che in una stessa lingua si possono trovare diversi modi di parlare
[diversa locutio] come per esempio in francese, piccardo, borgognone, ma si tratta tuttavia di una stessa lingua
[loquela]. Nicolas de Lyre (XIII sec.) sostiene invece che la lingua francese sia una ma che coloro che sono in
Piaccardia la parlano differentemente [varietas].
Infine Jean Courtecuisse, del XV secolo, nel Sermon sur la Passion afferma che "tous parloient ebrieu mais avoit
entre eulz differenze comme entra françois et picart".
Le differenze dialettali potevano anche provocare difficoltà di comprensione come testimonia ad esempio il "Livre
Roisin" del 1283, che riportava i costumi di Lille, dove emerge che se fosse arrivato a pregare qualcuno che non
sapeva nulla della lingua piccarda sarebbe stato meglio che pregasse nella lingua che meglio conosceva.
Nel XIV secolo un traduttore lorenese dei salmi nel prologo della sua traduzione sostiene che la differenziazione
linguistica metta in pericolo la comprensione reciproca promuovendo implicitamente la fondazione di una norma
linguistica uniformante.
Altre testimonianze mostrano che la tensione tra dialetti coabita con la nascita e poi l'affermazione di una tensione
tra la lingua materna e la lingua comune: in un primo tempo domina l'idea che la lingua comune, astrazione
designata per un nome, si manifesti accidentalmente in maniera differente in ciascuno. Così afferma Roger Bacon
riferendosi al francese per spiegare il rapporto tra Caldeo ed ebraico dicendo che come per piccardo, normanno,
borgognese e parigino, vi sia una lingua comune per tutti che si diversifica secondo il luogo producendo diversi
dialetti (idiomata) ma non diverse lingue (linguas). La lingua comune è un’astrazione poiché la lingua si declina in
dialetti e questa concezione di una lingua che si declina in dialetti persiste fino alla fine del periodo in ambienti
coltivati e letterati.
Il passaggio da un sistema a semplice livello, limitato alla giustapposizione di dialetti a un sistema di doppio livello
con il francese come lingua tetto è percepito molto lentamente. Ouy ha sottolineato l’acuità di questo problema
appoggiandosi sull’esempio di Jean Gerson, predicatore con un padre artigiano, di cui si pensa che la lingua madre
fosse il dialetto della Champagne, anche se i suoi discorsi e sermoni adottano la forma di un francese coltivato e
normato.
Il caso di Gerson mostra che l'intercomprensione era una condizione necessaria ma non sempre sufficiente
all'espressione linguistica poiché la lingua non può essere ridotta a un semplice strumento di comunicazione: se
avesse conservato la sua lingua d'origine sarebbe probabilmente stato compreso, ma dovendo rivolgersi ad
pubblico ebbe bisogno di una lingua standard normalizzata che fosse bene comprensibile a tutti e quindi generale,
adottando perciò una nuova "maniera di linguaggio".
Jakobson distinse 6 funzione del linguaggio:
-la funzione referenziale (riferita al contesto) quando, nel comunicare qualcosa, il parlante collega due serie di
elementi
-la funzione emotiva (riferita al mittente) quando il mittente cerca di mostrare, nel proprio messaggio, lo stato
d'animo, utilizzando vari mezzi, come una particolare elevazione o modulazione del tono della voce
-la funzione conativa (riferita al destinatario) o persuasiva quando il mittente cerca di influire sul destinatario, come
mediante l'uso del vocativo o dell'imperativo
-la funzione fàtica (riferita al contatto) quando ci si orienta sul canale attraverso il quale passa il messaggio e si
cerca di richiamare l'attenzione dell'ascoltatore sul funzionamento dello stesso
-la funzione poetica (riferita al messaggio) orientandoci sul messaggio, si pone al centro dell'attenzione l'aspetto
fonico delle parole, la scelta dei vocaboli e della costruzione formale
-la funzione metalinguistica (riferita al codice) quando all'interno del messaggio sono presenti elementi che
definiscono o ridefiniscono il codice stesso, come chiedere e fornire chiarimenti su termini.
Jakobson precisa inoltre che un messaggio non rivela una sola funzione ma numerosi con una dominante.
Jakobson precisa inoltre che un messaggio non rivela una sola funzione ma numerosi con una dominante.
Non importa perciò solo farsi comprendere, ma anche impiegare una lingua piacevole e graziosa.
Nel 1396 nel manuale “Manières de langage”, un manuale di conversazione francese scritto per Inglesi, il francese
è spesso definito "dolce" e denominato come la lingua più dolce in assoluto, la più bella e la più graziosa.
Anche i dialetti sottostanno a giudizi di valore dello stesso tipo: una testimonianza importante è quella di Conon de
Béthune, poeta figlio di Roberto V, che nell'occasione del matrimonio di Filippo Augusto e Isabella di Hainaut,
cantò davanti a re e regina suscitando il loro rimprovero per l'utilizzo di "parole di Artois", mischiando quindi il
piccardo e il dialetto dell'Ile de France.
Il poeta riteneva che fosse sufficiente l'intercomprensione e vedeva nel suo dialetto una variante legittima del
francese mentre re e regina emisero un giudizio negativo sul suo piccardismo, non accontentandosi più quindi
dell'intercomprensione.
Probabilmente fu allora che alla corte di Francia si prese coscienza di una norma linguistica cortese: quando un
poeta doveva esibirsi avanti alla corte, doveva rispettare gli usi ed il buon uso della corte per una questione di
onore ed adottare una lingua vicino a quella del re.
Si emana dunque progressivamente un modello linguistico, sia geografico che sociale, formato nell'aristocrazia
della regione centrale del regno.
LINGUA DI PARIGI: FRANCESE PURO
I giudizi di valore sui dialetti manifestano una coabitazione spesso conflittuale: Bacon accenna al peso delle norme
locali sul giudizio degli altri dialetti sostenendo che i dialetti di una stessa lingua varino in base alla gente, ad
esempio ciò che è corretto in piccardo viene giudicato negativo dai Borgognoni e lo stesso per i francesi.
Ciò avviene a Parigi nel 1388, quando si incontrano un Parigino, de Chastillon, e un piccardo, Castel, che si
deridono riguardo la loro lingua.
L'idea di un dialetto più puro degli altri si delinea progressivamente e a metà del XIII secolo nel "Compendium
studii philosophiae" Bacon affianca l'aggettivo "puros" a "gallicos" nell'enumerazione di differenti dialetti, anche se
non si comprende se si riferisca alla purezza della lingua dell'Ile de France o al fatto che sia difficile trovare un
parigino del ceppo nella Parigi del XIII secolo.
Insieme ai conflitti soprattutto in ambito letterario si afferma sempre di più l’idea che la lingua dell’Ile de France,
quindi quella di Parigi e della Corte, fosse la lingua più pura e giusta per eccellenza: molti letterati nei prologhi
delle loro opere iniziarono a mettere testi di scuse, delle clausa humilitatis, per il loro dialetto perché non erano nati
a Parigi. Tra questi ricordiamo: Jean de Meun in “Roman de la Rose”, Barthélemy l’Anglais in "Liber de
proprietaribus rerum" dove afferma anche che i piccardi abbiano una lingua più grossolana degli altri, un traduttore
anonimo di salmi in un manoscritto del VI secolo, e Dupin nel 1324-40 in "Roman de Mandevie".
Anche in zone geografiche poco lontane da Parigi e dialettalmente poco differenziate dalla capitale i locutori locali
spesso appaiono negativamente: Bretel in "Tournoi de Chauvency" scrisse in Loreno nel 1285 opponendo il "buon
françois" al "valois cencioso".
Diversamente il "Roman de Baudouin de Sebourc" offre un dialogo fittivo associando la bella lingua di Parigi e il
Ponthieu, che si trova in pieno dominio piccardo.
Persino un traduttore di origini vicino ad Orléans si scusa nel prologo della sua traduzione della "Consolation de
Philosophie" di Boezio del suo rude linguaggio, lontano da quello di Parigi ma che in realtà sembra esservi molto
simile.
Le testimonianze mostrano quindi che il francese parlato a Parigi alla corte del re di Francia gode nei circoli
letterari e aristocratici di un prestigio superiore rispetto tutti gli altri dialetti d'oil alla fine del XII secolo e che non
cesserà di aumentare, fino a che gli scrittori si sentiranno obbligati a riconoscere la supremazia di questa varietà di
francese.
BUON UTILIZZO DEI DIALETTI
Nonostante la tensione crescente tra la lingua di Parigi e i dialetti, l’utilizzo di scriptae marcate arriverà molto tardi
nel periodo: questa apparente contraddizione tende soprattutto alla specializzazione funzionale delle varietà
linguistiche e alle situazioni geo-linguistiche atipic