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Il Novecento

Il linguaggio letterario nella prima metà del secolo

Gli autori vissuti a cavallo tra i due secoli, come D'Annunzio e Pascoli, testimoniano nelle loro opere la trasformazione in atto. La lingua italiana, e anche quella letteraria, si presenta con delle novità. Probabilmente Carducci è l'ultimo scrittore che incarna in maniera perfetta il ruolo tradizionale del vate. Anche la poesia di D'Annunzio non rinuncia alla nobilitazione tramite la selezione lessicale, ma pur aderendo alla tradizione, sperimenta una miriade di forme diverse, dissemina arcaismi, tecnicismi e preziosismi. Gli si devono alcuni neologismi come aeroplano e Rinascente. Si adattò anche alle esigenze del proprio tempo, adattandosi alla pubblicità commerciale e collaborando con la cinematografia del muto.

Una prima rottura con il linguaggio poetico tradizionale si ha con Pascoli, i crepuscolari e le avanguardie. Benché Pascoli utilizzasse parole

Colte e latinismi, con lui cade la distinzione tra parole poetiche e parole non poetiche. Si possono utilizzare parole sublimi, arcaiche, attuali, quotidiane, fino a includere dialettismi, regionalismi e persino un po' di italoamericano. La poesia crepuscolare inoltre accentuò il rovescio del tono sublime. Quanto all'avanguardia, in Italia essa si identifica con il Futurismo: innovazioni tra le più vistose furono l'uso di parole miste ad immagini, i caratteri tipografici di dimensioni diverse per rendere l'intensità, l'abolizione della punteggiatura e il largo uso dell'onomatopea. Le punte più innovative si hanno con D'Annunzio, dove la sua prosa si caratterizza per il periodare breve o brevissimo, la sintassi nominale e i frequenti a capo. D'Annunzio quindi chiude il ciclo storico e al tempo stesso inaugura nuove tendenze. Un interessante riflesso del "parlato" si ha nella prosa di Pirandello,

con la presenza di interazioni frequentissime (ah sì, eh via, ah no no!) e connettivi (è vero, si sa, figurarsi!). Si può dire che lo stile di Pirandello sia l'esatto opposto di quello di D'Annunzio. L'altro grande scrittore del Novecento è Svevo, famoso perché la sua scrittura venne definita "scrivere male", data anche dalla sua provenienza da un'area periferica come Trieste. La mancata adesione ai modelli del bello scrivere poteva persino essere una forza perché favorì una "diversità" e leggibilità. Uno dei punti di riferimento per gli scrittori, dopo che Verga aveva mostrato la via per una scrittura che si avvicinasse al mondo popolare e lo descrivesse, è il dialetto. Tozzi introduce senesismi nei suoi romanzi, mentre Gadda affolla più elementi (non solo dialetti lombardo, ma fiorentino, romanesco e molisano). L'oratoria e la prosa

D'azione

L'oratoria del Novecento richiama il tema dei discorsi rivolti alle masse da Mussolini. Benché questi discorsi furono fattirimbalzare in Italia dalle radio e fossero filmati, gran parte del loro fascino stava nel rapporto diretto con la folla. Nella lingua del fascismo e di Mussolini sono stati individuati i seguenti caratteri: abbondanza di metafore religiose (mar-tire, asceta), militari (falangi), equestri (redini del proprio destino), oltre a tecnicismi. L'oratoria mussoliniana rivolta al popolo si distingue per un particolare tipo di dialogo con la folla, la quale risponde con l'ovazione collettiva (lunghi silenzi dell'oratore, tra una frase e l'altra, colmati dalle grida di approvazioni dei fedeli).

La politica linguistica del Fascismo

Il Fascismo ebbe una chiara politica linguistica: gli aspetti più notevoli sono la battaglia contro i forestierismi, la repressione delle minoranze etniche (fatto più grave, si

Costringeva chi aveva un cognome forestiero, slavo o tedesco, a italianizzarlo) e la polemica dialettale. Quanto alla lotta contro i forestierismi, nel 1930 si ordinò di sopprimere le scene dei film parlate in lingua straniera o nel 1940 si vietò l’uso di parole straniere nell’intestazione delle ditte, nelle attività professionali e nelle varie pubblicità. Bruno Migliorini elaborò una concezione moderata avversa ai forestierismi, definita neopurismo, ma che si distingue per un atteggiamento più morbido rispetto al Fascismo e per il rifiuto di mescolare la questione della lingua con la questione della razza. Sempre contro il forestierismo, furono inoltre pubblicati vari elenchi di parole con l’indicazione di vari sostituti. Ma già allora alcuni termini avevano messo radici (sport, film, tennis, camion, tram...). Durante il fascismo ci fu anche una campagna per abolire l’allocutivo Lei e sostituirlo con il tu e con il voi.

La campagna non ebbe successo: innanzitutto il Lei era ormai radicato nella lingua italiana, e il voi era sen-tito come dialettale e quindi evitato.All’inizio del Novecento, la Crusca tentava ancora di concludere una sua nuova versione del vocabolario: la moledell’opera era notevole, ma la realizzazione si trascinò. L’antico vocabolario non aveva la funzione di un tempo. Nel1923, quando Giovanni Gentile divenne Ministro della Pubblica Istruzione, fu tolto dalla Crusca il compito di preparareil vocabolario. Tuttavia, il nuovo e moderno vocabolario del fascismo, realizzato dall’Accademia d’Italia, non ebbe esitofelice, poiché Giulio Bertoni arrivò solo al primo volume. Il vocabolario procedette all’eliminazione di molte voci antiche.Di fatto però, i forestierismi erano registrati. Un aspetto tra i più interessanti e innovativi del nuovo vocabolario è co-stituita dagli esempi, che rappresentano una sorta di

Compromesso tra forma tradizionale della Crusca e del Tommaseo. Nel vocabolario sono citati gli scrittori senza far riferimento all'opera da cui è tratto l'esempio; inoltre viene dato spazio agli autori novecenteschi (D'Annunzio, Graf, Tozzi, Pirandello, Deledda...). Un certo rilievo ebbe un'iniziativa legata al nome di Giulio Bertoni: la realizzazione di un piccolo vocabolario destinato a fornire la pronuncia esatta delle parole italiane, Il prontuario di pronunzia e di ortografia, nel quale si affrontava la questione della pronuncia romana dove essa divergeva da quella fiorentina. L'introduzione del vocabolario lanciava l'asse Roma-Firenze (analogo all'asse Roma-Berlino), rivendicando il ruolo di Roma nella questione della lingua.

Dal neoitaliano di Pasolini alla lingua standard. Nella questione della lingua si deve un clamoroso intervento da parte dello scrittore Pasolini. Egli si discostava dalla tradizione delle antiche diatribe.

Attorno alle questioni della lingua; infatti sosteneva che era nato un nuovo italiano, icui centri stano al Nord del paese, dove avevano sede le grandi fabbriche, cioè dove era diffusa e sviluppata la mo-derna cultura industriale. Alcune delle caratteristiche che sarebbero state proprie del nuovo italiano furono:

  • La semplificazione sintattica: con la caduta di forme idiomatiche e metaforiche non usate dai milanesi e tori-o nesi, i veri padroni della nuova lingua.
  • La drastica diminuzione dei latinismi.
  • La prevalenza dell'influenza tecnica rispetto a quella della letteratura.

Diversi anni dopo Pasolini intervenne ancora per rivendicare una funzione rivoluzionaria dei dialetti e per lamentarel'imbarbarimento del linguaggio dei giovani. Parlava anche a lungo di sé stesso e degli altri autori del Novecento e uti-lizzava come sistema di riferimento il rapporto con la lingua media, considerata come termine di confronto negativo,mediocrità espressiva e anti-stile.

Va tenuto presente che per molti autori del Novecento il dialetto è stato una fonte di arricchimento linguistico. Per quanto riguarda il rinnovamento poetico possiamo citare autori come Ungaretti, Saba e Montale, i quali sperimentano una grande varietà di soluzioni stilistiche e l'apertura del linguaggio comune e quotidiano. Soprattutto Montale in Satura (1971) presenta una lingua spesso ironica, distaccata, intrisa di citazioni di elementi quotidiani, tuttavia sempre con eleganza e letterarietà. Verso l'unificazione: mass media, dialetti e immigrazione Era indubbiamente troppo annunciare la nascita di un nuovo italiano tecnologico come faceva Pasolini, ma avvenimenti di grande portata erano effettivamente avvenuti. Vi era stata nel corso del Novecento una perdita dei dialetti e via via la percentuale di analfabeti si era abbassata. L'uso del dialetto risulta maggiore presso i vecchi che presso i giovani, nel sud piuttosto che a nord, nelle campagne.

Rispetto ai capoluoghi e nei ceti inferiori rispetto a quelli superiori. Si aggiunga che i dialetti hanno subìto un processo di avvicinamento alla lingua comune; sono quindi più italianizzati.

Negli anni Sessanta-Settanta, anche la fabbrica ha svolto funzione di scuola, promuovendo e integrando nella realtà cittadina e industriale masse di origine contadina. La radio italiana nacque nel 1924; la televisione ha cominciato a trasmettere in maniera regolare nel gennaio del 1954.

De Mauro ha messo in evidenza l'unificazione linguistica del paese legata alla Rai, anche se a partire dalla fine del secolo le emittenti si sono moltiplicate con la nascita delle tv private. Diamo per scontato che i media sono diffusori di tecnicismi, esotismi, neologismi, e un buon numero di luoghi comuni verbali della cronaca e della politica.

Il linguaggio dei giornali ha continuato anche a svolgere un'importante funzione, ad esempio con lo sviluppo dei sottocodici (politico, burocratico,

tecnico-scientifico, economico-finanziario). La maggiore originalità sta nel titolo poiché deve essere costruito in modo da colpire il lettore; vi domina quindi la frase nominale. Anche il linguaggio della pubblicità favorisce la diffusione di forestierismi e termini tecnici. Lo slogan deve colpire, deve suggestionare e convincere: ecco perché la lingua della pubblicità tende a utilizzare un marcato uso dei superlativi, sia con la desinenza –issimo (occasionissima) sia mediante prefissi extra-, iper-, maxi-, super- come maxisconto e ipermercato.

L’italiano dell’uso medio e la lingua selvaggia

L’italiano dell’uso medio è il nome di una categoria definita da Francesco Sabatini sulla base di una serie di fenomeni grammaticali, ricorrenti nell’italiano di oggi, comunemente parlato a livello non formale. La differenza rispetto all’italiano standard sta nel fatto che questo italiano, in sostanza comune e colloquiale,

Accoglierebbe fenomeni del parlato, presenti magari da tempo nello scritto, ma generalmente tenuti a freno dalla norma grammaticale. Questi sono alcuni tratti caratteristici:

  • Lui, lei, loro usati come soggetto.
  • Gli generalizzato anche con il valore di le e loro.
  • Diffusione delle forme ‘
Dettagli
Publisher
A.A. 2016-2017
9 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/11 Letteratura italiana contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher mlaulm di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura Italiana contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Libera Università di Lingue e Comunicazione (IULM) o del prof Zangrandi Silvia.