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CAPITOLO 11 – LA TUTELA DEI DIRITTI E IL PROCESSO DEL LAVORO
1.Indisponibilità, inderogabilità e garanzie in caso di rinunce e transazioni
La posizione di svantaggio del lavoratore giustifica la previsione di norme poste a garanzia dei
diritti del lavoratore stesso e, tra queste, particolarmente importante risulta essere la regola della
indisponibilità, che è una caratteristica dei diritti per cui, se il lavoratore può, con una
conciliazione in sede sindacale, rinunciare alla retribuzione, non può, però, rinunciare ai relativi
contributi previdenziali, che rientrano nel novero dei diritti indisponibili (Cass. 7800/2001).
Parimenti importante è il principio della inderogabilità sancita dall’art. 2113cc, per le quali le
rinunce e le transazioni del lavoratore su diritti previsti da norme inderogabili di legge e di
contratto collettivo non sono valide.
Si discute se si tratti di nullità o di annullabilità in quanto è previsto un termine decadenziale di sei
mesi entro cui il lavoratore deve esercitare l’impugnazione della rinuncia o transazione; si esclude
la tesi della nullità, perché in caso contrario non si sarebbero dovuti prevedere limiti di tempo.
L’art. 2113cc precisa che il termine decorre dalla data di cessazione del rapporto o dalla data della
rinuncia o transazione, se queste sono intervenute dopo la cessazione medesima.
L’impugnazione deve avvenire con forma scritta.
L’art. 2113cc riconosce come validamente poste soltanto le rinunce e le transazioni che avvengano
con determinate garanzie di assistenza del lavoratore.
Sono così valide le rinunce o le transazioni intervenute:
a) davanti al Giudice, nel corso di una controversia di lavoro, il quale nella prima udienza ha
l’obbligo di tentare la conciliazione. (art.420 c.p.c.).
b) davanti la Commissione di conciliazione istituita presso la Direzione territoriale del lavoro,
composta da rappresentanti sindacali e presieduta da un funzionario ministeriale;
c) nell’ambito delle procedure sindacali previste in sede di contrattazione collettiva. (art. 412-ter
c.p.c.)
d) nell’ambito della procedura di conciliazione ed arbitrato irrituale di cui all’art. 412-quater.
L’art. 82 del d.lgs. n.276 del 2003 ha aggiunto una ulteriore sede conciliativa idonea a rendere
inoppugnabili le rinunce e transazioni, quelle davanti agli Enti bilaterali in funzione di organi di
certificazione.
Giurisprudenza
Le rinunzie e le transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da
disposizioni inderogabili della legge o di contratti collettivi, stipulate in sede sindacale, non sono
valide e non sono impugnabili a norma dell’art. 2113, commi 2 e 3, cc. nel caso in cui non risulti che
l’assistenza del lavoratore ad opera di un rappresentante sindacale sia stata effettiva,
consentendogli di individuare esattamente il diritto al quale rinuncia e a fronte di quale vantaggio.
Non è sufficiente che il lavoratore fosse assistito da un avvocato e avesse ricevuto dai conciliatori
generiche informazioni sulla transazione. (cass.24024/2013).
L’art 11 del d.lgs. n. 124 del 2004 prevede che, qualora durante una visita dell’ispettore del lavoro,
venga rilevato il mancato riconoscimento di un diritto, il funzionario può avviare d’ufficio il
tentativo di conciliazione al quale, se concluso positivamente, si applica l’art. 2113 cc.
Giurisprudenza
Il verbale di conciliazione, relativo alla conclusione di un rapporto di lavoro, è da ritenersi non
valido, agli effetti dell’art. 411 c.p.c., se manca la sottoscrizione del rappresentante sindacale alla
presenza ed in contestualità con il lavoratore (Cass. 3237/2011).
Le quietanze a saldo o le firme poste sulla busta paga da parte del lavoratore non possono essere
considerate come attestazione della correttezza di quanto versato o come rinunzie ai diritti non
riconosciuti, per cui non ci è bisogno che vengano impugnate entro il termine di sei mesi sopra
indicato. La giurisprudenza è unanime nel ritenere che in questo caso si tratta di dichiarazioni
dirette ad indicare l’effettivo ricevimento delle somme (Cass. 15371/2003; Cass. 21913/2007).
2.Prescrizione e decadenza
Prescrizione: il mancato esercizio di un diritto per un lungo periodo di tempo comporta la perdita
dello stesso.
Decadenza: il mancato compimento di un atto o di un comportamento entro un periodo di tempo
predeterminato, e di solito abbastanza breve, impedisce la possibilità di porlo in essere.
La prescrizione può essere estintiva o presuntiva. La prescrizione estintiva può essere, a sua volta,
ordinaria (decennale) o breve, come quella relativa ai crediti retributivi che è quinquennale.
La prescrizione ordinaria decennale trova applicazione con riferimento:
• Al risarcimento del danno per totale o parziale omissione contributiva.
• Al risarcimento del danno contrattuale come nel caso di dequalificazione professionale.
• Al diritto alla qualifica superiore.
La prescrizione breve di cinque anni ha invece un particolare rilievo nel diritto del lavoro, in
quanto opera con riferimento alle retribuzioni periodiche quali salari e stipendi, mensilità
aggiuntive, gratifiche annuali nonché alle indennità spettanti per la cessazione del rapporto di
lavoro, fra cui il trattamento di fine rapporto e l’indennità sostitutiva del preavviso, come prevede
l’art. 2948cc.
Il lavoratore utilizzato in mansioni superiori per più di tre mesi acquisisce il diritto
all’inquadramento superiore ed il diritto alle maggiorazioni retributive: il diritto alla qualifica si
prescrive in dieci anni, mentre quello per ottenere le differenze retributive in cinque anni.
Diversa natura hanno invece le prescrizioni presuntive le quali altro non sono che una tecnica
speciale di articolazione fra le parti dell’onere della prova. Il codice prevede la prescrittibilità in un
anno per il credito del lavoratore con riferimento alle retribuzioni corrisposte per periodi non
superiori al mese e in tre anni con riferimento alle retribuzioni corrisposte per periodi superiori.
La presunzione può essere vinta solo con una confessione del debitore, attraverso il deferimento
del giuramento; se chi viene ritenuto ancora in debito giura di aver adempiuto, al ricorrente,
soccombente nel giudizio civile, non resta che proporre denuncia penale.
La regola generale contenuta nell’art. 2935cc stabilisce che la prescrizione decorre dal momento in
cui il diritto può essere fatto valere, il che significa che inizia a decorrere anche in costanza del
rapporto di lavoro.
Però, il lavoratore per tutelare la conservazione del posto di lavoro, per la posizione di debolezza
che lo caratterizza, il più delle volte è disposto anche a non rivendicare diritti, per cui con sentenza
della Corte costituzionale n. 63 del 1966 è stata dichiarata la parziale incostituzionalità degli art.
2948, 2945 e 2956 cc nella parte in cui consentivano la decorrenza della prescrizione in costanza di
rapporto di lavoro.
La Corte ritenne che la prescrizione dovesse decorrere dal momento della cessazione del rapporto
di lavoro, in quanto all’epoca il datore di lavoro poteva recedere dal rapporto senza addurre
alcuna giustificazione. Successivamente, con l’introduzione di limiti al licenziamento individuale,
soprattutto ad opera dell’art. 18 Stat. Lav., è stato precisato che la prescrizione inizia a decorrere
anche durante il rapporto se questo è assistito dalla tutela reale contro i licenziamenti, così che
ora, a seguito della modifica di tale forma di tutela, tale decorso dovrebbe essere congelato fino
alla cessazione del rapporto di lavoro.
Il tribunale di Milano, con sentenza del 16 dicembre 2015, essendo venuta meno, nella maggior
parte dei casi, la tutela reale prevista dall’art. 18 della legge n. 300/1970, la prescrizione
quinquennale per i crediti di lavoro decorre, in ogni caso, dalla cessazione del rapporto di lavoro e
non più, per le aziende dimensionate oltre le quindici unità, in “costanza” di rapporto.
Collegato all’istituto della prescrizione è quello della decadenza, il quale si differenzia perché deve
essere esplicitamente prefigurato dalla legge. Il trascorrere del termine decadenziale preclude al
titolare l’esercizio del potere giuridico connesso ad una situazione di diritto. Clausole di decadenza
possono essere stabilite anche nell’ambito dell’autonomia privata, ma va tenuto presente che tali
patti sono affetti da nullità se rendono eccessivamente difficile ad una delle parti l’esercizio del
diritto. Clausole di decadenza sono contenute anche nei contratti collettivi. All’art. 2113cc
vengono considerate illegittime quelle clausole che prevedono termini di decadenza inferiori a
quelli previsti dalla legge o che consentono la decorrenza dei termini in costanza di rapporto.
Termini decadenziali anche molto brevi sono stabiliti in materia di licenziamento con riferimento
all’impugnazione del licenziamento (60 giorni) e alla presentazione del successivo ricorso al giudice
(180 giorni). È termine decadenziale anche quello previsto dall’art. 2113 cc sulle rinunce e
transazioni.
3.Privilegi e garanzie a tutela dei crediti di lavoro.
Il legislatore ha previsto una serie di tutele per il lavoratore.
In base all’art. 2751-bis, n. 1, cc, la retribuzione, le indennità dovute a causa della cessazione del
rapporto, il risarcimento del danno per omissione contributiva e per licenziamento illegittimo sono
assistiti da un privilegio generale, che si esercita su beni mobili del debitore.
I crediti relativi al T.F.R. e alla indennità sostitutiva del preavviso, poi, sono anteposti a tutti gli altri
crediti privilegiati e sono posposti soltanto rispetto ai crediti ipotecari.
Il credito retributivo è protetto anche nei confronti dei terzi creditori del lavoratore, i quali
potrebbero aggredire il patrimonio del prestatore al fine di vedere soddisfatto il proprio diritto. A
tal fine, l’art. 545, commi 3 e 4, c.p.c. stabilisce che le somme dovute a titolo di stipendio e le altre
indennità conseguenti alla cessazione del rapporto di lavoro possono essere pignorate solo
parzialmente: fino alla metà se devono essere soddisfatti crediti alimentari, mentre non si può
eccedere la misura di un quinto se si procede per crediti di natura diversa.
3.1Il fondo di garanzia presso l’INPS.
Per assicurare il diritto al trattamento di fine rapporto, il legislatore nazionale, ottemperando ad
una direttiva comunitaria ha istituito presso l’INPS, con l’art. 3, legge 29 maggio 1982, n. 297, un
apposito fondo di garanzia denominato <Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto>,
con li fine di sostituirsi al datore di lavoro insolvente.
Successivamente tale garanzia è st