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CAPITOLO 2. INQUADRARE IL MONDO.
Il cinema si impone per la sua capacità visiva, in quanto capace di cogliere la realtà in
cui siamo immersi. Ciò vale soprattutto per il volto dell’uomo: inquadrandolo, il
cinema arriva a restituirci l’intera gamma dei suoi tratti, facendo emergere “tipo e
personalità, elementi ereditari e acquisiti, fato e volontà propria”; così come arriva a
restituirci la polifonia dei sentimenti che su esso si succedono. Soprattutto il primo
piano, il volto “diventa il tutto in cui è contenuto il dramma”. Di qui l’idea che ogni
inquadratura ci porti dritto al cuore delle cose: ci restituisce la sostanza di quanto è
ripreso e insieme ci fa sentire il respiro del mondo intero.
Vedendo la realtà sullo schermo, inevitabilmente portiamo allo scoperto noi stessi. In
secondo luogo lo sguardo perde la sua neutralità: vedendo la realtà sullo schermo e
vedendola da una certa prospettiva , adottiamo un certo atteggiamento e un certo
orientamento. Infine lo sguardo perde la sua pienezza: vedendo a realtà sullo
schermo, vediamo solo quello che la prospettiva adottata ci consente di cogliere. Il
mondo diventa allora un caleidoscopio.
Il reale non è più a portata di occhio, pronto a rivelarsi in sé: ci restituisce la sostanza
di quanto è ripreso e insieme ci fa sentire il respiro del mondo intero.
Dunque il cinema riscatta lo sguardo, ma nello stesso tempo lo ancora a un atto
percettivo; quel che entra in campo è anche la presenza di un vedente, di un rapporto
con l’oggetto visto, di una modalità di inquadrare l’oggetto; in una parola, di un
punto di vista.
Panowsky pubblica il suo saggio La prospettiva come forma simbolica. L’attenzione
viene riportata su uno dei momenti chiave della storia dell’arte: il Rinascimento
arriva a concepire la rappresentazione pittorica come l’intersezione piana di una
“piramide visiva”. Ciò significa che lo spazio che si dispiega sulla superficie di un
quadro non si presenta come una realtà in sé, ma come qualcosa di visto.
La prospettiva riduce i fenomeni artistici a regole ben definite, anzi a regole
matematicamente esatte, queste regole si riferiscono alle condizioni psicofisiche
dell’impressione visiva e in quanto il modo in cui agiscono viene determinato dalla
posizione che può essere liberamente scelta, di un “punto di vista” soggettivo.
Lo scrittore Henry James designa il testimone oculare in vari modi, tutti significativi:
percettore, sottolineando la funzione di osservatore in campo; riflettore, evidenziando
la capacità di illuminare con un raggio di luce ben direzionato il cuore della vicenda ;
e la lastra, a rimarcarne il compito di registrare nei propri occhi e nella propria
coscienza i riflessi dei fatti. La sua presenza è decisiva: la narrazione, includendolo
finisce anche col declinarsi su di lui.
La narrazione, facendosi guidare da lui, adotta inevitabilmente una “prospettiva
ristretta”; ciò che fa emergere, è solo quanto lui vede dal suo punto di osservazione.
La conseguenza è una visione contingente in quanto la percezione dipende dalla
“finestra” dietro a cui ci si trova; o meglio dietro cui si è capitati, la conseguenza è
una visione parziale, poiché si riesce a cogliere solo una piccola fetta della “scena
umana” ; la percezione dell’intero quadro gli è preclusa per sempre.
Balazs ha ben presente l’idea di limitatezza, legata alla presenza di un punto di vista.
Ma egli continua anche a sognare uno sguardo che possa essere in grado di
abbracciare tutto il reale, nella sua ampiezza e nella sua pregnanza. La sua riflessione
si trova a registrare il contrasto fra l’inevitabile determinazione alla base del nostro
vedere e una assolutezza a cui non si vuol rinunciare.
Se è vero che il cinema è in grado di tenere vivi questi opposti e di affrontare molto
bene queste due polarità, Casetti affronta l’argomento attraverso tre esempi di film,
del tutto diversi fra di loro. Napoleon
Il primo film preso in considerazione è di Abel Gance (1927) in cui
troviamo questa morale: non si possono illustrare che frammenti di esistenza; ma in
ogni frammento preme il senso del tutto. Ma la questione investe anche lo statuto
dello sguardo filmico. Ogni inquadratura non contiene che una fetta di realtà; si tratta
allora di risarcirne i limiti, attirandola nell’orizzonte di una visione globale. I grandi
procedimenti del film, in particolare lo split screen, la sovrimpressione e il montaggio
rapido e i bruschi movimenti di macchina, mi paiono una perfetta esemplificazione di
questa tensione e insieme un tentativo di risolverla.
Prendiamo lo split screen, ne troviamo un esempio folgorante nell’episodio iniziale:
la battaglia con i cuscini, dapprima lo schermo si suddivide in quattro riquadri, poi
sei, poi nove, a raffigurare altrettante fasi dello scontro in corso. Che cosa significa
questa composizione a spicchi? Da un lato ogni porzione di schermo ci restituisce una
porzione dell’avvenimento, dall’altro lo schermo interno affianca le diverse porzioni
dell’evento, combinando le prospettive e gli istanti.
L’immagine filmica appare come un vero e proprio mosaico, i cui è possibile
riconoscere le singole tessere, ma in cui c’è anche un disegno che le comprende e le
sopravanza.
Napoleon ricorre con gran frequenza alla sovrimpressione, il suo uso è mirato, oltre
che a creare delle metafore, anche e soprattutto a combinare degli elementi diversi,
compresenti di fatto o di diritto.
La stessa logica ricorre nel montaggio rapido, basato sulla giunzione di pezzi assai
brevi. In questo procedimento non c’è una vera e propria compresenza delle diverse
inquadrature nella stessa immagine. L’integrazione è ottenuta nel tempo nel fluire del
film.
Infine abbiamo i bruschi movimenti di macchina, perlopiù panoramiche e carrelli,
realizzati spesso a mano. Al di là del suo virtuosismo, esso ci da l’idea di un quadro
del tutto instabile, che cerca disperatamente di uscire dai propri confini per catturare
nuove fette di realtà.
Ogni visione dipende da un “qui” e da un “ora”; ma anche contemporaneamente, di
attivare uno sguardo senza rinunciare a questi qui e ora.
Napoleon si conclude con una lunga sezione dedicata alla Campagna d’Italia, in cui
allo schermo centrale si affiancano altri due schermi e dunque l’immagine si triplica
in larghezza. Dall’altra abbiamo l’affermarsi di una visione composita: le due
immagini laterali fanno da quinte a quella centrale, dando vita ad una struttura
figurativa, analoga a quella di una pala d’altare.
Si punta ad abbracciare il reale, a tenerlo insieme, ora ispirandosi all’aquila, maestoso
uccello che domina il mondo dall’alto e che compare spesso nel film come compagno
del piccolo Bonaparte a Brienne e insieme come segno del destino del futuro
imperatore.
Del resto lo sguardo che Gance impone al suo film, ripropone in fondo l’attitudine
stessa del protagonista: rompere le barriere, non fermarsi al qui e all’ora, conquistare
il mondo. Gance è come Bonaparte, vuole costruire un impero visivo.
Tuttavia questo sguardo plurale appare una risposta per molti versi necessaria alla
tensione tra parti e totalità: punta alla seconda, mantenendo gli agganci con la prima.
Young and innocent
Il secondo film preso in esame è di Alfred Hitchcock (1937) in
cui possiamo ritrovare dei movimenti di macchina, molto interessanti, in particolare
la gru che dal totale della hall arriva al primo piano dell’assassino, con una planata
implacabile e affascinante.
in breve, questa gru, più che puntare ad afferrare la totalità della situazione, sceglie di
concentrarsi su una sola parte della scena; viene isolato un singolo individuo che così
acquista un particolare rilievo; si tratta del resto dell’assassino a lungo ricercato. C’è
la scelta di un dettaglio e insieme la sottolineatura della sua importanza ; se ci si
accontenta di un frammento è perché è il cuore dell’azione.
Hugo Munstemberg nel 1916 è uno dei primi a delineare una vera e propria
psicologia del cinema. Il caos delle impressioni esterne si organizza in un vero
mondo di esperienze secondo una nostra selezione di ciò che è significante e
importante. Uno degli aspetti fondamentali dell’arte consiste nel prendere in mano
questo processo, in modo che il fruitore possa muoversi lungo la via tracciata
dall’opera . Il film eccelle in questa azione: tra i mezzi espressivi che esso usa per
suscitare e orientare l’attenzione basta pensare alle didascalie, che sottolineano con
parole ciò a cui dobbiamo badare.
Torniamo a Giovane e innocente. I due movimenti di macchina, che si conludono
rispettivamente con un Primo Piano del musicista assassino e con mezza figura di
Erica e Old Willlie, sembrano letteralmente mimare il movimento dell’attenzione,
con il protendersi dell’occhio verso il particolare. Hitchcock si diverte a confondere
le idee, in quanto il film è pieno di incomprensioni basate su una falsa lettura dei
dettagli.
Giovane e innocente sembra volerci ricordare, con ironia e con riserva, che messa a
fuoco e che interpretazione sono collegate e che il puntare l’occhio su un dettaglio
conduce sempre a raggiungere una comprensione complessiva.
Dunque una totalità non come somma delle parti, ma semmai come investimento su
una parte sola, nella convinzione che essa si apra all’insieme: si punta al dettaglio, ma
è il dettaglio che conta e che, contando consente di ripensare al resto. Insomma una
totalità intensiva. Il vedere si declina dunque sulla soggettività, sulla contingenza,
sulla limitatezza. L’attenzione può apparire dunque come un modo si pur impreciso
di designare la relativa capacità del soggetto di isolare selettivamente certi contenuti
di un campo sensoriale a spese di altri, in vista di un mantenimento di un mondo
ordinato e produttivo. M, il mostro di Dusseldorf,
Il terzo film preso in esame è dove nell’aperture del film,
l’invisibilità riguarda innanzi tutto un avvenimento che non vediamo perché collocato
in uno spazio oltre i bordi dell’immagine, nel fuori campo. Lang utilizza spesso il
fuori campo poiché questo procedimento ci riporta al funzionamento di base del
cinema. Esso infatti mette in evidenza come l’immagine filmica sia un’immagine
bordata e cioè un rettangolo delimitato ai suoi quattro lati. Ma questi bordi servono
anche a definire la porzione di spazio colta dalla macchina da presa
contrapponendol