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-NEOLOGISMI E FENOMENI DI RIDUZIONE: SIGLE, ACCORCIAMENTI E PAROLE MACEDONIA- I fenomeni di
riduzione sono vari procedimenti attraverso i quali da parole o espressioni già esistenti se ne creano altre,
utilizzando diverse modalità di abbreviazione (ASL, bici). È sempre più diffuso il ricorso alle parole
macedonia, parole create assemblando pezzi di altre parole (brunch, da breakfast ‘colazione’ + lunch
‘pranzo’).
Contribuiscono al rinnovamento del lessico anche le sigle (o acronimi), diffuse soprattutto negli ambiti
specialistici, ma sempre più spesso le forme estese sottostanti sono in inglese (DNA).
Gli accorciamenti sono piuttosto diffusi, secondo un procedimento da tempo in uso in italiano (flebo,
moto). Perlopiù provengono da parole inglesi (app, da application), ma si tratta come di anglolatinismi.
Diffusi soprattutto nel gergo giovanile.
Si creano, prestando più attenzione sulla fonologia.
LESSICO E CLASSI DI PAROLE
Sia nel vocabolario di base che in quello esteso nomi, verbi e aggettivi coprono il 95% del lemmario. Le
parole grammaticali, classi chiuse, assumono valori percentuali trascurabili nel vocabolario esteso rispetto a
quello di base perché diluite in un lemmario molto più ampio. In quello di base i verbi ricoprono una
percentuale maggiore, mentre in quello esteso sono più numerosi gli aggettivi. Ciò avviene perché la
comunicazione fa prevalentemente riferimento a cose e azioni, mentre quella più elaborata tende a
qualificare, valutare e circoscrivere la portata di ciò che si afferma e questa operazione si compie anche
grazie agli aggettivi. Inoltre, nel lessico intellettuale e quello tecnico si ricorre spesso ad aggettivi di
relazione, i quali derivano da nomi (anno -> annuale), delimitandone il significato. Questi aggettivi sono
preferiti perché hanno carattere funzionale (sostituiscono il sintagma) e risultano una scelta lessicale più
raffinata. Tanto meglio se risale a una base greca o latina (del vento -> eolico). Intere serie terminologiche
dei linguaggi specialistici sono formate con aggettivi di relazione (medicina-> arterioso, cranico, muscolare,
oculare).
RAPPORTI DI SIGNIFICATO TRA LE PAROLE
Le parole possono stabilire tra loro dei rapporti paradigmatici o sintagmatici.
I rapporti paradigmatici si attivano quando nel progettare un enunciato diverse soluzioni entrano in
competizione tra loro, cioè la scelta di una esclude le altre. Sono rapporti, dunque, che si costituiscono «in
assenza».
I rapporti sintagmatici, invece, sono dei rapporti «in presenza», cioè quelli che permettono di combinare le
diverse parole per comporre un enunciato.
Entrambi caratterizzano i sistemi linguistici a tutti i livelli dell’analisi.
I lessemi di una lingua, ad eccezione dei tecnicismi, sono spesso caratterizzati da una pluralità di significati o
da polisemia. Le varie accezioni di un lessema si sviluppano a partire dal suo significato di base, a cui ne
vengono aggiunti dei nuovi per estensione.
Le relazioni di significato tra parole possono essere di vario tipo:
1) Relazioni di tipo verticale:
I rapporti tra iperònimi e ipònomi (animale -> mammifero -> cane -> pastore tedesco);
I rapporti di inclusione (sportello, cruscotto e volante sono meronimi di automobile).
2) Relazioni di tipo orizzontale:
I sinonimi, cioè due o più termini che condividono i loro significato fondamentale
(conducente/autista). In realtà la sinonimia non è mai completa, una coppia sinonimica può
condividere solo alcuni tratti del significato (faccia/muso);
Gli antonimi, cioè termini di significato opposto (alto – basso). Affini agli antonimi sono coppie di
termini che hanno un significato reciproco o complementare (vendere – comprare);
Gli omonimi, cioè parole casualmente convergenti nel significante, ma di significato diverso (calcolo
‘operazione matematica’ – ‘concrezione di varia composizione che si forma in un organo del
corpo’).
NON SOLO PAROLE: AI CONFINI TRA LESSICO E SINTASSI
Non tutte le combinazioni teoricamente possibili secondo le regole sintattiche di una lingua danno luogo a
risultati accettabili. Esistono dei limiti imposti a volte dalla grammatica, come le reggenze verbali
(telefonare a qualcuno), e a volte determinate dalla conoscenza del mondo (indossare capi
d’abbigliamento). A volte queste restrizioni sono parzialmente motivate (guidare e pilotare richiedono
come oggetti dei veicoli, ma non del tutto intercambiabili).
In alcuni casi si instaurano dei legami privilegiati tra parole che sono il frutto di una consuetudine e non di
regole grammaticali né coerenza logica (caffè macchiato, non schiarito). Esistono delle preferenze per
alcune combinazioni piuttosto che altre. Non essendo motivate logicamente, possono variare di lingua in
lingua. Quando queste combinazioni assumono un rapporto stabile prendono il nome di collocazioni e
possono essere coppie di tipo nome + aggettivo (caffè macchiato), verbo + nome (stendere un documento),
verbo + avverbio (pagare profumatamente).
Un livello ancora più spinto di “solidarietà” tra le parole è dato dalle parole polirematiche (o lessemi
complessi). Si tratta di espressioni di due o più parole che si comportano come se fossero un'unica parola
(carta di credito, dare una mano). Nel suo complesso una parola polirematica assume un significato non
componenziale. I suoi componenti si comportano per molti aspetti come una parola unica. Dal punto di
vista delle categorie lessicali interessate le polirematiche assumono più frequentemente valore di nome
(casa editrice), di verbo (fare tardi), di aggettivo (a senso unico) o di avverbio (a occhio).
Anche le espressioni idiomatiche hanno significato non componenziale (vuotare il sacco). Alcune hanno
struttura bloccata e possono mantenere traccia di parole e strutture ormai scomparse dalla lingua (a destra
e a manca, di sguincio, puta caso).
Le polirematiche registrate dal GRADIT sono circa 130.000.
L’italiano nel mondo
ITALIANO E ITALIANI ALL’ESTERO PRIMA DELL’UNITÀ
Dal Medioevo l’italiano si è diffuso all’estero grazie al commercio e alla cultura. Dapprima i mercanti delle
città costiere (Genova, Venezia e Pisa), poi i fiorentini e lombardi conquistarono l’egemonia economica e
commerciale europea e nel bacino del mediterraneo. Col Rinascimento l’italiano vive una stagione di
fortuna in Europa, grazie anche all’associazione del “bello” nelle sue molteplici declinazioni. Si sedimenta,
così, una certa idea dell’Italia e dell’italiano, che persiste ancor oggi.
Storia e canali di diffusione dell’italiano
Testimonianza della diffusione dell’italiano oltre i confini peninsulari è la presenza di termini italiani nel
lessico internazionale della marineria (corsaro, ciurma, regata) e della terminologia finanziaria
(assicurazione; banca, cambiale, sconto). Con l’avvento della stampa a caratteri, si registra dal ‘500 in poi
un enorme successo della letteratura italiana in Europa (dalle Tre Corone alle opere legate al costume e alla
vita di corte). La circolazione di queste opere creò la domanda per la pubblicazione di grammatiche e
manuali d’insegnamento dell’italiano per stranieri (1548 prima grammatica per francesi, 1550 per gli
inglesi).
Testimonianze delle opere degli artefici (da artifex) italiani si ritrovano un po’ in tutta Europa fin dal XII
secolo. Artisti e artigiani italiani sono richiesti in tutta Europa e di conseguenza si diffondono molti
tecnicismi italiani delle arti. Nel Rinascimento molti Maestri italiani lavorano all’estero per committenti
stranieri. Si aggiunge la fortuna della trattatistica italiana, la quale determina la presenza di ulteriori
tecnicismi a base italiana nelle lingue europee (architettura, pittura e ingegneria militare).
Col passaggio, però, alla Francia della supremazia culturale, l’influenza dell’italiano si affievolisce, ma
persiste nell’ambito musicale.
L’italiano vive la sua stagione d’oro in Europa grazie anche al successo della commedia dell’arte.
Dalla metà dei Seicento familiarizzare con l’italiano diventa importante per chi vuole intraprendere il Grand
Tour.
Se ci spostiamo verso Oriente, rimanendo nel bacino del Mediteraneo, notiamo come l’italiano costituisca
da XVI secolo lo spazio comunicativo condiviso per redigere trattati di pace, assieme al turco. Il compito di
redigere questi trattati era affidato ai dragomanni, veri e proprio mediatori culturali.
Insomma, la diffusione dell’italiano si deve soprattutto a:
-diffusione dei manufatti di cultura alta (letteratura, musica, architettura, arti figurative) e di cultura
materiale (cucina, moda, arredamento, artigianato di qualità);
-l’invasione dell’Italia da parte di eserciti stranieri coincide con la massima diffusione dell’italiano.
Dunque, la fortuna della nostra lingua in Europa è il risultato di un primato conquistato grazie all’attrattività
culturale.
Giudizi e stereotipi sull’italiano
È noto l’aneddoto secondo cui Carlo V avrebbe usato il tedesco per comandare, l’italiano per amare, il
francese per gli affari e lo spagnolo per parlare con Dio. Nel corso dei secoli questo aneddoto ha circolato in
diverse versioni, attribuendo ad ogni azioni diverse lingue, ma l’italiano è sempre stato legato alla
dimensione amorosa. Stessa cosa accadeva nelle rivisitazioni in chiave linguistica della cacciata di Adamo ed
Eva dall’Eden.
A questo primo stereotipo si aggiunge anche quello dell’italiano come lingua cantabile. Già Jean-Jacques
Rousseau sosteneva tale tesi. Questo stereotipo si fonda, però, su una base di verità: l’italiano presenta
alcune caratteristiche fonologiche che lo rendono effettivamente musicale, come la sonorità dovuta alla
presenza di molte vocali, un elevato numero di consonanti sonore, la mancanza di vocali indistinte e
turbate, le sillabe prevalentemente libere, il principio dell’isocronia sillabica e la mancanza di nessi
consonantici complessi.
George Chapman, però, difende la maggiore ritmicità dell’inglese nei confronti dell’italiano e del francese,
tesi avvallata da autori italiani di testi e canzonette, secoli dopo, per i quali l’inglese è più adatto alle
esigenze metriche della musica rock.
Françoys Guédan, invece, esalta la lingua italiana, definendola bella per i suoi concetti che “alzano la
mente, recando seco non so che allegrezza”.
A partire dal XVII secolo, però, le stesse argomentazioni si trovano rovesciate: l’italiano diviene così una
lingua declassata a idioma poco serio, adatto ai lazzi di teatranti