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CAPITOLO V- I TITOLI SOCIALI
1.I tioli per l’acquisto di servizi sociali: Profili generali
L’art. 17 della legge 328/200 dispone che i Comuni possono prevedere la concessione, su
richiesta dell’interessato, di titoli sociali. Tali titoli possono essere strumentati per l’acquisto di
servizi sociali dai soggetti accreditati del sistema oppure possono essere sostitutivi delle
prestazioni economiche.
Il titolo sociale può essere un titolo d’acquisto di una prestazione come un voucher o uno
strumento sostitutivo di una prestazione economica.
L’utente ha un limite di spesa perché il buono ha un valore dato.
Il voucher ha un determinato valore monetario che l’utente utilizza per acquistare sociali da un
gestore accreditato alla cui fruizione quest’ultimo è stato legittimato e che sarà rimborsato
dall’istituzione pubblica che ha emesso il titolo.
Esso infatti è uno strumento vincolante al soggetto al cui è stato attribuito solo presso enti
accreditati dall’istituzione pubblica a seguito di un bisogno sociale.
Il sistema dei voucher pare garantire libertà di scelta fra i servizi accreditati al sistema per
l’utente, stimolando gli stessi servizi a una sana competizione per adempiere sempre a quei
standard qualitativi e quantitativi.
Anche per i titoli d’acquisto di prestazione sociali, occorre individuare i soggetti beneficiari e
stabilire i livelli di compartecipazione alla spesa che vanno in base all’ISEE così come previsto
dal d.p.c.m numero 159/2013.
2.I titoli sociali nella legislazione regionale
Le regioni per quanto riguarda i titoli sociali hanno operato scelte diversificate.
La Lombardia, l’Emilia Romagna, la Puglia hanno introdotto distinzione tra titoli per l’acquisto di
servizi sociali, denominati vouchers sociali o buoni servizio e benefici di carattere economico a
sostegno della capacità delle famiglie di prendersi cura dei soggetti fragili, denominati buoni
sociali, assegni di cura o assegni di sussistenza.
(Tale modifiche sono specificate approfonditamente nel libro, ma non l’ho ritenute importanti. Se
hai tempo vai a vedere.)
CAPITOLO VI- LA TRASFORMAZIONE DELLE IPAB
1.Principi e criteri direttivi per la trasformazione
Le istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficienza (IPAB) sono state costituite come enti di
diritto pubblico senza scopo di lucro allo scopo di prestare assistenza ai più poveri o al
miglioramento morale ed economico ecc.. operando sotto il controllo delle regione.
Questi istituti sono stati trasformati con il d.lgs 207/2001 in aziende pubbliche di servizi alla
persona che svolgono direttamente attività di erogazione di servizi assistenziali.
La trasformazione non è stata svolta per le istituzioni regionali o infraregionali in cui sono stati
accertati il carattere di aspirazione religiosa, di istituzione promossa da privati, e per le
istituzioni con ridotte dimensioni in mancanza di patrimonio insufficiente per la realizzazione di
finalità e servizi.
2.La legislazione regionale
La legge regionale 2003, n.1 della Lombardia sul riordino delle IPAB ha adotto il principio di
piena equivalenza tra le due forme, pubblica e private senza scopo di lucro senza recepire i limiti
della normativa statale.
Le altre regioni esaminate invece, si sono uniformate alle prescrizioni statali del d.lgs
n.207/2001.
La forma pubblica è obbligatoria per le IPAB che abbiano rilevanti dimensioni, svolgono attività
socio-assistenziali o socio-sanitarie o scolastiche.
3.Riflessi della natura privatistica dell’ente sulla disciplina degli appalti di fornitura, di
servizi e di lavori pubblici.
La natura giuridica delle ex IPAB incide su diversi aspetti delle discipline applicabili.
Sono organismi di diritto pubblico (art. 3 del d.lgs 163/2003, codice dei contatti pubblici)
qualsiasi organismo, anche in forma societaria:
istituito per soddisfare esigenze di interesse generale;
dotato di personalità giuridica;
la cui attività sia finanziata dallo stato o dagli enti pubblici territoriali.
Inoltre, non deve avere natura commerciale o industriale e ciò evince, per la giurisprudenza,
dall’assenza di scopo di lucro e dal suo non essere esercitato in regime di concorrenza.
CAPITOLO VII- LE PROFESSIONI SOCIALI
1.La disciplina delle professioni sociali prima e dopo la riforma del titolo V della
costituzione.
L'attuale disciplina del settore dei servizi sociali include anche la regolamentazione delle
professioni sociali al fine di garantire uniformità e qualità del loro esercizio.
In generale la disciplina delle professioni e attribuita dall'articolo 117, comma 3, della
Costituzione alla competenza concorrente di stato e regioni mentre l'istruzione è la formazione
professionale Non essendo inclusa nell'elenco delle materie di competenza esclusivamente statale
e essendo espressamente esclusa dal novero delle materie di competenza concorrente, può essere
ricondotta alla competenza residuale e quindi esclusiva regionale.
Prima della riforma del Titolo 5 della Costituzione del 2001 l'articolo 117 riconduceva la
formazione professionale alla competenza regionale concorrente, mentre non menzionava la
disciplina delle professioni in genere. A quest'ultima provvedeva alla legge statale, mentre la
prima era affidata anche alle leggi regionali: La disciplina delle professioni risultava quindi
sostanzialmente omogenea sul piano nazionale, mentre quella della formazione delle figure
professionali veniva diversamente declinata secondo il contesto regionale. Attenendosi alla lettera
del nuovo dettato costituzionale il ruolo delle regioni sembrerebbe rafforzato, essendo ad essere
riconosciuta competenza normativa concorrente in merito alla disciplina delle professioni, prima
preclusa ed essendo stabilita una competenza esclusivamente regionale in materia di istruzione
e formazione professionale.
Non si può omettere di osservare che l'effettiva portata delle prerogative regionale stato
influenzata dall'ampiezza riconosciuta la materia dei servizi sociali.
In linee generali il decreto legislativo numero 112 del 1998 prevedeva che lo Stato mantenesse la
competenza all'individuazione degli standard delle qualifiche professionali, alla definizione dei
requisiti minimi per l'accreditamento delle strutture che gestiscono la formazione professionale,
alle materie concernenti tirocinio, formazione continua, Contratto di formazione lavoro.
Venivano conferite alle regioni tutte le funzioni e compiti amministrativi riconducibili alla
materia formazione professionale Salvo quelle espressamente mantenuti allo stato e le regioni
avrebbero dovuto attribuire di norma le province le funzioni ad esse trasferite in materia di
formazione professionale.
Più nello specifico, l'articolo 129 del decreto legislativo numero 112 del 1998 prevedeva che fosse
conservata allo stato, tra le altre, la funzione di fissare i requisiti per la determinazione dei profili
professionali degli operatori sociali, nonché le disposizioni Generali concernenti i requisiti per
l'accesso e la durata dei corsi di formazione professionale.
Il numero delle competenza attribuita allo stato dal decreto legislativo numero 112 del 1998
risultava più ampio di quello successivamente tracciato dal legislatore costituzionale, in quanto
esteso ad aspetti relativi alla formazione professionale che costituiscono oggi competenza
esclusivamente regionale.
Vedremo che le competenze normative Regionali sono state negli anni vistosamente
ridimensionate rispetto a quanto il dettato normativo costituzionale avrebbe portato a
considerare in primis.
2.L’individuazione dei profili professionali.
La regolamentazione delle professioni all'articolo 129 del decreto legislativo numero 112 del 1998
ha trovato attuazione nella legge quadro numero 328 del 2000. Dove sono le disposizioni della
legge quadro che concernono le professioni sociali:
- articolo 9 ribadisce quanto già nominato all'articolo 129 (vedi parte 1)
- articolo 12: Non si limita alla determinazione dei profili professionali ma si estende all'integrale
definizione degli stessi attribuendo allo stato una competenza decisamente più concreta e
specifica. Più specificatamente, la definizione delle figure professionali sociali e affidata, secondo
quanto previsto dal comma 1 dell'articolo 12, ad apposito decreto del ministero per la solidarietà
sociale, adottato di concerto con i ministri della sanità del Lavoro e della previdenza sociale, della
Pubblica Istruzione dell'università e della Ricerca Scientifica e tecnologica, sulla base di criteri e
parametri individuati dalla conferenza unificata ai sensi dell'articolo 129, comma 2 del decreto
legislativo numero 112 del 1998.
La tipizzazione delle figure risulta Dunque essenzialmente ministeriale Ma le scelte effettuate
devono basarsi su indicazioni condivise delle regioni nonché dagli enti locali.
In base all'interpretazione prevalso nella giurisprudenza costituzionale, recentemente ribadita
anche dalla sentenza numero 179 del 2014, la potestà legislativa regionale nella materia
concorrente delle professioni deve rispettare il principio secondo cui l'individuazione delle figure
professionali è riservata allo stato per il suo carattere necessariamente unitario rientrando nella
competenza delle regioni la disciplina di quegli aspetti che presenta uno specifico collegamento
con la realtà principale.
Tale principio viene configurato quale limite di ordine generale, invalicabile della legge regionale.
3.La formazione delle figure professionali.
Per quanto riguarda la formazione delle diverse figure professionali sociali e riferimento
normativo è previsto dai Commi 2 e 3 dell'articolo 12 della legge quadro.
Il comma 2: Affida la definizione di tali figure professionali ad un regolamento del ministro per la
solidarietà sociale, ora ministro del lavoro e delle politiche sociali, dai magari di concerto con il
Ministro della Sanità e dell'università e della Ricerca Scientifica è tecnologica, ora Ministro
dell'istruzione, dell'Università e della ricerca, e d'Intesa con la conferenza unificata.
Tuttavia ciò può indurre perplessità alla luce del dettato costituzionale in quanto la competenza
potrebbe a buon titolo considerarsi affidata in via esclusiva alle regioni.
L'orientamento della legge numero 328 del 2000 corrisponde al testo costituzionale antecedente
la riforma secondo il quale lo Stato era chiamato a regolamentare controllare e coordinare
l'attività didattica al fine di garantire standard qualitativi i quantitativi minimi e di consentire il
riconoscimento dei titoli conseguiti mentre alle regioni spettava la programmazione e la gestione
dei corsi.
Tale competenza statale è stata giustificata