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WAITING FOR GODOT
Scritto nell’ombra della 2 guerra mondiale, l’opera sembra rappresentare un mondo mutilato dal barbarismo, dalla
distruzione di massa e dal genocidio.
Tuttavia le opere di Beckett rigettano sempre una spiegazione singolare, tanto che la risposta dell’autore a chi fosse
Godot è stata sempre “se lo avessi saputo lo avrei detto nell’opera”.
Non è strano rilevare un elemento religioso nell’opera, a partire dal nome di Godot, i problemi di tempo, desideri,
abitudini.
Tuttavia non è riducibile ad una corrispondenza allegorica, infatti lo stesso Beckett lo ha descritto come “striving al the
time to avoid definitio”.
Oltre alla dimensione teologica vi sono anche quella filosofica e psicologica del non arrivo di Godot: può essere visto
come lo sforzo, le speranze e la tendenza di ognuno di noi di realizzazione.
Secondo la filosofia pessimista che appare nei primi saggi di Beckett, l’esser è frammentato e disteso nel tempo e può
essere meglio compreso come una serie esseri: quando un obiettivo è raggiunto, il desiderio si sposta verso un altro,
fino a quello che non possiamo raggiungere (come l’attesa di Godot).
Ci sono almeno 3 caratteristiche che compensano il pessimismo dell’opera:
il sentimento di bontà tra Estragon e Vladimir
l’opera è estremamente divertente (come ricorda Nell in Endgame: “nothing is funnier than unhappiness”.
scrittura e struttura teatrale sono ben strutturate.
Si tratta chiaramente di un’opera innovatrice e sperimentale, rimossa dalle convenzioni del dramma naturalista: la
nozione di trama qui è quasi rotta.
L’opera è teatro che dichiara continuamente il suo artificio teatrale:
abbiamo molte performances sotto forma di monologo
l’idea che il dialogo tra Vladimir e Estragon sia una specie di gioco
qualità performative nell’atto II quando per passare il tempo la coppia gioca ad essere Pozzo e Lucky (elemento meta
teatrale).
Si può dire che la ripetizione nell’opera, la sensazione che le attività siano parti di un ciclo continuo, riproduce la
ripetizione dell’opera, ossia il fatto che l’opera avvenga notte dopo notte (V: “habit is a great deadener”).
Ci sono altre tecniche meta teatrali nell’opera, ed abbiamo molte attività che prendono in prestito il linguaggio teatrale
(ad esempio V che va via dal palco per una telefonata e i due attori fingono fi esserne spettatori=
Durante l’opera i personaggi fanno commenti, usano dispregiavi su come i loro scambi stanno avvenendo (“this is
becoming reay insignificant”).
Vi sono anche scampi autoriflessivi (34-5: “charming evening we’re having..”), un commento su quello che stanno
facendo ma allo stesso tempo un giudizio su tali scambi, operando una parodia di una conversazione che potrebbe
avvenire nel bar del teatro durante l’intervallo.
L’opera dunque mostra gli aspetti performativi, teatrali ripetitivi di quella che chiamiamo realtà.
Il principio Beckettiano è che non dobbiamo fidarci del linguaggio espressivo, accompagnato da un’insoddisfazione
verso il linguaggio e il desiderio di trovare l’espressività negli spazi tra le parole.
Nonostante l’opera riconosca momenti di generosità e bontà tra i due personaggi, sottolinea anche la brutalità e il
dominio che spesso caratterizzano le relazioni umani (è evidente ciò in particolare tra Pozzo e Lucky).
Si tratta di un’opera che fin dall’inizio cerca le prove del “perché” soffrire, cerca di drammatizzare la condizione di non
sapere la risposta a tale domanda.
Ci sono importati differenze tra la nozione di nascita come peccato in “Proust” e in “WFG”: nel secondo l’affermazione
che il peccato originale debba essere espiato è divenuto un gioco.
Dalle prime ricezioni critiche molti commentatori hanno affermato che l’opera avesse qualcosa sul significato di essere
umano, dunque che non riguardare solo persone in particolare e in un particolare momento della storia, ma anche la
condizione umana. Vi sono diversi riferimenti a ciò: “to all mankind they were addressed..” “he’s all humanity” e infine
l’associazione con Abele e Caino.
Come disse lui stesso, “la parola chiave nelle mie opere è –forse-“.
ENDGAME
L’ambiente desolato ricorda una scena post-apocalittica. La ragione per la quale il mondo si trovi in questo stato non è
menzionata.
Come scrive Adorno “capire Endgame significa capire che non può essere capito”: più che affermare solo una
mancanza di significato, l’opera dimostra ciò.
Beckett stesso rifiutò di dare spiegazioni di Endgame, insistendo sull’estrema semplicità della situazione drammatica e
del problema.
Qui è difficile trovare la bontà che vi era tra i due personaggi in WFG, ma la relazione doppia è tra Nagg e Nell, che si
parlano teneramente (Nagg le tiene un pezzo del biscotto, mentre lei ricorda i tempi sul lago di Como). Nagg potrebbe
essere un vecchio Estragon mentre Nell, più pessimista, come Vladimir (“Why this farce, day after day?”).
La relazione tra Hamm e Clov invece sembra comparabile a quella tra Pozzo e Lucky.
Nonostante l’antagonismo tra Hamm e Clov, hanno una cosa in comune: soffrono entrambi.
Come in WFG c’è un’ambivalenza/conflitto tra “time” come fonte di decadimento e come fonte di ripetizione e
intrappolamento. Quest’ambivalente rappresentazione del tempo si affianca al comportamento ambivalente alla perdita
e alla fine: ci viene detto che non ci sono più biciclette, non più lampade ad olio, antidolorifici.
Più che in WFG i personaggi sono consapevoli di ciò che hanno già perso: devastazione e decadimento sembra un
inasprimento della loro sofferenza, rimpiangono il passato quando il mondo offriva possibilità ed esperienza (Nell “ah
yesterday”).
Anche in Beckett la memoria volontaria è deformata, derivata più dai bisogni di adesso che dalle vere esperienze del
passato.
Insieme alla nostalgia per il mondo perduto, c’è la soddisfazione che tutto sta crollando e arrivando ad una fine (“there
are so many terrible things””no.no. there are not so many now”). Perdere cose causa dolore (come il decadimento fisico
che Hamm precide per Clov), ma allo stesso tempo impoverimento e atrofia sono benvenuti poiché la fine è vista come
sollievo. Il mondo è cosi terribile che la sua fine sarebbe benvenuta.
Allusioni metateatrali: quando Clov minaccia di andarsene e Hamm gli ricorda del “dialogo”, Hamm che rimprovera
Clov per aver risposto al suo “aside” , parodia del linguaggio teatrale gonfiato.
L'altezza a cui aspira Hamm rende la tradizione letteraria sbiadita e derivata. Ciò potrebbe spiegare alcune allusioni
intertestuali nell’opera, in particolare a Shakespeare. "Il mio regno per un nottambulo!" allude chiaramente alla famosa
richiesta di Riccardo III di Shakespeare, "il mio regno per un cavallo". Il violento rimprovero di Clov ad Hamm, "Uso
le parole che mi hai insegnato. Se non significano più niente, insegnami gli altri. O lasciami tacere "(32), riecheggia
quello di Calibano a Prospero in La tempesta di Shakespeare.
"I nostri divertimenti ora sono finiti" di Hamm cita direttamente Prospero. Data l'incapacità di Hamm di raggiungere
l'eloquenza e il rifiuto generale della chiarezza tematica e della profondità filosofica nel dramma, le allusioni a
Shakespeare evidenziano semplicemente un'assenza. Quando Re Lear viene spogliato ed esposto durante la tempesta
sulla brughiera, in un momento di estremità elementare e inesorabile a volte considerato quasi-beckettiano, può almeno
controbattere contro la provvidenza con espressività e intuizione. Non esiste una struttura del genere in Endgame,
quindi le citazioni shakespeariane che fluttuano in questo testo sono come il relitto di una tradizione letteraria devastata.
Evidenziano un'altra perdita.
Prospero in The Tempest è in grado di controllare gli eventi sulla sua isola, fino alla perdita dei suoi poteri magici alla
fine del gioco. In Endgame il potere dell'agire umano, lungi dall'essere magico, è severamente circoscritto e prevale un
senso generale di intrappolamento.
Questo è mostrato ad esempio nelle disabilità fisiche dei 4 personaggi, ma anche dal senso di determinismo che pervade
l’opera.
L’agire umano sottostà ad uno schema deterministico: Beckett riconobbe la presenza di struttura che controllano il
comportamento umano e limitano la nostra libertà.
I personaggi dunque non sono intrappolati solo in qualcosa di spaziale ma anche di temporale: ritornello comune è
“something is taking its course”.
Per quando riguarda la natura, Hamm ama sognare riguardo essa, desidera un’alternativa pastorale al grigiore della vita
che conduce e a volte l’evocazione della bellezza naturale è vivida. La sua è l’idea romantica nella quale la natura è una
“madre”, in quanto garantisce autenticità e comodità.
Il sollievo pastorale della natura è scomparso, ma la non lo è la cieca distruzione del cambiamento naturale.
I tentativi di Clov di far germogliare i semi finiscono in un fallimento: emblema, forse, dell'intelligenza del controllo
umano sul mondo naturale. La natura è casuale e cieca, una fonte di lotta costante senza uno scopo o una fine chiari, il
determinismo senza teleologia, proprio come Darwin concepiva la selezione naturale come lotta senza scopo.
Questo è il motivo per cui la prospettiva dell'evoluzione che ricomincia da capo è così irritante. In primo luogo, una
pulce o un granchio appaiono nei pantaloni di Clov. Hamm dichiara: "Ma l'umanità potrebbe ricominciare daccapo!
Prendilo per amore di Dio! '(27). Si sforza di ucciderlo con insetticida, ma si rende conto che potrebbe semplicemente
essere 'posa doggo'. Più tardi, un ratto appare in cucina, che sfugge agli eV di Clov per sterminarlo. E infine, verso la
fine, Clov vede un ragazzo attraverso il suo telescopio, "un potenziale procreatore" (50). Clov ha visto l'evoluzione
progredire dalla pulce al ratto al ragazzo. È esattamente come temeva Hamm.
KRAPPS’ LAST TAPE
Come molte altre opere di Beckett, riguarda le distruzioni del tempo, ma non solo nostalgia e Perdita, ma anche il
rimpianto.
Ciò che gli interessa non è la strada che ha seguito nella sua vita, e che lo ha portato alla presente condizione
moribonda, ma la via dalla quale si è allontanato.
La visione