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NON TUTTI I REATI HANNO UN EVENTO NATURALISTICO MA C’E’ SEMPRE UN
EVENTO GIURIDICO.
Reati omissivi
La condotta rilevante consiste nell’omettere di compiere ciò che l’ordinamento
giuridico richiede ai consociati, prevedendo una fattispecie omissiva. Il nostro
sistema penale prevede 2 categorie di reati omissivi:
1) Reati omissivi propri = reati di mera condotta che si consumano con la
sola omissione del comportamento imposto dalla legge. Gli elementi
costitutivi di un reato omissivo proprio sono 4:
Situazione tipica = situazione di fatto descritta dalla norma che fa
scattare l’obbligo
Azione omessa = il legislatore descrive sempre quale
comportamento il soggetto avrebbe dovuto tenere
Termine temporale = termine entro cui il soggetto avrebbe dovuto
tenere il comportamento. Può essere espresso in termini numerici o
tramite il ricorso ad avverbi o complementi di termine. A volte il
termine non viene indicato esplicitamente e il soggetto deve agire
immediatamente (nel 1° momento possibile)
Possibilità di agire = il giudice non dovrà condannare per omissione
di soccorso il disabile a bordo di un’autovettura che non può
scendere da solo dall’auto e non ha mezzi a disposizione per
avvisare l’autorità e chiedere aiuto
2) Reati omissivi impropri = fattispecie delle quali si risponde per non aver
impedito un evento. Art. 40 comma 2 c.p. non impedire un evento che
si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo. Si tratta di reati
di evento = reati commissivi mediante omissione.
La norma detta una clausola di equivalenza in base alla quale non impedire un
evento equivale a cagionarlo, tale clausola opera in presenza di un obbligo
giuridico, quindi non solo morale. La questione centrale rispetto ai reati
omissivi impropri riguarda l’individuazione della fonte giuridica dell’obbligo in
presenza della quale scatta la clausola di equivalenza tra non impedire e
cagionare. Per la teoria formale la fonte dell’obbligo è la legge stessa e il
contratto; invece quella funzionale o sostanziale fonda l’obbligo di
impedimento su una posizione di garanzia quando un soggetto non è in
grado di tutelare adeguatamente un proprio bene occorre individuare la figura
di un bene garante che si sostituisce a lui nella posizione del bene.
Per limitare le posizioni di garanzia penalmente rilevanti sono stati individuati 3
requisiti:
1) Il garante deve avere potere impeditivi che possono consistere in attività
di sollecitazione
2) La posizione di garanzia deve essere precostituita in quanto non può
venire in essere per il verificarsi di una situazione improvvisa di pericolo
3) La posizione di garanzia deve essere specifica cioè deve consentire di
individuare quale bene o interesse specifico il garante deve proteggere
La teoria mista invece accoglie l’impostazione funzionalista ma con il correttivo
che la posizione del garante originario debba essere individuata da una legge.
Tale teoria tende a imporsi attualmente nella giurisprudenza.
Si distinguono 2 posizioni di garanzia:
Di posizione quando il garante si sostituisce alla tutela dei beni o dei
diritti
Di controllo il garante ha il controllo di una fonte di pericolo che deve
neutralizzare
Le posizioni di garanzia possono essere:
Originarie (genitori nei confronti dei figli)
Derivate cioè trasferite dal garante originario ad un terzo soggetto
In base alla teoria mista la giurisprudenza attribuisce rilevanza anche alla
volontaria assunzione di una posizione di garanzia; in questi casi la fonte
giuridica dell’obbligo viene individuata nei contratti atipici.
Rapporto di causalità nei reati di azione
Quando la fattispecie incriminatrice prevede un evento naturalistico per
l’integrazione del reato è necessario il rapporto di causalità tra la condotta
dell’agente e l’evento stesso verificare quali sono le condizioni per cui una
condotta umana può essere considerata causa penalmente rilevante di un
evento naturalistico o quando si può imputare un evento ad una condotta
umana.
La presenza di più fattori concausali nella verificazione di ogni evento storico
può rendere difficile decidere se l’autore debba rispondere o meno della sua
azione. nessuno può essere punito per un fatto previsto per
Art. 40 comma 1 c.p.
legge come reato se l’evento dannoso o pericoloso da cui dipende l’esistenza
del reato non è una conseguenza della sua azione o omissione .
il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute
Art. 41 c.p.
anche se dipendenti dall’azione o omissione del colpevole non esclude il
rapporto di causalità tra azione o omissione e l’evento. Le cause sopravvenute
escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a
determinare l’evento.
Teorie che spiegano quando si può imputare un certo evento ad una condotta
umana:
A) Teoria condizionalista (o della condicio sine qua non): è causa
penalmente rilevante qualsiasi azione umana che costituisce un
antecedente necessario al verificarsi dell’evento. Il giudice, quindi, deve
eliminare mentalmente la condotta umana e chiedersi se l’evento si
sarebbe comunque verificato. Se la risposta è no c’è rapporto causale tra
l’azione del colpevole e l’evento, al contrario se la risposta è si la
condotta umana non è un fattore necessario al verificarsi del fatto in
quanto manca il nesso di causalità e la condotta non è penalmente
rilevante.
Correttivi alla teoria condizionalista finalizzati a dare rilievo alla differenza
tra concezione scientifica di causa e concezione penalistica dove ciò che rileva
è capire quando sia opportuno, legittimo e doveroso imputare un evento alla
condotta dell’autore.
B) Teoria della causalità umana: l’uomo ha il controllo di una serie di
circostanze in cui si inserisce la sua condotta. Tutti i fattori che rientrano
in questa sfera di controllo vanno considerati come causati dall’uomo;
quelli che sfuggono al controllo non possono essere imputati al soggetto
agente.
Quando una condotta umana costituisce un antecedente necessario al
verificarsi di un evento? A partire dalla metà degli anni ’70 si è sviluppata l’idea
che la valutazione deve essere ricondotta sotto la copertura di una legge
scientifica o di leggi statistico-probabilistiche.
Rapporto di causalità nei reati omissivi impropri
Nei reati omissivi impropri la prova del rapporto causale è complessa in quanto
si tratta di un’operazione doppiamente ipotetica:
a) Il giudice deve individuare l’azione impeditiva omessa
b) Si deve porre la domanda se quell’azione avrebbe impedito l’evento
2002 intervento delle sezioni unite della C. di Cassazione.
Un primo orientamento si accontenta di percentuali anche basse (30% di
possibilità) un delitto ad evento naturalistico si convertiva in una fattispecie
di condotta rischiosa. La giurisprudenza ha cambiato posizione, ritenendo che
la prova del rapporto causale nei reati omissivi impropri dovesse conseguire lo
stesso grado di certezza imposto per i reati d’azione (percentuale statistica
prossima al 100%) + il giudice deve dare prova certa dell’efficacia impeditiva
dell’azione omessa ma questa certezza non è quella statistico-probabilistica
quanto quella logica, coincidente con un alto grado di credibilità razionale.
Principio di offensività
Si possono punire solo i fatti che costituiscono un’offesa ad un bene meritevole
di protezione penale. Il principio di offensività ha 2 versanti:
1) Offensività in astratto si rivolge al legislatore e gli impone di prevedere
solo e sempre fattispecie incriminatrici che offendono un bene giuridico,
afferrabile, individuale e meritevole di essere protetto con il ricorso alla
pena detentiva
2) Il princ di offensività è rivolto al giudice che deve sempre interpretare la
fattispecie incriminatrice in modo da garantire che vengano puniti solo i
fatti che meritano protezione penale cioè che ledono effettivamente il
bene o l’interesse tutelato.
Art. 49 comma 2 c.p. impone la non punibilità del reato impossibile per
l’idoneità dell’azione; ma a volte questa corrispondenza tra tipicità e offesa può
mancare. Quindi in base all’art. 49 comma 2 c.p. il giudice non potrebbe punire
il fatto tipico non offensivo in quanto l’azione non ha alcuna possibilità di
offendere il bene protetto.
L’esigenza di non punire i fatti inoffensivi è stata recepita dalla nostra
giurisprudenza soprattutto a livello costituzionale.
Esempio: per la C. Cost. il princ di offensività deve guidare l’interpretazione
concreta del giudice che in materia di detenzione di esplosivi deve stabilire se
una minima quantità di esplosivo sia nella concreta fattispecie idonea ad
offendere i beni tutelati dalle normative in discussione.
La C. di Cassazione ha dato più volte conto delle necessità di interpretare le
fattispecie penali in conformità al principio di offensività.
Il cod. penale detta anche una disciplina entrata in vigore nel 2015, finalizzata
a non sanzionare i fatti nei quali l’offesa risulti modesta.
L’offesa del bene tutelato può assumere 2 diverse connotazioni:
1) Coincide von il pregiudizio del bene tutelato (es. nel delitto di omicidio la
vita della vittima viene distrutta; nella rapina il patrimonio della persona
offesa subisce un danno concreto) = reati di danno
2) Il legislatore per anticipare la tutela di determinati beni punisce la mera
esposizione a pericolo del bene protetto (es nei delitti contro l’incolumità
pubblica si punisce chi attenta alla sicurezza dei trasporti o adultera delle
sostanze alimentari prima di essere distribuite per il consumo) = reati di
pericolo è sempre presente un’offesa anche se di natura anticipata
rispetto alla verificazione di un danno
Cause di giustificazione
Le cause di giustificazione si inseriscono nella categoria delle cause di non
punibilità. Il giudice una volta accertato che un fatto integra tutti gli elementi
costitutivi di una fattispecie incriminatrice, deve compiere un altro passaggio:
accertare che la condotta non sia stata tenuta in presenza di una causa di
giustificazione = situazione che fa venire meno l’antigiuridicità. L’antigiuridicità
si affianca alla tipicità facendo sì che a determinate condizioni, un fatto tipico
venga considerato non p