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DEI OPTIMI MAXIMI OPE
Nella letteratura emblematica e “iconologica” è infine diventato ciò che è in Tiziano, un simbolo erudito della questo
Prudenza:
avviene a partire degli di Pierio Valeriano del 1556 (trattato basato su Horapollo), che ritiene che questa virtù che
Hieroglyphica
“indaga il presente e riflette sul passato e il futuro” vada rappresentata dal nesso di tre teste (tricipium).
hieroglypice
Il è quindi ridotto a un gruppo di teste non più legate a un corpo, diventa stabilmente un simbolo autonomo, che si
tricipitium
presta tanto a una interpretazione poetica o razionalistica/morale a seconda che si accentui l'aspetto di o di
tempo prudenza.
(Tempo) In Giordano Bruno - sempre preoccupato delle implicazioni metafisiche ed emotive dell’infinità spaziale - i singoli
elementi raffigurano il tempo come un interminabile alternarsi di vano pentimento, reale sofferenza e irreali speranze. In Erotici
il filosofo Cesarino e l'innamorato folle Maricondo discutono della natura ciclica del tempo: Cesarino spiega che, come
furori
all'inverno segue l'estate, ai lunghi periodi storici di decadenza subentra la rinascita. Maricondo ribatte che non può
condividere l'ottimistica idea, e che crede che il presente sia sempre peggiore del passato, ed entrambi sono sopportabili grazie
alla speranza del futuro, com’era ben espresso dalla figura egizia
(Morale). Questo è il senso preferito nell’Iconologia di Ripa (1593) sulla scorta di Pietro Valeriano. Il simbolo è per questo
attribuito anche al Buon Consiglio: tra gli altri attributi, reca nella mano sinistra il tricipitium.
Con Pierio Valeriano, dunque, il mostro formato-busto è diventato un surrogato moderno, geroglifico, di tutte le precedenti
figurazioni della tripartita Prudenza/tempo.
VI.
I precedenti dell'allegoria di Tiziano sono chiari. A differenza di Giordano Bruno che ha accentuato l’interpretazione
temporale-affettiva, ha seguito l’interpretazione moralizzante di Pierio Valeriano.
Iconograficamente, Tiziano raffigura la vecchia immagine della Prudenza (simboleggiata dalle tre teste umane di diversa età)
sovrapposta alla moderna immagine della Prudenza (quella del mostro formato-busto). Ma è proprio questa sovrapposizione,
mai tentata prima, a porre il problema. Perché ha messo insieme due motivi eterogenei che sembrano significare la stessa cosa?
Tiziano lo realizza quando, ormai vecchio, sente di dover provvedere alla famiglia e inizia a raccogliere denaro da tutte le parti,
ottenendo anche dalla Repubblica veneziana che la sua licenza di sensale fosse trasferita al figlio prediletto Orazio (ben diverso
dal degenere fratello Pomponio). Panofksy ipotizza quindi che il dipinto avesse destinazione privata e personale (magari a
ornamento di un armadietto incassato nel muro che custodiva importanti documenti).
Il ritratto più vecchio è quindi quello di Tiziano, nel periodo in cui sentiva di dover provvedere per la sua famiglia. Al centro è
Orazio, “forte e attivo” come il presente, più realistico per vigoroso colore e vivo modellato.
Il giovane è forse Marco Vecelli, lontano parente che Tiziano aveva preso in casa ed educato alla sua arte. La sua espressione,
come quella del vecchio, è più incorporea; tuttavia è reso indefinito da un eccesso di luce, anziché dal velo d’ombra. In
un'opera d'arte la non è disgiunta dal la disposizione di linee e colori, di luce e ombra, di volumi e piani, per
forma contenuto:
quanto incantevole come spettacolo, dev'essere anche intesa come portatrice di un significato che va oltre il valore visivo.
V Libro
La prima pagina del di Giorgio Vasari
I.
A Parigi si conserva un foglio di schizzi attribuito a Cimabue, contenutisticamente e stilisticamente di difficile comprensione.
Il carattere classicheggiante richiama composizioni del IV-V sec d.C. (frequenza di movimenti paralleli; motivi architettonici
tardoatichi; modellato e proporzioni, movimenti in contrapposto dei soldati). Questi motivi classicheggianti appaiono però
trasformati secondo uno spirito trecentesco vicino ad es. a quello della scuola romana di Pietro Cavallini.
Tuttavia dal punto di vista stilistico, non si può proporre una datazione così precoce come il 1300; quindi devono essere
assegnati a Cimabue, ma a un artista attivo verso il 1400 che, considerata l’incoerenza compositiva dell’insieme e l’anomala
non
presenza di un tabernacolo gotico, avrebbe copiato un ciclo di dipinti realizzati circa un sec prima.
Nel 1400 Filippo Villani scriveva i giudizi in lode di Cimabue, l’iniziatore di una nuova fase nell’arte che riportò “alla imitazione
Gli schizzi parigini provano che l’idea di questa rinascita iniziata da Cimabue non era una costruzione puramente
della natura”.
letteraria, ma un fatto concreto e riconosciuto dagli artisti, se addirittura nel ‘400 ci si sforzava di copiare dipinti eseguiti da
Cimabue o almeno da un suo contemporaneo; non solo i letterati ma anche gli artisti si rendevano conto che il fondamento del
loro lavoro stava nei risultati di primo ‘300.
II.
Il nome di Cimabue è stato suggerito dalla cornice dove sul verso è posta la scritta e sul recto il
GIOVANNI CIMABUE PICTOR FIORE
ritratto a xilografia prodotto per la II ed delle di Vasari. È immediato allora il sospetto che la cornice sia stata realizzata
Vite
proprio da quest’ultimo, che sappiamo possedere alcuni disegni cimabueschi. Come altre cornici di Vasari, anche questa simula
un’architettura, ma a differenza delle altre in uno stile goticizzante, e perfino la scritta si adegua a questo carattere. Questa
intenzione sorprende nel Vasari, solito ad inveire contro la mostruosa e barbara “maniera tedesca”.
III.
Per i paesi nordici non ci fu un “problema gotico” fino al ‘700. Quando c’era la necessità di restauri e aggiunte, si “continuò ad
applicare il vecchio stile con perfetta indifferenza, senza porsi problemi di dipendenza o opposizione” oppure, con eguale
indifferenza, si procedeva con il nuovo stile (cupole o guglie barocche furono messe a coronamento di torri gotiche). La
consapevolezza della diversità degli stili non portò a prese di posizioni su principî teorici generali.
Solo nel ‘700 cominciò a scricchiolare questa accettazione non problematizzata del gotico; tuttavia neanche allora ciò produsse
un’opposizione di principio, ma di volta in volta gli elementi contrastanti furono risolti in una sintesi soggettiva. Tietze scriveva
che il Barocco “combinò gli elementi dell’architettura medievale con quelli contemporanei in modo così libero che ne uscì una
nuova forma d’arte”. Questo orientamento architettonico era portato ad un’astorica mescolanza di vecchio e nuovo.
Contemporaneamente in Inghilterra avevano inizio due movimenti non casualmente in coincidenza: a) la riforma dell’arte dei
giardini secondo un gusto paesistico-naturalistico e b) il revival gotico. Allora il gotico fu osservato non più come uno stile senza
ma come uno stile cioè come una forma di architettura derivante dall’imitazione degli alberi veri, mentre il
regole, naturalistico,
sistema classico combinava tronchi squadrati: questa accentuazione sentimentale della natura creò un’affinità tra i giardini
all’inglese e gli edifici gotici. Al Nord il non fu quindi dovuto alla preferenza per un particolare stile architettonico,
gotic revival
quanto al desiderio di evocare una particolare atmosfera: non s’intedeva riprodurre uno stile ma suggerire una sensazione.
Per comprendere che il Gotico non era solo un gusto, ma anche uno stile (cioè esprimeva un ideale artistico con principî
autonomi), il pubblico nordico avrebbe dovuto essere educato da una conversione a una concezione classicistica dalla quale lo
stile gotico sarebbe stato visto a distanza. Solo lo sviluppo del classicismo, seguito dalla riapertura del Romanticismo, avrebbe
permesso un corretto apprezzamento e una ricostruzione archeologica del gotico e far sorgere il dogma che ogni aggiunta ad
una vecchia chiesa “se non fatta secondo lo stile gotico, non avrebbe potuto fondersi col vecchio edificio” (Tietze).
- Al Nord non ci fu il fenomeno del classicismo a produrre una netta rottura con il passato gotico tale da permettere di guardarlo con distanza
critica. Per questo si continuò a restaurare e operare aggiunte applicando il vecchio stile o fondendolo col nuovo senza che questo creasse
conflitti ideologici. Nel ‘700 l’atteggiamento divenne solo parzialmente più critico, intanto il dimostrava che si guardava al gotico
gotic revival
non come stile autonomo ma come portatore di un’atmosfera (sentimentalistica, irrazionale) -
IV.
Secondo Tietze fu l’incisore Cochin il primo a sollevare il “problema della purezza artistica” a proposito dello stile gotico.
In Italia il sorgere di questo problema - che oltre le Alpi poteva farsi acuto solo dopo un lungo processo - era inevitabile sin
dagli inizi poiché il Rinascimento aveva subito stabilito una distanza col Gotico di cui il Nord fu incapace fino al sorgere
simultaneo del classicismo e del Romanticismo. Sin dal Villani, per gli italiani fu pacifico che la bella arte dell’antichità fu
distrutta dalle orde barbariche e rimpiazzata dalla ma i tempi moderni, guardando sia alla natura che ai modelli
maniera tedesca,
antichi, avevano permesso la rinascita di una (Filarete, che “faceva la parte del fiorentino che
buona e antica maniera moderna
educa i lombardi alla buona architettura rinascimentale” e scrisse un trattato per convertire i suoi mecenati al nuovo gusto
rinascimentale, usa i termini e in senso spregiativo).
gotico tedesco
Proprio questa opposizione permise al Rinascimento di porsi di fronte all’arte gotica e, anche se attraverso un velo di ostilità, di
vederla. Mentre al Nord, per mancanza di distacco, fu necessario un lungo tempo per apprezzare le opere gotiche come
manifestazioni di uno stile.
Se spogliamo le osservazioni di Vasari del tono accusatorio, ne risulta una prima caratterizzazione stilistica. Diceva “con mettere
noi parliamo di ripetizione di forme e di verticalismo; “facevano
cosa sopra cosa, andavano tanto in altezza”, una maledizione di
mentre noi parliamo
tabernacolini, con tante piramidi e punte e foglie che pare impossibile ch’elle si possino reggere. Sproporzionavano quelle opere”
di assorbimento della massa nella struttura e della scomparsa della superficie del muro sotto la trama dell’ornato; “Nelle colonne
per dire
non osservarono proporzioni né distinsero ordini, ma alla mescolata con una loro regola senza regole facendole grosse grosse o sottili”,
dell’andamento naturalistico, libe