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Il ricorso per risarcimento di danni
Art. 268 TFUE e art. 340 [non l'intera Unione, ma la sola BCE è chiamata a risarcire i danni da essa cagionati o dei suoi agenti. La Corte non è invece competente ad esaminare ricorsi in responsabilità contro l'Unione nell'ambito della PESC.] La competenza della Corte di giustizia è limitata a danni derivanti da responsabilità extracontrattuale. [Riguardo alla responsabilità contrattuale dell'Unione, la competenza della Corte di giustizia può essere prevista da una clausola compromissoria inserita nel contratto; in mancanza di tale clausola la competenza spetta ai giudici nazionali.] Nel contesto delle varie competenze della corte, la definizione di ciò che debba intendersi per "controversie relative al risarcimento dei danni di cui all'art. 340, secondo e terzo comma" ha dato luogo a notevoli difficoltà. Anzitutto, si è tentato di assimilare il
ricorso per risarcimento al ricorso di annullamento e a quello in carenza, sostenendo che, in pratica, esso mira a conseguire risultati analoghi: l'eliminazione degli effetti giuridici di un atto o di un comportamento omissivo delle istituzioni. L'obiettivo era quello di estendere anche al ricorso per risarcimento le condizioni di ricevibilità molto restrittive previste dagli artt. 263, quarto comma e 265, terzo comma, TFUE. La Corte non si è prestata tale manovra; essa ha invece insistito sul fatto che il ricorso per risarcimento "è concepito dal Trattato come un rimedio autonomo, dotato di una propria funzione che lo distingue dalle altre azioni esperibili e sottoposto a condizioni di esercizio che tengono conto del suo soggetto specifico". Mi consegue che "sarebbe in contrasto con tale autonomia il considerare come causa di irricevibilità il fatto che, in determinate circostanze, l'esercizio dell'azione di danni può"avereconseguenze analoghe a quelle dell’azione in carenza contemplata dall’art. 175 (ora art. 265TFUE)”.È stato inoltre necessario distinguere il ricorso per risarcimento dalle azioni che i soggettiinteressati possono esperire dinanzi giudici degli Stati membri. Il criterio distintivo è legato, oltreche all’oggetto della pretesa del singolo, anche alla disponibilità di un’azione da proporre dinanziai giudici nazionali, che sia in grado di soddisfare pienamente la pretesa stessa. Se un’azione delgenere è possibile, la competenza della Corte ai sensi dell’art. 268 è esclusa.Il ricorso per risarcimento si configura pertanto come un rimedio residuale rispetto alla tutela chepossono offrire i giudici nazionali.I presupposti della responsabilità extracontrattuale della Comunità non sono definiti dai trattati,ma vanno attratti dai “principi generali comuni ai diritti degli Stati membri”,
Principi che spetta all'agiurisprudenza individuare. Secondo la Corte, "presupposti della responsabilità della comunità sono un danno effettivo, un nesso causale tra danno di comportamento delle istituzioni e legittimità di questo comportamento". I presupposti della responsabilità dell'Unione sono pertanto normalmente tre: a) Danno b) Illegittimità del comportamento delle istituzioni c) Nesso di causalità tra il danno e il comportamento [tra i comportamenti illegittimi delle istituzioni che possono far sorgere il diritto ad un risarcimento del danno, la giurisprudenza ha recentemente incluso anche il caso del mancato rispetto, da parte del Tribunale, di un termine ragionevole del procedimento.] Quanto al danno e al nesso di causalità, spetta ovviamente al ricorrente produrre gli elementi di prova necessari a determinare l'esistenza e la misura del pregiudizio lamentato e il nesso di causalità tra il comportamento.illegittimo dell'istituzione e il danno subito. A questi presupposti che sono sempre necessari, se ne aggiungono altri due qualora il comportamento delle istituzioni consista nell'esercizio di poteri caratterizzati da un ampio margine di discrezionalità e, in particolare, nell'adozione di atti normativi (ad es. regolamenti) implicanti scelte di politica economica.
In questi casi non basta dimostrare la mera illegittimità del comportamento e, in particolare, dell'atto dal quale il danno è derivato, ma è altresì necessario che:
- La norma violata dalle istituzioni sia preordinata a conferire diritti ai singoli
- La violazione di tale norma sia sufficientemente caratterizzata, in altri termini che si tratti di una violazione grave e manifesta
Originariamente la giurisprudenza richiedeva anche che la norma violata fosse una norma superiore.
La scelta di subordinare la responsabilità delle istituzioni in caso di esercizio di poteri discrezionali
in caso di violazione grave e manifesta di norme o atti normativi, è finalizzato a evitare che l'istituzione in questione sia ostacolata. Tale requisito non si limita solo ai casi riguardanti i regolamenti, ma può essere valutato anche in riferimento ad atti diversi o privi di efficacia normativa. In tempi più recenti, la giurisprudenza ha dovuto decidere se in alcuni casi sia possibile prescindere dal presupposto di illegittimità del comportamento che ha causato il danno, ossia se alle istituzioni possa essere eccezionalmente attribuita una responsabilità per un'attività lecita (nota anche come responsabilità per colpa). Il presupposto di questa forma di responsabilità sarebbe l'eccezionalità del danno subito da un determinato soggetto come conseguenza di un'attività svolta nell'interesse generale. Il diritto al risarcimento dei danniè soggetto ad un termine di prescrizione di cinque anni, adecorrere “dal momento in cui avviene il fatto che dà loro origine”.Tale disposizione va tuttavia interpretata nel senso che “il termine di prescrizione inizia a decorrerenon già dalla data dell’evento dannoso, bensì a partire dal momento in cui la decisione controversaproduce i suoi effetti dannosi nei riguardi delle persone cui essa si dirige, ossia nel momento in cui ildanno si è effettivamente realizzato in capo alle suddette persone”.Il termine si interrompe se viene rivolta istanza (non obbligatoria) di risarcimento all’istituzioneresponsabile. In casi di rigetto dell’istanza, il ricorso assumerà le forme di un ricorso diannullamento e andrà proposto entro due mesi; in caso di silenzio dell’istituzione, andràpresentato un ricorso in carenza.
LA COMPETENZA PREGIUDIZIALE: CONCETTI GENERALI
A norma dell’art. 267 TFUE,
La Corte di giustizia può o deve essere chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale sulle questioni riguardanti il diritto dell'Unione che si pongono nell'ambito di un giudizio instaurato davanti ad "un organo giurisdizionale di uno degli Stati membri".
La competenza digitale si distingue pertanto nettamente dalle competenze finora viste.
In base alla competenza pregiudiziale, la Corte conosce di determinate questioni di diritto dell'Unione soltanto in seguito al rinvio operato da un giudice nazionale, nell'ambito di un giudizio iniziato e destinato a concludersi dinanzi allo stesso giudice nazionale. Questi richiede alla Corte di pronunciarsi su determinate questioni perché "reputa necessaria per emanare la sentenza una decisione su questo punto".
La pronuncia della Corte ha quindi natura pregiudiziale, sia in senso temporale, perché precede la sentenza del giudice nazionale, sia in senso funzionale, perché è
strumentale rispetto all'emanazione di tale sentenza. La competenza di cui all'art. 267 è dunque una competenza indiretta, in quanto l'iniziativa di rivolgersi alla Corte non è assunta direttamente dalle parti interessate, ma dal giudice nazionale. Essa è anche una competenza limitata, potendo la Corte esaminare soltanto le questioni di diritto dell'Unione sollevate dal giudice nazionale. Quest'ultimo rimane competente a pronunciarsi su tutti gli altri profili della controversia. Le ragioni che hanno condotto ad inserire, tra le altre competenze della Corte di giustizia, una competenza di tipo pregiudiziale, sono legate ad alcune caratteristiche tipiche dell'ordinamento dell'Unione: da un lato, il sistema decentralizzato di applicazione del diritto dell'Unione, per cui il compito di applicare tale normativa ai soggetti degli ordinamenti interni è affidato alle autorità di ciascuno Stato membro; dall'altro,L'essere la maggiore parte delle norme dell'Unione dotate di efficacia diretta. Entrambe queste caratteristiche rendono estremamente frequente l'insorgere di controversie tra privati o tra privati e autorità pubblica intorno all'applicazione del diritto dell'Unione; tali controversie, in quanto non sottoposte dai trattati alla competenza diretta della Corte di giustizia, vanno instaurate dinanzi ai giudici degli Stati membri.
Lo scopo del meccanismo disciplinato dall'art. 267 è duplice:
- Da un lato, esso tende a evitare che ciascun giudice nazionale interpreti e verifichi la validità delle norme dell'Unione in maniera autonoma, come se si trattasse di norme appartenenti all'ordinamento del proprio Stato membro, con il rischio di infrangere l'unitarietà del diritto dell'Unione.
- Dall'altro lato, esso mira ad offrire ai giudici nazionali uno strumento di collaborazione per superare le difficoltà.
interpretative che il diritto dell'Unione può sollevare, trattandosi di un ordinamento con caratteristiche e finalità proprie. La competenza pregiudiziale ha dato un contributo di grande importanza allo sviluppo di tale diritto. Basti pensare che principi fondamentali quali l'efficacia diretta delle norme di trattati, l'efficacia diretta delle direttive, il primato sulle norme interne incompatibili, la responsabilità degli Stati membri per danni conseguenti alla violazione del diritto dell'Unione hanno tutti trovato una loro affermazione e il loro progressivo sviluppo in pronunce rese dalla Corte ai sensi dell'art. 267. Il meccanismo previsto dall'art. 267 ha infatti coinvolto in prima persona i giudici nazionali, e quindi anche le persone che a tali giudici si rivolgono, nello sforzo diretto a verificare che il diritto dell'Unione venga correttamente interpretato ed applicato da parte degli Stati membri e all'interno degli stessi.
moltiplicando in misura esponenziale le occasioni in cui tale verifica può avvenire (riferimento alla)