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La difesa del diritto equo rappresenta un impegno per la libertà
Il diritto non è un "ordine cieco", ma è "ordine cosciente", ossia un ordine ancorato ai valori della umanità, tolleranza, coerenza e giustizia. Equità significa ricerca di equilibrio tra situazioni antagonistiche; significa, in altre parole, anteporre il valore della dignità umana a tutto il resto, perché quel valore rappresenta il punto di partenza e d'arrivo dell'indagine intorno alle connessioni tra interessi discordanti. La legge è tenuta a rispettare i diritti naturali dell'uomo e, nello stesso tempo, deve cedere di fronte agli ideali di equità allo scopo di evitare che il summum ius si trasformi in summa iniuria. I giudici devono tuttavia applicare la legge scritta senza sostituire il proprio arbitrio a quello delle assemblee parlamentari. Tanto maggiore è la discrezionalità del giudice, tanto più
grave è il rischio dell'imprevedibilità delle decisioni. Ciò non significa equiparare il giudice al "funzionario" dello Stato, il potere discrezionale va conferito e usato con circospezione e lungimiranza, ossia con la piena consapevolezza degli equilibri. Come non c'è spazio per un diritto senza società, ove regni incontrastata la legge del più forte, così non c'è diritto in una società che annichilisce l'uomo sacrificando costantemente l'individuo allo Stato. Il diritto equo esige la condizione di sottomissione della libertà personale alla libertà collettiva. L'"arte" del giusprivatista deve essere d'ausilio alla razionalizzazione di bisogni eterogenei, per garantire l'equilibrio dei poteri pubblici e privati, per evitare la mortificazione della personalità quando essa vada incontro all'annientamento figlio del potere esercitato dalle.Il diritto privato è un'istituzione che protegge dalla tendenza egoistica dei singoli. Garantisce che la libertà di iniziativa individuale non distrugga la libertà degli altri, piegando l'individualità del singolo alle esigenze dell'individuo economicamente più forte. La legge ingiusta tradisce l'aspirazione alla giustizia ed equità del diritto privato, che dovrebbe essere il principio guida della produzione normativa, garantendo decisioni giuste per la pace sociale e la convivenza armoniosa tra interessi conflittuali.
Il diritto ingiusto, iniquo e irragionevole è una contraddizione evidente perché l'equità è il diritto e tutto il diritto; il diritto è equità e solo equità. L'equità è inscindibile dalla giustizia, costituendone la sua virtù naturale. L'equità è l'arma che permette di raggiungere la giustizia.
Unità al criterio della ragionevolezza in un tutt'uno che prende le forme della giustizia universalmente valida, consente al giudice di cogliere, attraverso l'attento bilanciamento degli interessi antagonistici coinvolti nel moto perpetuo tra tesi e antitesi, le impressioni, i sentimenti e i valori della società del suo tempo, per armonizzarli alle direttive e ai programmi contessenti le trame della legge fondamentale. L'equità, vera e propria quintessenza del diritto, deve ispirare sia il lavoro del legislatore sia quello delle corti. L'interprete deve anteporre all'arbitro del legislatore i valori coeterni dell'equità e ragionevolezza per non correre l'azzardo di agire contra aequitatem iustitiae et contra bonum.
3. L'irragionevolezza delle norme imponenti gerarchie interpretative
Nell'esercizio dell'attività creativa di regole generali e astratte, il legislatore dovrebbe ispirarsi alle direttive del pactum
societatis; dopodiché spetta ai giudici applicare gli statuti normativi inassonanza alle disposizioni espresse nelle tavole dell'ordinamento. In caso di lacuna toccaall'interprete trarre dal sistema le direttive atte a risolvere il caso dubbio. L'interpretazione, cheprecede l'applicazione della legge, è sempre una forza del pensiero. Tale forza, manifestandosi neilimiti contrassegnati dalla fattispecie astratta, è opera di creazione espressa nella singola decisione.La discrezionalità dell'interprete si accresce in modo inversamente proporzionale alla minuziositàdel dettato normativo.
Nel moderno stato liberale, il giudice indossa le più adatti vesti di autorità destinata a sottoporre laregola scritta al setaccio dei valori costituzionali e dei principi generali, nel tentativo di verificarecostantemente la rispondenza del dato normativo specifico al fondamento legittimante la suavalidità metastorica.
massima universalmente valida che considera il ius come ars boni et aequi attribuisce alla giurisprudenza il compito di sceverare il giusto dall'ingiusto, l'equo dall'iniquo, il ragionevole dall'irragionevole e così via.
4. L'argomento naturalistico
La legge scritta non è il frutto di mere decisioni prese a maggioranza, ma presuppone l'indagine sulla natura delle cose. Creare diritto non significa dare sfogo alla fantasia umana fine a se stessa, o secondare le aspirazioni egemoniche di un'élite detentrice del potere economico o politico, ma vuole dire invece regolare i fatti affioranti dalla realtà che preesiste alla legislazione nel rispetto del valore imprescindibile della personalità. L'argomento naturalistico assume validità euristica perché orienta la discrezionalità degli organi legislativi e dell'interprete, specie quando sia chiamato a riempire di contenuti le clausole generali.
Nozioni di bonum e aequum per un verso non possono tradire la natura dei fatti, giacché altrimenti esse rischierebbero di valere soltanto come una categoria astratta che si presta a essere scacciata dal mondo reale, per l'altro non possono offendere l'unitarietà dell'ordinamento. L'equità viene quindi a intersecarsi con la ragionevolezza e con gli ideali di proporzionalità, che esprimono un immanente contenuto di razionalità del diritto. Sta di fatto che le clausole generali non possono tradursi nell'attribuzione al giudice di un potere che non gli competa, ossia di correttore del diritto scritto; l'elogio dell'equità e della ragionevolezza andrebbe in tal modo ben oltre la soglia dell'ordine pubblico costituzionale.
5. Il plusvalore etico del diritto privato
L'autonomia dei consociati deve adeguarsi ai valori dichiarati o sottesi dalla legge fondamentale. Il diritto soggettivo non può tramutarsi in
Uno strumento di semplice attuazione del potere dell'avolontà fine a se stesso. La libertà di iniziativa individuale deve essere in armonia con le norme costituzionali di principio dalle quali si apprende che la protezione della dignità umana sia il cuore pulsante di sistema. La libertà di ogni consociato e la giustizia non soltanto formale corrono sempre il rischio di essere annientate dall'irragionevole (e dunque iniquo) arbitrio del legislatore, dell'autoritarismo del giudice o dal prepotere della controparte. Pare così inevitabile assegnare alla giurisprudenza dommatica il dovere di scoprire se e con quanta intensità il diritto vivente risponda ai compiti del diritto privato.
6. Il diritto civile tra tecnica e politica. L'esempio della presupposizione
Il diritto privato deve mettere a disposizione degli attori del traffico giuridico gli strumenti mirati a proteggere le vittime del sopruso. In linea di massima, i codici dell'800
non si preoccuparono di introdurre regole volte a tutelare il rapporto di forza inter partes, perché partivano dalla convinzione che attraverso la libera manifestazione della volontà si sarebbe raggiunto il perfetto equilibrio tra prestazione e controprestazione. La posizione di supremazia posseduta da chi arrogava a sé il potere di dettare le condizioni dello scambio risultava sfornita di significato iure privatorum, in quanto aleggiava sovrana l'esigenza di garantire l'introduzione di precetti alteranti il naturale equilibrio del sistema economico fondato sulla spontanea formazione della domanda e dell'offerta. L'autonomia privata e, in senso più generale, le teorie ancorate alle politiche fedeli al laisser faire affiancarono l'uomo dai vincoli signorili rendendo possibile lo sviluppo del traffico mercantile e il progresso economico. Ciò che occorreva difendere era soltanto l'astratta libertà di manifestazione della volontà.Perché attraverso l'esercizio del libero arbitrio il mercato sarebbe riuscito a garantire l'equilibrio sociale. Ancora oggi l'interpretazione maggioritaria è dell'avviso che completa alla discrezionalità dei privati la stima dell'equilibrio dello scambio: il sistema è quindi neutrale dinanzi allo sfruttamento economico della partie faible o dell'individuo poco accorto.
7. Il fatto come base di legittimazione delle regole
Il distacco della scienza giuridica dalla sottostante realtà economica fini con l'avvento della giurisprudenza degli interessi, la quale delegò al giudice la competenza a superare il divario fra norma e realtà generato dal metodo concettuale coltivato dalla pandettistica (naturale prosieguo della Scuola storica del diritto). Il mutamento fu di enorme portata giacché rese sensibile il diritto privato alla questione sociale; basti pensare che il contratto venne considerato alla stregua di
un«fatto» socialmente rilevante. Si accreditò l’idea che ogni protagonista del rapporto giuridico assuma diritti e obblighi secondo la ripartizione del rischio modellata dal legislatore. Tuttavia, a fronte dell'impari distribuzione dei beni e dell’alterazione del predetto criterio favorita dall'uso della libertà contrattuale a svantaggio degli esclusi dalle leve del potere economico, il diritto privato rischiava di perdere la propria vocazione di giustizia se avesse tradito la missione di tutelare i più deboli. In questo nuovo scenario gli studi giuridici furono emancipati dai postulati della virtuosa consequenzialità e ferrea autosufficienza della legge difesi dal legalismo ottocentesco. Dunque, la norma è soltanto un criterio adattabile a una moltitudine di casi, giammai la decisione del caso reale. Similmente, la legge scritta non completa il diritto, ponendosi piuttosto quale mera «pietra di costruzione»
Dell'ordinamento. Nello stesso tempo scomparve la neutralità dell'applicazione della legge. Si concretò in tal maniera il processo di "deindividualizzazione" del sistema giusprivatistico.