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SAGGIO GUIDOTTI
saggio dovrebbe essere di molto precedente. Sechi (=critico) crede di poter ovviare alla
questione spiegando che il modus operandi di Svevo stia tutto nel continuo
ripescaggio di certe tematiche, anche a distanza di tempo (tanto che non si preoccupa
di collocare la novella cronologicamente).
NB: episodio di Caldèron:
- nel saggio l’episodio viene seguito da un’interrogazione al lettore che induce a
credere che Caldèron abbia agito così perché spinto da qualcosa che macchiava la sua
coscienza;
- nella novella l’assunto muta intonazione: il protagonista si rivolge alla moglie per
persuaderla di come sia necessaria una preparazione stoica (=rassegnazione) alla
morte anche per il religioso. E’ come se ci sia qui una sorta di giudizio sul
comportamento di Caldéron: ha paura di morire e vorrebbe allontanare la morte.
c) La Guidotti parte proprio da questo riferimento per la sua proposta di datazione
e dalla constatazione che Svevo tende a scrivere di questioni e avvenimenti
cronologicamente vicini alla composizione di un’opera.
Innanzitutto prende posizione: sebbene ottimismo e pessimismo facciano parte di un
dibattito tardo-ottocentesco che si esaurisce ai primi del ‘900 quel saggio non intende
parlarne in quel senso lì, ma piuttosto in quanto termini antitetici di un possibile
confronto con la morte. Svevo inoltre in entrambi i testi farebbe riferimento a
Metchinikoff:
- nel saggio lo include nella categoria dei realisti (e dice di averlo letto “tempo fa” =>
il libro esce nel 1903);
- nel racconto ne esemplifica il pensiero (=paura della morte è costante in ogni essere
umano) attraverso Roberto.
Prende inoltre di nuovo posizione contro chi crede che il testo appartenga al periodo
di senilità di Svevo: in quel periodo è vero che vengono trattati personaggi vecchi ma
vi sono due temi che qui non compaiono: il sesso e il tentativo di ringiovanimento.
Quindi non è detto che appartenga a quella fase lì.
Altro elemento da considerare riguardo Metchinikoff, che può aiutarci nella datazione
=> posto che il racconto deve essere portato almeno dopo il 1915 (=data in cui viene
inventata la macchina da scrivere a caratteri piccoli), proprio nel 1916 si discute molto
della morte di M (avvenuta alla fine del 1915). Egli, infatti, affrontò la morte in
maniera stoica. Roberto invece affronta la morte in maniera diametralmente opposta,
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SAGGIO GUIDOTTI
in un modo che sfiora il grottesco. Il racconto potrebbe quindi collocarsi intorno alle
riflessioni sulla morte dello scienziato.
C’è però un ultimo elemento da considerare: nel 1920 esce una biografia dello
scienziato, a cura della moglie, che parla proprio del suo modo di affrontare la morte.
Una copia di questo testo si trova in una biblioteca di Trieste. E’ a questa altezza
quindi che bisogna collocare la novella. Sarebbe stato questo libro a portare Svevo a
recuperare le tesi che aveva già affrontate nel saggio (=che avrebbe abbandonato,
forse, perché aveva esaurito l’impianto del suo discorso teorico e si stava avvicinando a
tematiche, come quella del ringiovanimento, che non avevano molto a che fare col
tema principale del saggio stesso).
I due personaggi del racconto sono due anziani, abitudinari, con tesi diverse. Nessuno
dei due riesce a convincere l’altro, forse anche perché Svevo vuole fino all’ultimo mostrare
due prospettive diverse sulla morte: quella di chi la affronta e quella di chi la vede da fuori e
sopravvive. Il tipo di scrittura sembra quasi naturalista (perché il narratore alterna la propria
voce a quella dei personaggi), tuttavia lo sguardo di chi narra è sempre deformante: sebbene
sia indulgente verso questo personaggio (=che infatti è a tratti autobiografico), va alla ricerca
di ciò che è nascosto nel personaggio, oltre la maschera del contegno sociale. Il tema della
maschera è molto forte, ma è comunque diverso da quello pirandelliano: quest’ultimo parla
per lo più di una maschera subita; Svevo riflette invece sulle dissonanze, sul contrasto tra
corpo e volontà (ex: corpo rivela i sentimenti). Il malato “bene educato” alla morte infatti alla
fine si scontra con il peso della realtà => quasi come se il caso ne irridesse questa ossessiva
preparazione, evidentemente inutile. Il paradosso del racconto sta nel fatto che alla fine la
moglie si convince che Roberto si sia convertito => questa conversione rimane l’ultima
memoria dell’altro. Una volta esaurito questo tema, Svevo termina il racconto.
Proditoriamente
b)
Incompiuto solo perché manca il punto fermo. Svevo è ormai arrivato fino in fondo al
tema che voleva esempificare, soprattutto se consideriamo la riflessione finale di Maier. Il
sembra infatti spiegarsi proprio facendo riferimento a questa frase: il caso ha operato a
titolo
tradimento sul protagonista che non può più ottenere nulla dall’amico, ma l’amico è
anch’esso capito a tradimento dalla morte improvvisa (=e vanifica così quanto è accaduto a
Maier). 5
SAGGIO GUIDOTTI
La buonissima madre
c)
Amelia si dimostra fin da subito una buonissima madre decidendo di sposare un uomo
che è portatore di un difetto fisico nonostante conosca la teoria dell’ereditarietà. Il narratore
della storia interviene con commenti che lasciano emergere punte di crudele distacco più che
di partecipazione. E’ come se ci fosse una sorta di sadismo descrittivo, soprattutto quando
compare Achille (=che appartiene a una tipologia di personaggi, quella dei bambini, che è
molto cara a Svevo, tanto da ritrovarsi anche nel teatro con le stesse caratteristiche) ma anche
verso Amelia (=è una buona madre al di là di qualsiasi buon senso). Alla morte di Achille
inizia quella che potremmo definire la seconda parte del racconto: Amelia recupera le sue
convinzioni darwiniane per riuscire ad essere davvero una buonissima madre (=avendo figli
sani): tradimento. Questo interesse è confermato anche dalla fine del racconto: il fatto che i
due bambini vengano chiamati “animali” non è un caso => termine che appartiene alla
teoria darwiniana. C’è chi crede (=Clotilde Bertoni) che questa spinta verso la teoria
darwiniana derivi da saggi dello stesso periodo, ma probabilmente questo racconto è più un
vago rimando che un collegamento a essi.
Il racconto corrisponde alla tipologia delineata in partenza => racconto paradossale che, una
volta esaurita la spinta esemplificatrice, condotta in chiave grottesca, termina (solo
apparentemente) incompiuto.
Il forse allude a una commedia molto famosa in quel periodo => La moglie
titolo
ideale di Marco Praga. Si tratta di un testo che si svolge secondo lo stesso andamento
grottesco: questa donna tradirà il marito per essere una moglie migliore. Svevo assistette alla
rappresentazione di questa commedia, nel 1903. La data potrebbe essere quindi considerata
termine post-quem per la del testo. La differenza tra i due testi sta nel cambio dei
datazione
personaggi, che corrisponde anche a un diverso obiettivo da colpire: mentre Praga vuole
colpire la famiglia borghese, solo apparentemente esemplare, Svevo vuole colpire la teoria
dell’ereditarietà.
4. Il malocchio
Il testo venne pubblicato da Umbro Apollonio, a cui si deve il titolo. In molti sostengono
che si tratti di un racconto mutilo, ma non è così (secondo la Guidotti).
Datazione => difficile. Clotilde Bertoni individua una serie di elementi-guida:
a) 1901 => data di fondazione del Premio Nobel, citato dal protagonista come
istituzione ormai consolidata (“non capitò giammai”) 6
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b) dirigibili, costruiti e sperimentati in Italia dopo il 1905=> dalla Prima guerra
Mondiale in poi la loro importanza va diminuendo
c) lingua piena zeppa di arcaismi e scorrettezze ortografiche => tipica di una fase
intermedia di Svevo.
Quindi => datazione non va oltre il primo decennio del ‘900. Il racconto è visto dalla
Bertoni come un racconto di matrice fantastica: il clima del meraviglioso ottocentesco aveva
infatti portato, durante il primo novecento, a approfondire le sue tematiche e a intersecarle
alla scienza. E’ un filone a cui partecipa anche Svevo => Lo specifico del dott. Menghi. La
formula adottata è ottocentesca: diario in prima persona, offerto ai lettori da un personaggio
mediatore. La narrazione è condotta però in maniera comica, rovesciando così i modelli di
riferimento. Anche ne Il malocchio c’è questa commistione tra comico e tragico. Tuttavia qui
a dominare è la terza persona.
Modelli:
- La Bertoni cita “La patente” di Pirandello => la Guidotti non crede che il
parallelismo sia giusto, dato che il fine e lo stile sono di altra matrice. Pirandello si interessa
dello sguardo degli altri, Svevo invece guarda alla reazione soggettiva all’evento.
- Jettatura, Gautier => il registro che domina è il tragico
- I fatali, Tarchetti (racconto) => riprende Gautier. Si tratta di una racconto che
rimanda a Hoffmann. Questi è ispiratore anche di Svevo. In questo racconto si parla da una
parte del progresso scientifico (che arriva a chiarire ciò che ci sembra assurdo) e dall’altra
della tacita coscienza che le persone possano esercitare una certa influenza su di noi
(=questa coscienza ha creato la jettatura). Da questo punto di partenza si sviluppa l’idea che
ci siano degli individui che sono capaci di esercitare un qualche potere negativo (gli iettatori,
appunto): questi vengono guardati con sospetto e stigmatizzati. Ovviamente i presunti
iettatori ne soffrono.
Questi ultimi due modelli sono sicuramente ripresi da Svevo, ma in senso antitetico. Il
protagonista non soffre, anzi arriva a compiacersi del suo potere iettatorio. Paradossalmente,
però, più colpisce e più gli altri lo considerano buono => nessuno crede che sia uno iettatore.
Anzi: il narratore insinua costantemente dubbi sul fatto che ciò che accade sia davvero di
responsabilità dello iettatore.
Questa irrisione parte già dalla scelta onomastica: Albagi allude all’arroganza del
protagonista, che deriva da un’autostima assolutamente ingiustificata. 7
SAGGIO GUIDOTTI
Il potere iettatore di Albagi deriva dal suo occhio, che gode di un’autonomia particolare
=> lui non controlla il suo potere. Questo tratto sembra essere un richiamo implicito a certe
novelle degli Scapigliati in cui si parla di parti del corpo totalmente autonome sulla scorta
della moderna invenzione dell’anestesia locale.
Questa autonomia nel racconto svenivano viene spiegata come un’influenza di un io
diviso. Tuttavia