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CAPITOLO QUARTO
Verso la prosa
Verso il parlato.
Pur nelle inevitabili differenze, legate soprattutto al livello sociale, le 140.000 lettere che Gigliola
Cinquetti riceve dai suoi ammiratori tra il 1964 e la fine degli anni Settanta ci danno un’idea di
quale doveva essere all’epoca la preparazione linguistica dei consumatori di musica leggera. In
molte delle lettere si oscilla tra un italiano scolastico, fatto di formule rigide e di perbenismi
lessicali, e un nutrito campionario di errori che va dall’ortografia alla morfologia alla sintassi. Molto
più rari quei tratti che andavano a costituire, tra gli anni Sessanta e Settanta, il nuovo italiano
dell’uso medio. Tra questi, l’uso di lui, lei, loro in funzione di soggetto; i tipi c’ho; il ci locativo al
posto di vi; la preferenza per questo rispetto a ciò e per siccome a poiché. Sul piano sintattico, la
diffusione di costrutti che prevedono l’uso dell’indicativo al posto del congiuntivo o del presente al
posto del futuro e una generale estensione degli impieghi dell’imperfetto indicativo. Ma quale
rapporto c’è tra italiano popolare e italiano del pop? Quale modello grammaticale hanno offerto i
testi delle canzoni di successo? C’è una corrispondenza tra il nuovo standard della norma linguistica
e il nuovo standard dei testi di canzone?
Tante cose un senso non ce l’ha.
Sarà questo diffuso senso di oppressione grammaticale a giustificare l’ingenua trasgressione di un
cantante come Jovanotti, il quale sogna, tra i vantaggi della Vita nell’era spaziale: finalmente dire
pure ma però / perché la lingua cambia / e quello che era errore invece adesso si può. Ma però è
stato assolto recentemente dai grammatici. Nelle canzoni di musica leggera, peraltro, circola con
una certa frequenza fin dagli anni Settanta, specie in quelle d’autore. Di là dagli errori volontari o
parodistici non mancano nelle canzoni di successo usi che si situano sul confine della norma
linguistica. Tipico il caso delle reggenze, in alcuni casi mimetiche di usi regionali (e quel giorno lui
prese a mia madre / sopra un bel prato. Dalla). Ancora più ricco il ricorso alle concordanze a senso,
come quella che fa precedere un soggetto plurale da un verbo di terza persona singolare (c’è il
problema, c’è i casini perché in quello siamo i primi. Pelù). O come quella che porta a usare un
verbo al plurale con un nome collettivo, come in questa canzone di De Gregori, La Storia:
E poi la gente, perché è la gente che fa la storia
quando si tratta di scegliere e di andare
te la ritrovi tutta con gli occhi aperti
che sanno benissimo cosa fare
Non ebbi dubbi
I testi di canzone sono stati caratterizzati da un notevole conformismo grammaticale. Una sorta di
complesso di inferiorità portava i parolieri a osservare scrupolosamente la norma linguistica, così da
non tradire le attese degli ascoltatori e da non offrire il fianco alle critiche. Un caso istruttivo è
quello del passato remoto, usato ancora nei primi anni Settanta per riferirsi a fatti molto recenti. È
evidente che in quegli anni il passato remoto prevale sul passato prossimo anche per ragioni
metriche, essendo il tempo che offre il maggior numero di forme tronche. La tendenza si inverte a
metà del decennio, come testimoniano due canzoni di grande successo, Una lacrima sul viso di
Bobby Solo, e Cuore matto Di Little Tony. Nelle hit parade degli anni Settanta, vecchio e nuovo
coesistono. Anche grazie alla propensione al passato remoto mostrata dai Pooh e dal duo
Mogol-Battisti. Poi, piano piano, l’uso sarà circoscritto ad ambiti puramente narrativi. A riportarlo
in voga sarà Panella, che nei suoi testi per Battisti sembra quasi fare il verso ai vezzi di Mogol. Di lì
a poco contagerà anche Baglioni e nel giro di un decennio raggiunge il mainstream (Infinito¸Raf;
Resta in ascolto, Pausini).
Perché mi dici ciò?
Un altro fenomeno importante è l’uso di ciò al posto di quello. Ciò, normale nei testi di canzone
fino ai primi anni Settanta, si dirada nei quindici anni successivi, per poi riprendere a circolare con
una certa frequenza dagli anni Novanta. E nei generi più diversi: il pop d’autore, la canzone
melodica, il rap, il rock. La presenza, legata anche alla comodità del monosillabo, s’intensifica negli
ultimi tempi (ad esempio Tiziano Ferro ne fa un largo uso).
Poco comune, sul versante opposto, il colloquiale ‘sto per questo. In tutto il corpus se ne registrano
solo cinque esempi, perlopiù negli anni Novanta: Renato Zero, Bisio, 883, Articolo 31.
Un po’ più diffuso il tipo questo qui, quello lì (questo qua, quello là), uno dei tanti modi per portare
un monosillabo in punta di verso e chiudere con un accento. I due tipi ricorrono sotto forma di
pronome soprattutto negli anni Novanta e ultimamente trova spazio nell’uso di napoletani come
D’Alessio.
Val più la metrica che la grammatica.
Non è raro ce nei testi di canzone la metrica conti più della grammatica. Così alcune varianti
marcate in senso stilistico o cronologico si alternano nel corpus senza connotazione riconoscibile. È
il caso di che cosa/cosa; ad/a; e/ed. Quanto al pronome interrogativo, i due tipi sono usati in
maniera intercambiabile. Quanto alla d eufonica colpisce la densità e la costanza nel tempo delle
sue attestazioni. L’oscillazione è continua e la convivenza tra i due tipi frequente. Si registra già nel
primo testo del corpus, Nel blu dipinto di blu. Ma è un fatto che le forme con la d ricorrono
largamente anche quando la parola successiva comincia con una vocale diversa, rispecchiando
abitudini molto più vicine allo scritto che al parlato. Un sondaggio effettuato su tutto il corpus ci
dice che:
Nell’alternanza ad/a davanti a vocale iniziale diversa da a prevale in tutti i casi il tipo con d
- eufonica, tranne che davanti a u.
In un contesto di frequenze più alte, si registra una netta prevalenza del tipo e sul tipo ed
- prima di parole che non cominciano per e, si vede che il divario aumenta decisamente dagli
anni Ottanta in poi. Anche qui la ratio sarà quella di far tornare i conti con la mascherina.
Dipende da ragioni metriche, o ritmiche, anche la mancanza di un altro fenomeno segnalato da
Sabatini: la risalita dei clitici. Vale a dire la tendenza dei pronomi atoni a essere riferiti non al verbo
che conta per il significato ma al verbo servile che lo precede (Luca ti deve parlare, invece che deve
parlarti). Nelle canzoni si nota una notevole predilezione per le forme pronominali toniche (me, te)
rispetto a quelle atone (mi,ti), con una conseguente discesa verso destra della collocazione, sia
quando i pronomi hanno la funzione di oggetto diretto (notti intere ad aspettare te, Come mai, 883),
sia quando fungono da oggetto indiretto (chissà perché non lo dimostri a me, Renato, Mina). Il peso
delle esigenze musicali è particolarmente evidente nei casi di alternanza tra pronome atono e tonico.
Io, tu, noi tutti
Una certa enfasi sui pronomi personali caratterizza da sempre i testi di canzone. E questo accade a
maggior ragione con i pronomi soggetto (e tu/ fatta di sguardi tu/ e di sorrisi ingenui tu/ ed io/ a
piedi nudi io/ sfioravo i tuoi capelli io) o Pensiero stupendo, di Patty Pravo:
E tu
E noi
E lei
Fra noi
Vorrei
Non so
Che lei.
Il pronome soggetto viene esplicitato spesso anche quando non è necessario. Il fenomeno si verifica
con una certa frequenza per il pronome di prima persona io, spesso posposto al verbo (uguale no
non credo io, La mia storia tra le dita, Grignani). E si verifica ancora più spesso per il tu,
soprattutto anteposto (dimmi quanto tu verrai, Quando quando quando, Renis). Il pronome, più in
generale, risulta utile come zeppa monosillabica (su di noi ci avresti scommesso tu, su di noi mi
vendi un sorriso tu, su di noi, Pupo).
La pianta del te
Un’osservazione ulteriore merita la scelta del pronome soggetto. Per la prima persona non ci sono
dubbi, per la seconda persona la norma tradizionale distingue tra tu in funzione di soggetto e te in
funzione di oggetto. Se si guarda ai testi del corpus, si nota come la scelta viene fatta in funzione
della rima (www, mi piaci tu, Gazosa). L’uso del te soggetto si trova negli Zero Assoluto, in
Jovanotti, Nek, ma soprattutto in Vasco Rossi e Ligabue (Il mio pensiero, in cui il tu dominante è
sostituito dal te quando cambia la rima).
Quando c’era egli.
Più ampia la possibilità di scelta per i pronomi di terza persona maschile (egli, esso, lui) e al
femminile (ella, essa, lei). Da qualche decennio, nel parlato la coppia egli/ella è ormai sostituita
dalla coppia lui/lei; ella risulta definitivamente scomparso. Nei testi del corpus ella non s’incontra
mai ed egli appare solo tre volte, una in Celentano e due in De André. Anche esso è pressochè quasi
assente nel corpus, se non per una canzone di Elio e Le storie Tese e Guccini. Uniche eccezioni, due
ricorrenze di esse, rispettivamente in una canzone di Baccini, e in un testo di Panella per Battisti.
Per contro, esempi di lei soggetto cominciano a presentarsi in abbondanza ben prima del ’68 (due
non la deludere, lei crede in te. Morandi), e lo stesso vale per lui (lui, mi è rimasto nel cuore. Lui,
Rita Pavone). Non per loro che compare in classifica solo vent’anni dopo. Manca quasi del tutto
loro in funzione di complemento di termine: già dalla fine degli anni Ottanta praticamente assente
dall’uso medio delle persone colte. In questa funzione, al posto di loro, si trova a loro: «anche a
loro devo il mio successo», Bennato, Sono solo canzonette; e ben cinque gli (io non capisco che gli
fai quando arrivi in mezzo a noi tutti i miei amici si dileguano, 883, La regola dell’amico.
Proprio nel 1989 la Grammatica italiana di Serianni notava: «se gli per loro non può dirsi errore,
decisamente da evitare è gli per le». Nei mille testi di canzone analizzati gli per ‘a lei’ compare solo
tre volte. Colpisce, invece, la tenuta di le, attestato dagli anni Sessanta al Duemila. La ragione è da
cercare dal punto di vista metrico: gli e le sono perfettamente equivalenti: dunque, fermo restando il
conformismo grammaticale della canzone, manca una vera spinta a trasgredire la norma.
A me mi torna in mente una canzone.
Il gusto della trasgressione si avverte quando a essere violato è il più classico dei tabù grammaticali:
a me mi. Si ritrova anche in cantautori come Guccini o De Gregori. Poi dagli anni Ottanta è
ostentata questa sequenza da Vasco Rossi, Jovanotti, Tiziano Ferro.
A me mi, a te ti, in realtà, sono casi particolari di dislocazione che prevede l&rsqu