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E) METODO DI COMPILAZIONE DEL DIGESTO
Giustiniano sottolinea la difficoltà della compilazione del Digesto ma non dà notizie esaurienti
sulla modalità della compilazione. Lo studio dell’organizzazione del lavoro svolto da Triboniano e
dalla commissione investe un problema di fondo degli studi romanistici: la nostra conoscenza della
letteratura giurisprudenziale classica dipende dalla selezione effettuata dai compilatori di
Giustiniano.
Fondamentale su questo tema è lo studio di Bluhme (pubblicazione del libro anno 1820). Egli si
basò su due osservazioni:
a)i frammenti che compongono i singoli titoli del Digesto si presentano divisi in tre gruppi. Nei
titoli i gruppi di frammenti si uniscono in ordine vario
b)in ogni gruppo la sequenza dei testi tratti dalle diverse opere giurisprudenziali è costante.
Ciò induce a ritenere che i compilatori si siano divisi i lavori in tre sottocommissioni, ciascuna delle
quali assunse l’esame di un gruppo di opere, da cui estrarre i frammenti da introdurre nei Digesta.
Ogni gruppo di opere è denominato “massa”.
La pima massa, c.d. sabiniana, raggruppa opere di diritto civile, con prevalenza dei commentari ad
Sabinum. La seconda massa, c.d. edittale, comprende soprattutto i commentari all’editto pretorio.
La terza, c.d. papinianea, comprende opere casistiche (in particolare quelle di Papiniano) soprattutto
responsa e quaestiones. Un piccolo gruppo di opere, c.d. Appendix, raccogli testi il cui spoglio
incominciò in fase avanzata dei lavori, quando i primi libri erano già stati completati. Ciò spiega
perché, fino al libro 23, i relativi frammenti si trovano in coda ai titoli.
Secondo Bluhme quattro volte su cinque all’interno di ogni massa le opere della giurisprudenza di
susseguono, e le masse si susseguono in ordine sparso.
Il giurista viennese Hofmann criticò ben 80 anni dopo la teoria di Bluhme creando una tesi
denominata in seguito tesi del “Predigesto”. Egli sosteneva l’irrealizzabilità dell’opera in soli tre
anni. A partire dagli anni ’20 la tesi del Predigesto trovò autorevoli continuatori come De Francisci,
Arangio, e tuttora, fra gli altri, Guarino, Falchi: questi ipotizzano l’esistenza di compilazioni post-
classiche pratiche o scolastiche costituite da catene di passi che avrebbero agevolato il lavoro della
commissione.
Si è anche formulata l’ipotesi (Cenderelli) del rinvenimento in età giustinianea, negli archivi
imperiali, di una schedatura di iura già divisi per masse, risalente al primo progetto codificatorio di
Teodosio II o di un’intera biblioteca di opere giuridiche risalenti al IV secolo.
L’idea dei Predigesti è negata o ridimensionata da altri studiosi come Mantovani. Il principale
argomento contrario sta nella regolarità con cui, nei titoli del Digesto, si susseguono i frammenti
delle masse. Negli anni ’70 il romanista inglese Honorè si basò su rilievi di carattere numerico
ipotizzando che ciascuna delle tre sottocommissioni fosse composta da due commissari stabili e che
ad essi di volta in volta venissero affidati gli undici avvocati.
Osler confutò nel 1985 la testi di Honorè attraverso analoghi e opposti rilievi numerici che hanno
attestatato la configurabilità di suddivisioni alternative.
F) LE INTERPOLAZIONI GIUSTINIANEE
Giustiniano precisa, nella Costitutio Tanta, di aver dato l’incarico ai compilatori dei Digesta di
modificare, ogni qualvolta lo ritenessero opportuno, i testi della giurisprudenza classica escerpiti
dalle opere originarie e inseriti nella compilazione.
Le interpolazioni giustinianee sono, dunque, tutte le alterazioni dei testi giurisprudenziali classici
compiute dai compilatori giustinianei sia al fine di adeguare il contenuto dei frammenti escerpiti
dalla realtà giuridica del VI secolo d.C., sia al fine di eliminare dai testi contraddizioni, frasi o
parole superflue.
Dal 1900 in poi i giuristi cercano tramite confronti testuali di arrivare al testo del giurista classico
tramite confronti testuali, cioè vedere se il testo ci è pervenuto in forma originale o se si è apportata
qualche modifica. Ad esempio il testo delle Institutiones di Gaio è quasi privo di interpolazioni e ci
è pervenuto in forma originale.
Altro criterio è quello c.d. palingenetico (da palingesi=rinascita) che si basa, cioè, sulla collocazione
del frammento nell’opera originaria, rilevabile dalla sua inscriptio. Questo criterio è stato reso
possibile dopo la pubblicazione dei “Palingenesia iuris civilis” di Lenel.
Questo metodo è utile nel caso in cui un istituto giuridico classico sia divenuto in epoca postclassica
e giustinianea, desueto, con la conseguente interpolazione dei testi ove compare la menzione
dell’istituto.
Sono anche utilizzabili criteri storici che tengano conto dell’evoluzione della disciplina degli istituti
giuridici dall’età classica a quella giustinianea.
G) LA TRADIZIONE MANOSCRITTA DEL DIGESTO
Il testo del Digesto ci è pervenuto attraverso la c.d. littera Florentina, manoscritto del VI secolo, e
numerosi altri manoscritti denominati complessivamente “vulgata” o “littera Bononiensis” copiati a
partire dall’XI secolo in seguito alla rinascita degli studi giuridici ad opera della scuola di Bologna.
La prima notizia storicamente sicura dell’esistenza della Fiorentina la vuole a Pisa (per questo è
detta anche littera pisana) circa nella metà del XII secolo quando Rogerio, citando un frammento, fa
riferimento ad una “vetus litera” che presenta una lezione diversa.
A Pisa la Fiorentina rimane fino al 1406 anno in cui viene trasportata a Firenze come bottino di
guerra ed ivi custodita nel Palazzo Vecchio in una cassetta d’oro costruita appositamente per ordine
della Signoria. Nel 1786 viene trasferita nella Biblioteca Laurenziana dove è tuttora custodita.
Prima di essere sfacicolato per la riproduzione, il codice Fiorentino, era in due volumi. Il codice è in
pergamena. La scrittura è su due colonne di 44 o 45 linee. La scrittura è onciale del tipo c.d. B-R
per il modo in cui sono scritte le due lettere ( B alta e R con asta lunga in basso).
Il manoscritto è diviso in 101 fascicoli numerati con numeri romani. Le abbreviazioni sono quasi
del tutto inesistenti in conformità alla disposizione di Giustiniano.Alla fine dei singoli frammenti vi
sono spesso punti fermi, due punti o due punti raddoppiati che servono ad isolare le singole leggi.
Celebre è l’enigmatico “Pulchra quasi stella” che chiude il manoscritto fiorentino. I numeri dei libri,
le rubriche dei titoli e le R di rubrica, i nomi dei giuristi sono scritti in rosso.
Secondo il Mommens la Fiorentina sarebbe opera di 12 amanuensi. La revisione sarebbe stata
affidata a due correttori, probabilmente giuristi. Agli emendatori spettava invece il compito di
revisionare la copia.si pensa che il centro di copia fosse Costantinopoli.
Secondo Lowne il codice è stato copiato subito dopo il 533, anno di pubblicazione del Digesto,
mentre Mommens diceva che la Fiorentina distava dall’archetipo qualche generazione di codici.
Nel secolo scorso Savigny ipotizzava che i glossatori bolognesi possedessero più manoscritti
originali del Digesto diversi dalla Fiorentina, e che la Vulgata costituisse dunque una tradizione
manoscritta ottenuta dal glossatori correndo la Fiorentina con questa littera vetus, che diventerà il
testo ufficiale della scuola con la Glossa Magna di Accursio.
Il Mommens fa, invece, derivare i codici della Vulgata dal Codex Secundus, un manoscritto
completo e diviso in tre parti che, nell’XI secolo, sarebbe stato copiato dalla Fiorentina, arricchito
con glosse e richiami alle Istituzioni e corretto sulla base di un codice perduto diverso dalla
Fiorentina.
Secondo il Kantorowicz, le numerose emendazioni del Codex Secundus da cui trasse origine la
tradizione medievale risalirebbero ad Irnerio.
Secondo Pescani e littera Florentina e il codice da cui trasse origine la littera Bononiensis
risalirebbero ad un comune archetipo da cui sarebbero stati copiati sotto dettatura nel VI-VII secolo.
Come emerge, il problema della ricostruzione del testo originario del Digesto è arduo.
Scopo dell’edizione critica è la ricostruzione del testo pervenutoci attraverso la tradizione
manoscritta sopra illustrata. Le edizioni del Digesto attualmente utilizzate dagli studiosi sono
l’edictor maior e minor del Mommens e quella di un gruppo di giuristi italiani pubblicata a Milano
nel 1998
2.LE INSTITUTIONES DI GIUSTINIANO E I METODI DI INSEGNAMENTO DEL
DIRITTO DALL’ETA’ TARDO REPUBBLICANA A QUELLA GIUSTINIANEA
Con la pubblicazione delle Institutiones Giustiniano intendeva fornire una trattazione sistematica
del diritto destinata all’insegnamento e dotata anche di valore legislativo.
L’educazione scolastica, anche giuridica, rappresenta l’unico tramite attraverso cui, negli anni della
dominazione barbarica, si mantiene traccia della cultura giuridica classico; e questo consentirà
secoli dopo la rinascita bolognese e il nuovo assurgere del Corpus Iuris a protagonista della storia
giuridica occidentale.
In origine l’educazione dei giovani aristocratici romani si svolgeva all’interno della famiglia che,
fino a 7 anni attraverso la madre, in seguito attraverso il padre, comunicava al bambino gli ideali di
vita e le regole di convivenza sociale fondate sul mos maiorum, i costumi degli antenati.
Dai 7 ai 16 anni il ragazzo, vestita con la toga listata di porpora (praetextatus), veniva iniziato alla
vita adulta seguendo il padre in tutte le occasioni sociali, religiose e anche in senato; a 16 anni
prima di iniziare il servizio militare (tirocinium militiae) il cittadino veniva affidato ad un cittadino
per fare politica (tirocinium fori). Ciò che l’educazione romana, sin dalle origini, tendeva a
infondere nella coscienza dei ragazzi e dei giovani era “un sistema rigido di valori morali, di riflessi
sicuri, uno stile di vita…”. Quintiliano paragona il sistema di educazione scolastica a quello
familiare.
Nel II-III secolo a.C. la parte filoellenica del ceto senatorio, che intendeva assicurare ai propri figli
lo stesso livello culturale dei provinciali sottomessi, favorì la formazione a Roma di scuole
elleniche rette da privati e aperte al pubblico: si trattava di scuole primarie che avevo in compito di
insegnare ai bambini dai sette agli undici anni a scrivere e a leggere.
La scuola secondaria era seguita, a partire dai sedici anni e soltanto per gli uomini, dall’educazione
retorica inizialmente impartita in greco e successivamente in latino, anche se venne disposta la
chiusura delle scuole romane in cui la retorica era insegnata in latino. Furono aperte
successivamente con Cesare e nell&rs