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Per il dialetto si tollerò soltanto un uso strumentale, infatti, le parole della lingua materna erano

unicamente subordinate all’acquisizione delle parole italiane. Insomma il dialetto acquisisce solo un

uso strumentale.

L'inchiesta Matteucci del 1865 prende in esame anche la situazione dei libri di testo per valutarne

l'efficacia. Si chiede agli ispettori scolastici di indicare quale profitto si ricavi dai libri di lettura e

quali di questi siano più usati. Solo una parte di bambini veniva a contatto con i libri scolastici. Al

nord e la centro della penisola, grande era il profitto che si ricava dai libri di lettura, ancor di più se

questi venivano spiegati e commentati, mentre al sud si denunciano problemi come un mediocre

profitto dai libri di lettura perché i maestri li leggevano senza spiegarli.

Nella scuola dei primi anni di Unità Nazionale, il libro di testo scolastico assunse un carattere

enciclopedico, svolgendo diverse funzioni:

- è strumento di alfabetizzazione delle nuove generazioni

- organizza l'insieme delle nozioni ritenute adatte per l’unità intellettuale e morale

- è guida didattica per gli insegnanti

Prototipo del perfetto libro di testo è il GIANNETTO di Luigi Alessandro Parravicini pubblicato

nel 1837. Il libro intreccia due percorsi: uno Nozionistico e Enciclopedico, l'altro Narrativo e

Morale, ed è diviso in sei sezioni: l’uomo, i suoi bisogni e i suoi desideri; mestieri, arti e fanciulli;

geografia; scienze naturali; racconti sui doveri dei fanciulli; racconti morali tratti dalla storia

d’Italia. Questo racconto ha come sfondo la società industriale lombarda e come protagonista

Giannetto, figlio di un onesto e povero commerciante; il quale con l’istruzione e la buona volontà,

riesce prima a diventare un apprezzato artigiano, poi un ricco e stimato industriale. Giannetto, la cui

ascesa sociale è mostrata come un modello, è una sorta di SELF-MADEMAN(persona il cui

successo è dovuto alla sua forza di volontà) all'italiana. A Parravicini serve creare dei racconti come

esempi; l'immagine dell'infante (Giannetto aiuta la madre ,va bene a scuola)va in contrasto con la

figura del bimbo e diventa oggetto di odio degli altri compagni perché era il tipico scolaro modello

e perfetto.

La stagione dei libri educativi continua con le “letture graduate” del sacerdote Giulio Tarra. Quello

che colpisce nella sua opera è la preoccupazione di far accettare la povertà e anche la diffidenza

verso il mondo moderno; Tarra però non ignora che nel mondo popolare vi sia saggezza ma anche

superstizione; ribadisce le ragioni per cui occorre prestar fede ai proverbi e dall’altro invita a non

dar troppo peso alle credenze popolari, tutto ciò che sa di immaginario, quindi, può essere utilizzato

solo se corretto dalla fede.

Ricordiamo anche Cesare Cantù che costituisce uno dei pilastri formativi dell'Italia di allora. Egli

rappresenta il vecchio italiano diffidente verso tutte le novità e ritiene che ognuno debba rimanere al

proprio povero posto, senza invidiare chi è ricco, perché è la proprietà il motore dell'attività dei ceti

subalterni e l'operaio che tenta la ribellione con lo sciopero danneggerebbe solo e soprattutto se

stesso; occorre, quindi, accontentarsi rispettando la volontà di Dio. Tra le sue opere ricordiamo”Il

buon fanciullo”,”portafoglio di un'operaio”,”il galantuomo, ovvero i diritti e i doveri.

Con i vari avvenimenti storici (presa di Roma del 1870,morte di Vittorio Emanuele II nel 1878)

anche il campo della produzione dell'infanzia subisce cambiamenti: vi è un aumentata presenza di

testate di letture educative. Il graduale sviluppo dell'editoria educativa risulta concentrato in poche

aree regionali del nord mentre risultano scoperte altre aree regionali anche se non prive di qualche

significativo contributo: è il caso di Napoli.

La questione della lingua diventò un problema di natura sociale e nazionale. Nel 1867 il ministro

della Pubblica Istruzione Emilio Broglio, allo scopo di elaborare un progetto di intervento, nomina

una commissione presieduta da Alessandro Manzoni, il quale già da tempo sosteneva l'idea di una

lingua comune che attinga all’uso vivo del parlato. A conclusione dei lavori, la commissione

produce la relazione "Dell'unità della lingua e dei mezzi per diffonderla" nel 1868, proponendo

l'adozione del fiorentino parlato colto come lingua comune per tutti gli italiani e suggerisce alcuni

provvedimenti per diffonderlo in tutta la penisola come:

-la compilazione di un vocabolario

-la destinazione di insegnanti toscani nelle scuole di tutta Italia per insegnare ai maestri la buona

lingua e la buona pronuncia

-l'organizzazione di corsi per insegnanti.

Un tale progetto comporta in pratica la sostituzione di un idioma (fiorentino colto) a tutti gli altri (le

diverse parlate locali) e contiene l'idea di un emarginazione dei dialetti ritenuti ostacolo alla

diffusione dell'italiano.

Tale proposta viene criticata e contestata dal linguista Ascoli affiancato da altri antimanzoniani

come Carducci e De Sanctis, i quali pensavano che il fiorentino non poteva essere una norma

linguistica. Secondo Ascoli poi, il processo di acquisizione dell'italiano è più efficace se si sviluppa

in rapporto con i dialetti e le culture locali, attraverso un costante confronto tra i due sistemi. Nella

scuola reale, però, sia il progetto manzoniano che Ascoliano non vennero attuati e le cifre

dell'analfabetismo rimasero ancora elevate.

La produzione di libri scolastico-educativi aumenta notevolmente e i contenuti dei libri per la scuola

sono soggetti a un’estrema rigidità di struttura e di linguaggio poiché puntavano a formare l'uomo e

il cittadino attraverso ideali modelli portatori di qualità morali e civili. Uno dei modelli più presenti

e diffusi è il Giannetto di Parravicini del 1837. Altre opere sono tenute in maggior o minor conto

dagli autori di libri scolastici e utilizzate come modello da replicare con più o meno fedeltà. Ai libri

di Collodi, compreso il Giannettino, una commissione ministeriale istituita per esaminare i libri di

testo e scegliere i più adatti all'adozione indicò quelli di collodi sconsigliabili. Giannettino, il

protagonista era capriccioso, bugiardo e prepotente ma allo stesso tempo buono;

da questa opera Collodi produce una sorta di serial di libri didattici: il Minuzzolo, La geografia di

Giannettino, poi La grammatica di Giannettino, Il viaggio di Giannettino in Italia suddiviso in tre

volumi ecc.

Franco Frabboni analizzando il Giannettino come strumento scolastico riconosce al libro una serie

di caratteri pedagogici come:

-l'aderenza all'universo infantile;

-l'attenzione alle motivazioni spontanee del ragazzo;

-la presenza di «più linguaggi d'uso per trasmettere i contenuti»;

- l’idea di una pedagogia come sforzo e impegno intellettuali.

Carlo Lorenzini (1826-90),detto Carlo Collodi, dal nome del paese materno, inizia già da giovane

ad avvicinarsi ai libri, presso la Libreria Piatti di Firenze con l'incarico di redigere notizie e

recensioni per il catalogo della libreria che annunciava le novità. Sostenitore dell'Unità nazionale,

nel 1848 allo scoppio della prima guerra d'indipendenza parte volontario, ottenendo al ritorno dalla

sfortunata guerra un posto di segretario presso il Senato toscano, iniziando un'intensa attività

giornalistica.

Il primo testo è "un romanzo in vapore da Firenze a Livorno. Guida storico-umoristica" il quale

nasce come un libretto-guida della nuova linea ferroviaria. Anche "I misteri di Firenze", furono

commissionati a Collodi. Nel 1877 e ’78 nascono il Giannettino, che per la prima volta assume le

sembianze di un bambino vero dispettoso, disobbediente ma con un grande cuore, e Minuzzolo, che

ha come protagonista un bambino di nove anni, diviso fra gli impegni scolastici e il piacere del

gioco. Negli anni Ottanta(1880) Collodi fa uscire sempre con i Paggi "Occhi e nasi", volume

antologico diviso in due parti, la prima dedicata a figure, personaggi, ritratti della Firenze a lui

contemporanea, la seconda dedicata alla Firenze di una volta recuperabile solo con la memoria; il

libro ha il sapore moderno dell'indefinito. In “occhi e nasi” emergono elementi che si ritroveranno

nelle avventure di un burattino come il tema della fame o l'ironia di fondo. Alle soglie degli anni 80

possiede tutto il bagaglio tematico e gli strumenti linguistici per iniziare una nuova avventura:

Pinocchio.

Ida Baccini (1850- 1911) insegna nelle scuole elementari a Firenze, quando decide di dedicarsi

interamente al giornalismo e all’attività di scrittrice. Nel 1881 inizia a collaborare al «Giornale per i

Bambini» di Ferdinando Martini; tre anni dopo assume la direzione di «Cordelia», rivista per

giovinette e creò il "giornale dei bambini" destinato a fondersi nel 1906 con il nuovo "giornalino

della domenica". Nel 1900 ottiene ad honorem il diploma di abilitazione all'insegnamento della

pedagogia. Scrisse le “Memorie di un pulcino”, racconto autobiografico di un pulcino di campagna

che viene regalato ad un nuovo bambino e si trasferisce in città, il nostro protagonista, divenuto

ormai grande ritorna dov’era nato, in campagna nel vecchio podere di Vespignano nel Mugello.

Risulta comprensibile perché indica una tendenza ad «assumere punti di vista in cui si pretende di

collocarsi al livello degli animali e dei bambini per osservare e per descrivere il mondo».

Altri libri: "Il libro del mio bambino", "Come andò a finire il pulcino" (1898), da "L'abito nero e di

rigore"(1896) a “Con l'oro o con l'amore"(1899), entrambi dedicati a un pubblico adolescente o

adulto. La sua produzione si muove all'interno di un sistema di poche idee:

-la necessità di esorcizzare la morte e le deformità infantili,

-l'impegno della carità

-la valorizzazione delle teorie del socialismo cristiano,

-l'importanza dell'ubbidienza.

Solo su un punto la Baccini cambia opinione nel corso degli anni: nelle Memorie di un pulcino la

campagna è vista come oasi serena.

Fino a questo momento abbiamo parlato di prodotti per l'infanzia con un occhio rivolto alla

dimensione e alla storia del bambino, d'ora in poi si parla di testi non esplicitamente rivolti

all'infanzia, ma alla formazione di un pubblico adulto. È il caso di "Volere è potere" di Michele

Lessona (Torino 1823-’94),libro guida per la borghesia uscita dal Rinascimento. Lo scr

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A.A. 2016-2017
16 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PED/02 Storia della pedagogia

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher a12795- di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura per l'infanzia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Salerno o del prof Acone Leonardo.