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Gli esseri umani che cercano inteso come il divino sono come
coloro che, trovandosi sott’acqua, si sforzano di vedere cosa accade al di fuori: ne avranno
una visione deformata. Il grottesco esprime tale deformazione.
ricorrenti: tra queste l’umiliazione assoluta, la nudità,
Il Folle sacro è caratterizzato da temi
invece d’essere percepito come un riflesso deformato di
il vagabondaggio. Il contro-mondo,
questo mondo, nella follia sacra si vede come una fugace apparizione di un altro mondo.
utilizzato l’espressione “cavaliere della fede” per definire l’individuo che ha
Kierkegaard ha
il coraggio di credere: si tratta di un rimando esplico al Don Chisciotte e alla sua follia. L’atto
di fede, infatti, porta con sé uno scarto nel tono della realtà. La realtà dominante del
quotidiano viene relativizzata; al contrario, la sfera limitata di significato cui appartiene la
fede viene assolutizzata.
Nell’ottica della fede la figura del folle riceve una gloriosa giustificazione. Come scrive Enid
Welsford: “per quanti credono che abbia un suo valore l’interpretazione religiosa del destino
umano, lo spirito dell’uomo si trova a disagio in questo mondo perché la sua patria è altrove
e perché la fuga dal cercare è possibile non solo con l’immaginazione ma nella realtà”.
Vi sono religioni che hanno un senso dell’umorismo più spiccato di altre. Certi dèi ridono più
di altri, in particolare in Estremo oriente.
L’umorismo trascende la realtà dell’esistenza ordinaria, quotidiana; esso postula una realtà
diversa in cui i princìpi e le norme della vita comune vengono sospesi. Certe manifestazioni
dell’umorismo fanno pensare che quest’altra realtà abbia virtù redentrici che non hanno nulla
di temporaneo, e rimandano invece a quell’altro mondo che è sempre stato l’oggetto
dell’orientamento religioso. La “risata liberatoria”, quindi, dal punto di vista religioso è
esperienza di liberazione dalla condizione umana.
La poesia giocosa o comico-realistica
Fra la metà del Duecento e i primi del Trecento in Toscana si sviluppa una ricca produzione
di rime generalmente definita come “poesia comico-realistica”. Sebbene non si tratti di una
corrente unitaria e omogenea, i rimatori del genere sono accomunati da precise predilezioni
oltre che da una particolare “ribellione” nei confronti
tematiche e scelte di stile e linguaggio, Col termine “comico” si fa riferimento al registro
della società e della letteratura del tempo.
stilistico medio e medio-basso, uno stile che attinge dalla lingua parlata. Il poeta più famoso
e rappresentativo tra i tanti è il senese Cecco Angiolieri.
Tra gli antecedenti troviamo inoltre i Carmina Burana, dove annoveriamo la presenza inoltre
del tema del rovesciamento carnevalesco e della parodia nei confronti delle scritture sacre.
Dall’exemplum morale alla novella profana
Il fatto saliente della narrativa duecentesca italiana è la nascita della novella, che avrà una
gloriosa storia plurisecolare. Essa nasce dall’exemplum cristiano, che aveva come obiettivo
quello di narrare per insegnare, ma ha un obiettivo del tutto nuovo: quello di intrattenere.
L’opera più importante e complessa, prima del Decameron, è certamente Il Novellino: si
tratta di un “repertorio di materiali narrativi” scritto da un anonimo, in cui si trovano casi di
exemplum morale e profano, motti arguti, beffe e così via.
Giovanni Boccaccio –
Giovanni Boccaccio ebbe come ideali maestri Dante e Petrarca il primo per il genio della
lingua volgare e lo sperimentalismo letterario, l’altro per l’eleganza classica e gli ideali
umanistici. Egli fu fin da giovane avviato all’attività mercantile prima a Firenze, poi a Napoli,
e dal mondo della mercatura prenderà spunto per molti canti del Decameron. Dopo una
serie di viaggi lo ritroviamo a Firenze nel 1348, anno della peste, anch’essa tema
decameroniano. L’incontro con Petrarca segna per lui un periodo di grande studio,
inframmezzato da vari incarichi pubblici, fino alla morte nel 1375.
Il suo pubblico più amato furono fin dalla giovinezza le donne.
Il Decameron
Gèrard Genette affermò che ogni parte costitutiva di un libro fa parte di esso. Egli le definisce
“soglie”: sono ecc. La soglia d’accesso del Decameron
titolo, dedica, prefazione, note, testo
sono le prime parole scritte da Boccaccio, che sono il suo vero titolo: “Comincia il libro
chiamato Decameron, cognominato Prencipe Galeotto, nel quale si contengono cento
da sette donne e da tre giovani uomini”. Il titolo corretto sarebbe
novelle in dieci dì dette
dovuto essere Deca-emeron; Boccaccio però non padroneggiava il greco, perciò commise
un errore dovuto ad una forma errata usata al suo tempo: un’opera a cui si rifà il titolo è
l’Exameron, in cui venivano descritte le sei giornate in cui il dio cristiano avrebbe
infatti
creato il mondo. Galeotto è la resa in volgare fiorentino del nome del cavaliere che si
impadronì del Santo Graal e fu da tramite dell’innamoramento di Lancillotto e Ginevra.
Boccaccio sottotitola il libro “Principe Galeotto” perché nel Decameron si parla d’amore. La
simbologia dei numeri nel Decameron non rimanda al divino, ma alla perfezione: il 10, il 100
rimandano ad essa. La seconda soglia del testo è il proemio; «Umana cosa è aver
è così che Boccaccio lo apre, ribadendo l’“umanità” della propria
compassione degli afflitti»:
opera fin dalla prima parola, in opposizione quasi alla Divina Commedia, eliminando perciò
ogni traccia di visione trascendentale.
«E chi negherà questo, quantunque egli si sia, non molto più alle vaghe donne che agli
uomini convenirsi donare? Esse dentro à dilicati petti, temendo e vergognando, tengono
l’amorose fiamme nascose, le quali quanto più di forza abbian che le palesi coloro il sanno
l’hanno provate: e oltre a ciò, ristrette dà voleri, dà piaceri, dà comandamenti de’ padri,
che
delle madri, de’ fratelli e de’ mariti, il più del tempo nel piccolo circuito delle loro camere
racchiuse dimorano e quasi oziose sedendosi, volendo e non volendo in una medesima ora,
seco rivolgendo diversi pensieri, li quali non è possibile che sempre sieno allegri. […] Essi,
se alcuna malinconia o gravezza di pensieri gli affligge, hanno molti modi da alleggiare o da
non manca l’andare a torno, udire e veder
passar quello, per ciò che a loro, volendo essi,
molte cose, uccellare, cacciare, pescare, cavalcare, giucare o mercatare: de’ quali modi
ciascuno ha forza di trarre, o in tutto o in parte, l’animo a sé e dal noioso pensiero rimuoverlo
almeno per alcuno spazio di tempo, appresso il quale, con un modo o con altro, o
consolazione sopraviene o diventa la noia minore.»
Si tratta della descrizione di una particolare condizione sociale, quella della donna
benestante, che non ha nulla da fare, ozia e resta chiusa in casa. La donna descritta da
Boccaccio è una donna pensante, una donna che riflette sulla propria condizione, in modo
– –
positivo ma anche e soprattutto negativo. La donna che soffre per amore non può quindi
distrarsi dalla propria malinconia come fanno gli uomini, che han tanto da fare e non hanno
tempo per riflettere in modo tanto profondo e doloroso. Il livello sociale di cui l’autore tratta
è quello della nobiltà e della borghesia mercantile trecentesche.
acciò che in parte per me s’ammendi il peccato della fortuna, la quale dove meno
«Adunque,
era di forza, sì come noi nelle dilicate donne veggiamo, quivi più avara fu di sostegno, in
soccorso e rifugio di quelle che amano, per ciò che all’altre è assai l’ago e ‘l fuso e l’arcolaio,
intendo di raccontare cento novelle, o favole o parabole o istorie che dire le vogliamo,
raccontate in diece giorni da una onesta brigata di sette donne e di tre giovani nel
pistelenzioso, tempo della passata mortalità fatta, e alcune canzonette delle predette donne
cantate al lor diletto».
Il libro è perciò dedicato alle donne: in particolare alle donne lettrici del Medioevo, col
pretesto della sofferenza d’amore. Questa descrizione sociopsicologica delle donne è
fondamentale in quanto ci permette di conoscere inoltre il relativamente alto livello di
alfabetizzazione femminile del tempo. Le donne non sono più mere ascoltatrici di racconti e
storielle: adesso sono le lettrici ideali, “modello”.
casi d’amore e altri fortunati avvenimenti si vederanno
«Nelle quali novelle piacevoli e aspri
così né moderni tempi avvenuti come negli antichi; delle quali le già dette donne, che queste
leggeranno, parimente diletto delle sollazzevoli cose in quelle mostrate e utile consiglio
potranno pigliare, in quanto potranno cognoscere quello che sia da fuggire e che sia
similmente da seguitare: le quali cose senza passamento di noia non credo che possano
intervenire. Il che se avviene, che voglia Idio che così sia; a Amore ne rendano grazie, il
liberandomi dà suoi legami m’ha conceduto il potere attendere à lor piaceri».
quale
L’introduzione alla prima giornata è più lunga rispetto alle restanti nove in quanto deve
introdurre tutta la storia che ci si accinge a leggere. I narratori sono i dieci giovani, che nella
parte iniziale dell’introduzione sono personaggi di una narrazione. Questi si incontrano alla
chiesa di Santa Maria Novella a Firenze, dove decidono di andarsene dalla città invasa dalla
peste; così partono per la contea, dove passano le giornate a raccontare storie: sono le
–
cento novelle, dieci al giorno, una per ogni personaggio i protagonisti si alterneranno nella
narrazione. Nell’opera quindi ci sono diversi livelli di narrazione: anzitutto la narrazione
dell’autore, poi i dieci giovani – –
che raccontano le storie, poi in alcuni casi i personaggi
delle storie che raccontano a loro volta altre storie.
Per Boccaccio la parola “novella” è un iperonimo, cioè racchiude a sua volta i concetti di
favole, storie, parabole, eccetera. Altri esempi di narrazione che hanno influenzato la
scrittura dell’opera sono gli –
exempla (La leggenda aurea) micronarrazioni rivolte ad un
– –
pubblico di fedeli atte ad esprimere un precetto morale cristiano i fabliaux narrazioni
brevi di origine francese,