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Giuseppe Antonelli
Ma cosa vuoi che sia una canzone. Mezzo secolo di italiano cantato
La lingua della canzone, genere di consumo di ampia diffusione, può essere studiata come
specchio della lingua italiana soltanto in una certa misura in quanto le esigenze
dell’elaborazione artistica e i vincoli imposti dalla base musica incidono sulla tendenziale
aderenza alla lingua viva parlata. L’italiano delle canzoni più che un italiano vero può
essere considerato un italiano verosimile (soprattutto in quel periodo compreso tra gli anni
Settanta e Ottanta in cui l’abbandono di tratti ormai percepiti come vecchi ha coinciso con
l’apertura al parlato) Senza dubbio i testi di canzone sono stati un importante modello
linguistico di riferimento (soprattutto nei primi decenni del Secondo dopoguerra, per un
pubblico scarsamente alfabetizzato), ma non è possibile pensare che la lingua della
canzone abbia mai anticipato o determinato certi sviluppi della lingua italiana. Non può
averli anticipati, ma sicuramente li ha favoriti. Se è vero, infatti, che le innovazioni
linguistiche non sono mai partite dalle canzoni per poi prendere piede nell’uso dei parlanti,
è però fuori questione che quando sono passate per le canzoni hanno raggiunto un
pubblico molto ampio e ricettivo favorendone la diffusione e soprattutto la loro
accettazione.
Per definire adeguatamente l’italiano della canzone Antonelli non indaga il significato dei
testi (il contenuto), ma il significante (la forma) e analizza le tendenze comuni che
emergono attraverso gli anni in un insieme rappresentativo di testi seguendo lo sviluppo
di alcuni aspetti grammaticali, sintattici e lessicali. L’intenzione era dunque quella di
intercettare alcuni tratti linguistici significativi nel momento in cui diventano dominio
comune e progressivamente si cristallizzano, dando vita di volta in volta ad un nuovo
standard del testo per canzone. Considera i testi delle mille canzoni italiane più vendute
negli ultimi 50 anni. Il periodo preso in esame va dal 1958 al 2007.
Antonelli descrive il processo che porta la lingua della canzone a rinnovarsi attraverso una
costante marcia di avvicinamento al parlato e con l’ acquisizione di alcuni tratti della
grammatica ermetica.
Quale canzone, quale testo, quale data sono assumibili come pietre miliari in questo
itinerario? Nel blu dipinto di blu di Modugno (1958) fa sicuramente vacillare il
tradizionale assetto della canzone italiana e segna la data d’inizio della canzone d’arte
moderna italiana. Al momento dell’esecuzione, sul palco di Sanremo, la percezione di una
frattura con il passato è evidente ed un ruolo importante in questa rottura viene
generalmente attribuito alle scelte linguistiche del testo che sembrano spazzare via un
decennio di retorica annunciando l’avvento di un’epoca nuova. Ma in realtà, se è evidente
la distanza dagli altri testi in gara al festival sul piano del gusto, dei temi e dei valori, lo è
meno sul piano della lingua. Infatti la novità riguarda solo in piccola parte le strutture della
lingua. A dimostrarlo ci sono le scelte successive dello stesso Modugno che l’anno
successivo vincerà di nuovo il festival con una canzone Ciao,ciao bambina il cui testo
segna decisamente un ritorno alla tradizione recuperando alcuni tratti come il futuro a fine
verso e il troncamente AMOR. Più rivoluzionaria sul piano linguistico è sicuramente Ciao
Amore,ciao del cantautore Luigi Tenco che aveva dichiarato di voler tracciare, con il suo
testo, una nuova linea per la canzone italiana. I tratti innovativi di questo testo, che fu il
frutto di un lungo lavoro di elaborazione, risiedono nella scelta di verbi (quasi tutti)
all’infinito (“andare via lontano a cercare un altro mondo dire addio al cortile andarsene
sognando e poi mille strade grigie come il fumo in un mondo di luci sentirsi nessuno”) che
comporta l’assenza dei tradizionali IO e TU; manca il passato remoto della favola e del
rimpianto e soprattutto il futuro dei progetti e delle speranze;mancano gli accenti
sull’ultima sillaba del verso e le rime sostituite da assonanze a cadenza irregolare. Se il 1
testo di questa canzone annuncia un cambiamento, sarà solo con la seconda generazione
dei cantautori (De Gregori, Venditti, Vecchioni, Bennato, Guccini) che nel codice della
canzone italiana entrerà stabilmente una nuova GRAMMATICA DEL TESTO. E questo
avverrà in un mutato clima politico e sociale (siamo tra il 68 e il 77), ma anche linguistico.
Infatti in questi anni l’italiano inizia a prevalere nell’uso di gran parte della popolazione .
In questo clima il rinnovamento della canzone, innescato proprio dalla canzone d’autore,
procede soprattutto in due direzioni che costituiscono le tendenze stilistiche dominanti:
Orientamento Lirico: Verso una poetizzazione della lingua, con ampio uso di
tecniche e stilemi tipicamente poetici
Orientamento prosastico: Verso la prosa e la lingua parlata, privilegiando toni
colloquiali vicini al parlato.
A partire dagli anni 60 il fatto che alcuni autori prendano a cantare in prima persona i loro
brani comincia ad essere visto come una garanzia di maggiore autenticità e qualità dei testi
e inizia ad emergere una sempre più marcata opposizione tra canzone d’autore e canzone
di consumo, tra la nuova figura del cantautore e quella vecchia del paroliere. La prima
generazione è attiva negli anni 60 ed è incentrata sulla scuola genovese (Luigi Tenco,
Fabrizio De Andrè..) e su quella milanese (Gaber, Jannacci, Sergio Endrigo, Piero Ciampi).
Questa prima generazione fonda la sua rottura sull’abbandono del lirismo di maniera e
della retorica e sul ricorso ad un linguaggio comune,semplice e diretto. Alla seconda
generazione appartengono, invece, Lucio Battisti e Francesco Guggini che per l’impegno
politico e per i rapporti con la letteratura alta rappresenta l ‘archetipo dei cantautori anni
70. Ma anche De Gregori e Venditti, Dalla e Vecchioni. Essi ampliano la tastiera linguistica
spaziando dal letterario al colloquiale. Nel frattempo si amplia anche la tastiera musicale e
a partire dagli anni Settanta i nuovi cantautori sconfinano sempre più spesso in altri generi
e soprattutto nel rock (Eugenio Finardi,Vasco Rossi,Nannini,Ligabue) e nella musica nera
(Pino Daniele, Zucchero). Se i parolieri tendono ad identificarsi con la figura del poeta , i
cantautori ne prendono le distanze in un atteggiamento critico(“ i poeti che brutte
creature ogni volta che parlano è un truffa”. Le storie di ieri, De Gregori). E proprio a
partire dagli anni Settanta l’italiano della canzone muove progressivamente dalla lingua
poetica della tradizione ad un modello cristallizzatosi nella prima metà del Novecento;
quello della grammatica ermetica. La solennità della poesia tradizionale lascia il posto alla
suggestiva oscurità di quella moderna. I testi delle canzoni si fanno più allusivi e ambigui,
allentando i nessi logici (pensiamo alle canzoni del primo De Gregori- cercando un altro
Egitto). Si sviluppa una nuova fisionomia dello standard canzonettistico accogliendo i
tratti linguistici costitutivi della grammatica ermetica. Con i cantautori della seconda
generazione le canzoni diventano, quindi, un gioco intricato di scorci, di lampi, racconti
lacunosi, metafore e rimandi spesso poco comprensibili come in Amico Fragile di De Andrè
considerato il testo che segna la sua svolta ermetica. Ma quello che era considerato
inizialmente come scarto dalla norma si trasforma ben presto in clichè dando origine, a
partire dalla seconda metà degli anni Settanta, al nuovo standard dei testi di canzone. Se è
vero che la canzone italiana è rimasta legata, nel tempo, ad un’idea tradizionale di norma
linguistica molto vicina a quella della grammatica scolastica a causa forse di una sorta di
complesso di inferiorità che portava i parolieri a osservarla scrupolosamente per non
tradire le attese degli ascoltatori, si può osservare un progressivo allontanamento evidente
ad esempio nel passaggio dall’uso del passato remoto a quello del passato prossimo,
oppure nell’uso di quello al posto di ciò. Entrambi i tratti, però, usciti dall’uso tra gli anni
Sessanta e Settanta ritornano a circolare negli anni Novanta, anche per ragioni metriche (il
passato remoto offre molte forme tronche e ciò ha dalla sua la comodità del monosillabo).
Non è infatti raro che nei testi di canzone la metrica conti di più della grammatica e ad
esigenze metriche si deve l’oscillazione tra le forme che cosa/cosa o di ad/a e ed/e. Sempre
a ragioni metriche si deve la mancata risalita dei clitici ( il tipo Luca ti deve parlare invece
che deve parlarti). I testi di canzone sono caratterizzati da sempre da un’insistenza enfatica 2
sui pronomi personali ed in particolare su quelli soggetto che vengono esplicitati anche
quando non è necessario. Ciò riguarda in particolar modo i pronomi soggetto di prima e di
seconda persona singolare ( IO e ancora più spesso TU). La scelta tra TU e TE è spesso
condizionata dalle esigenze di rima: di qui l’ironia di Rino Gaetano (“dove sei tu? Non mi
ami più? dove sei tu? Io voglio TU. Nuntereggaepiù”). Il TE che dovrebbe avere funzione
di oggetto si trova,però, in funzione di soggetto nei testi di alcuni autori dell’ area toscana,
romana ed emiliana (Guccini; “TE prova ad andare sotto un camion”. I fichi). I pronomi
di terza persona egli/ella sono stati sostituiti ormai da qualche decennio dalla coppia
lui/lei (ella in particolare è definitivamente scomparso tant’è che nei testi del corpus non
si incontra mai, mentre egli compare tre volte di cui due in De Andrè). In Carlo Martello
ritorna dalla battaglia di Poiters De Andrè usa il pronome di terza persona egli in chiave
scherzosa e sarà questo uso l’unico a sopravvivere, come conferma la presenza di egli ed
ella nella lingua beffarda di Elio e le Storie tese. L’uso di gli al posto di le è invece
percepito come errore e quindi resiste ed è attestato ininterrottamente dagli anni Sessanta
al Duemila. La trasgressione della norma si avverte nell’uso di A ME MI presente nei testi
di cantautori come Guccini e De Gregori e sempre più diffuso a partire dagli anni Ottanta.
Dall’uso che ne fa Dè Andrè in Bocca di Rosa “c’è chi l’amore lo fa per noia..” appare
chiara la sua doppia funzione: quella di emulazione del parlato e quella di mettere una
parola tronca alla fine del verso per rispettare la mascherina. Ormai frequentatissime le
dislocazioni, in particolare le più diffuse sono quelle a sinistra in cui l’elemento messo in
evidenza è anticipato (“la ris