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V – PROBLEMI DI MORFOLOGIA

1. Radice, tema, desinenza

La radice è l’elemento irriducibile comune a tutte le parole della medesima famiglia,

indipendentemente dalla loro categoria grammaticale. Come tale, essa è la portatrice del

significato più generale di una famiglia di parole, cioè il semantema. La irriducibilità della radica è

relativa e gli elementi vocalici possono cambiare. Si tratta di apofonia o alternanze vocaliche,

qualitative (quando cambia la vocale) o quantitative (quando cambia solo la quantità) o entrambe.

La funzione semantica delle alternanze vocaliche radicali in latino è operante solo nell’opposizione

infectum/perfectum. La desinenza è quella forma variabile che indica la posizione della parola

nella flessione (nominale o verbale), ossia, da un punto di vista sintattico, la sua funzione

nella proposizione. Praticamente, le desinenze specificano il genere, il caso e il numero nei

sostantivi, la persona e il numero nei verbi. La desinenza può mancare, come nel nom. timor. In tal

caso si ha una desinenza zero, e la parola può essere ridotta al puro tema. Tolta la desinenza,

resta il tema (detto anche radicale); esso di può definire come la forma che serve di base alla

flessione della parola. Nel caso di timere, è time-; di timor, è timor-. Il tema consta della radice e

di uno o più suffissi: tim-e- (la vocale che termina il tema si chiama vocale tematica o

predesinenziale). I suffissi possono essere raggruppati per formare temi morfologicamente più

complessi e semanticamente più definiti: tim-e-ba (tema dell’imperfetto indicativo). Così si formano

temi di derivati verbali (frequentativi e desiderativi) e nominali (diminutivi e peggiorativi). Anche i

suffissi possono presentare alternanze vocaliche. I prefissi premessi a un tema verbale si

denominano meglio preverbi. Esempi di prefissi nominali: in-sa-nus, dis-par, etc. Anche i prefissi

possono accumularsi, ma assai più raramente dei suffissi. Radice, tema, affissi (cioè prefissi e

suffissi) e desinenze sono astrazioni. Reale è la parola, nella cui unità fonetica essi sono fusi in

modo da non essere sempre ben riconoscibili, soprattutto per due motivi: 1) le modificazioni

fonetiche dovute all’apofonia, all’alterazione della vocale in sillaba finale, alla contrazione, alla

caduta della consonante finale, all’assimilazione consonantica, all’epentesi, alla sincope e alla

semplificazione dei gruppi consonantici; 2) l’assenza dei suffissi tematici e/o della desinenza.

2. La flessione nominale: temi e desinenze

Noi parliamo di cinque declinazioni: sarebbe più esatto parlare di temi, essendo il tema

l’elemento distintivo della flessione, sia nominale che verbale. Spesso la vocale tematica si fonde

con la desinenza, ma esiste un caso, il genitivo plurale, in cui, togliendo la desinenza -(r)um, si

ottiene il tema di tutte e cinque le declinazioni (I temi in -a-, II temi in -o/e-, III temi in -i- e in

consonante, IV temi in -u-, V temi in -e-). È tuttavia possibile un ulteriore raggruppamento delle

cinque declinazioni. Consideriamo le desinenze (o segnacaso): a parte le desinenze che sono o

erano comuni a tutte le declinazioni (come l’accusativo e il dativo singolare), c’è una netta

opposizione tra la I e II da una parte, la III e IV dall’altra nella distribuzione delle desinenze del

genitivo singolare e plurale e del dativo e ablativo plurale. Se si riflette che i e u sono semivocali e

che le nasali (homin-is) e le liquide (consul-is) sono sonanti, appare evidente che il latino tende a

opporre una flessione di temi in vocale (I e II) e una flessione di temi in semivocale, sonante e

consonante (III e IV). Resta la V, le cui desinenze concordano ora con quelle della I-II (diei,

dierum), ora con quelle della III-IV (diebus). Ma la V declinazione è poverissima e oscillante tra la I

e la III.

3. Le principali anomalie della flessione nominale

I. IL GENITIVO SINGOLARE IN -AS DEI TEMI IN -A-: Di fronte a questa forma aberrante i

grammatici antichi si chiedevano se si trattasse di accusativo o di grecismo. Si tratta del genitivo

singolare indoeuropeo dei temi in -a-, conservato in greco, e sopravvissuto in latino come residuo

di una norma più antica. Le attestazioni del genitivo in -as sono rarissime, tranne nel giustapposto

formulare pater (mater, filius, filia), familias, talora scritto paterfamilias. Cornelio Sisenna sostiene

che si doveva generalizzare il genitivo in -ae anche con pater, mater, etc. Da allora, gli scrittori

usano familias o familiae secondo le rispettive tendenze grammaticali: -as gli anomalisti, fra cui

Cicerone, -ae gli analogisti, fra cui Cesare, autore del De analogia. Al d fuori di pater familias, le

forme in -as sono limitate all’epica arcaica, dove hanno funzione di arcaismi solenni.

II. IL GENITIVO PLURALE IN -UM DEI TEMI IN -O/E-: Come mostra il confronto col greco,

la forma in -um è quella originaria, e quella in -orum è recenziore ed analogica del genitivo plurale

dei temi in -a- (luporum come rosarum). Non si parli quindi di “genitivo sincopato”. Sulle scelte

stilistiche inerenti ai doppioni -um e -orum abbiamo una preziosa testimonianza di Cicerone. Egli,

anomalista equilibrato, segue l’uso o consuetudo, respingendo le forme in -um che siano puri

arcaismi, ma accettando quelle consacrate in iuncturae tecniche o formulari. L’arpinate usa di

norma deorum, tranne che nella formula pro deum fidem, dove la netta prevalenza è per deum.

Cesare ha solo deorum, ma è anche vero che non ha mai la formula suddetta. Nella poesia

contemporanea e posteriore sono entrambe presenti, ma è significativo che nei poeti esametrici

deorum è sempre in clausola. Deum aveva il vantaggio dell’arcaismo, ma anche lo svantaggio di

essersi banalizzato nella formula d’uso pro deum fidem.

III. IL VOCATIVO DEUS: Sino all’età di Augusto non s’incontra nessuna forma che valga

come vocativo di deus; a partire da Orazio compare diue, propriamente vocativo di diuos; in

Seneca e nei Priapea, epigrammi di età imperiale, troviamo deus, cioè il nominativo usato come

vocativo: isolato nei pagani, è frequentissimo nei cristiani (“o deus!”). Di dee si conoscono in tutto

due attestazioni letterarie: Tertulliano e Prudenzio. L’interpretazione classica è quella del

Wackernagel: la mancanza del vocativo di deus, come in greco, si spiegherebbe col fatto che gli

antichi, in quanto politeisti, si rivolgevano alla singola divinità col solo teonimo, mentre usavano

normalmente il vocativo plurale di. Sarà il monoteismo ad avere bisogno del vocativo singolare di

deus. Svennung, invece, pensa a motivi fonetici. Non a caso sia in greco che in latino i nomi a

struttura fonetica identica a theòs / deus, cioè nèos, reus e meus, mancano anch’essi di vocativo.

IV. I PLURALI ETEROGENEI DEI TEMI IN -O/E-: Il caso classico è il doppio plurale

loci/loca, il primo anche in senso figurato (“luoghi di un libro”, come tòpoi), il secondo solo in senso

proprio. Ma l’opposizione originaria tra il plurale in -i e quello in -a era diversa: si trattava nel primo

caso di un plurale singolativo, nel secondo caso di un plurale collettivo: l’uno distingue e l’altro

ammassa. Semanticamente l’opposizione è viva in qualche passo del latino arcaico. Ma, altrove, i

due plurali sono interscambiabili o la scelta è dovuta a motivi eufonici o metrici. Lo stesso è

avvenuto in italiano, che ha esteso l’antitesi fra i due tipi di plurale (frutti/frutta, muri/mura,

ossi/ossa, etc.).

V. VIS, SUS, BOS: Vis è difettivo, per quanto tutti i grammatici latini ne diano il paradigma

completo. Se però Cicerone allinea de vi a maiestatis, significa che nella lingua (anche giuridica)

del suo tempo il genitivo di vis non era disponibile. Il suppletivismo vis roboris si deve a Luigi Ceci.

Fu infelice innovazione: vis e robur indicano due concetti che si toccano ma non si ricoprono: vis è

la forza in movimento, di genere animata, e quindi suscettibile di agire bene e/o male; robur,

invece, di genere inanimato, è il legno (rosso) della rovere, e metaforicamente la forza statica, che

sostiene e resiste. Sus è un tema in -u-, “cinghiale”. Ha una doppia forma del dativo-ablativo

plurale, subus/suibus: la prima etimologica, la seconda analogica degli altri sostantivi della terza

(suibus come ovibus). Bos è un tema in -ou-, come Iuppiter Iou-is: il dittongo originario si ritrova nel

greco bous e nei casi obliqui bou-is. La forma fonetica del genitivo plurale è boum; bouum è

analogica. Al dativo-ablativo plurale bou-bus dava bubus; bobus può aver subito l’influsso di bos.

VI. PARISILLABI E IMPARISILLABI: Il cosiddetto genitivo in -ium è quello dei temi in -i-

(puppi-um) e il genitivo in -um è quello dei temi in consonante (reg-um): la desinenza è in entrambi

la medesima, -um. La vecchia regola dei parisillabi e imparisillabi è puramente empirica, e si fonda

sul fatto che i temi in -i- hanno lo stesso numero di sillabe nel nominativo e nel genitivo singolare,

mentre i temi in consonante, col nominativo sigmatico o asigmatico, hanno una sillaba in più nel

genitivo. Tuttavia altri temi in -i- sono divenuti imparisillabi in seguito alla apocope o alla sincope

della vocale tematica al nominativo singolare. Essi sono: 1) i neutri in -ali- e -ari- (animal animalis);

2) gli aggettivi in -as e -is (nostras nostratis; Samnis Samnitis); 3) alcuni monosillabi (pars partis).

Per analogia molti altri monosillabi, originariamente in consonante, hanno assunto il genitivo in

-ium: dens dentis; mus muris; mas maris, etc. Queste tre categorie di nomi si chiamano temi misti.

D’altra parte alcuni temi in consonante si presentano come parisillabi. Sono principalmente di due

tipi: 1) pater mater frater, temi in -r- che in indoeuropeo avevano l’alternanza

e(lungo)/e(breve)/zero. Il latino ha abbreviato la vocale al nominativo (pater) e negli altri casi ha

generalizzato il grado zero (patris, patrum); 2) iuvenis senex canis panis mensis, antichi

imparisillabi che la lingua ha reso parisillabi o aggiungendo il suffisso -i- al nominativo o ricavando i

casi obliqui da un tema diverso.

4. La flessione verbale

I verbi latini possono raggrupparsi in due categorie. La differenza tra i due gruppi è che nel

primo si ha una vocale di collegamento fra la radice e la desinenza, nel secondo questa vocale

manca e la desinenza, quando c’è, si unisce direttamente alla radice. Dalla presenza o assenza di

questa vocale tematica i verbi del primo gruppo prendono il nome di verbi tematici, quelli del

secondo gruppo di verbi atematici. La prassi scolastica distribuisce i verbi tematici in quattro

coniugazioni, distinte dalla vocale predesinenziale: -are, -ere(lunga), -ere(breve), -ire. In realtà

Dettagli
Publisher
A.A. 2015-2016
11 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/04 Lingua e letteratura latina

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher giovyviv94 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Lingua e letteratura latina e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Berno Francesca Romana.