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Nel saggio Dancing on the Pyramids, diventato poi The Colonial Present, si parte dal concetto
di geografia immaginaria individuato da Said, ossia la costruzione sull’oriente che permette di
trasformare in operazioni spaziali sulla diversità le immaginazioni relative ad essa. Le distanze
possono così essere mediate da pratiche culturali: la geografia immaginaria è qualcosa di più che
si deposita sulla coscienza obiettiva, in quanto qualcosa che prima era sconosciuto mano a mano
diventa sempre più familiare. Secondo Gregory l’immaginazione geografica è performativa ,
produce gli effetti che nomina e lo spazio è un effetto delle pratiche di rappresentazione.
Secondo Gregory il paesaggio dopo gli attentati di New York è la scena in cui collassano le
ostilità messe a punto dai protocolli coloniali dell’imperialismo in quanto architetture e geografie
non sono semplici specchi del mondo, ma attivano significati e possibilità per definire l’altro come
minaccia o antagonista e per colonizzare lo spazio. Il paesaggio del World Trade Centre rovescia
l’asimmetria che ha descritto la produzione coloniale delle geografie immaginarie da cui si formula
la domanda “Perché ci odiano?”: l’esito è la creazione di un paesaggio dell’innocenza estraneo
dalla pratica coloniale statunitense. Tuttavia questa domanda rivela il fatto di non essersi mai
dovuti sentire come subalterni a qualcuno, tanto che per molti il paesaggio di New York ha
continuato ad esercitare il suo privilegio nell’osservazione del mondo.
2.3 Corpi e luoghi
I discorsi della geografia culturale n relazione a luoghi e corpi possono partire dal concetto di
globalizzazione, che mette al centro delle considerazioni lo spazio del capitale, oppure
dall’interno degli studi coloniali, riprendendo la teoria critica nata dai movimenti anticoloniali;
entrambe i discorsi partono dallo smantellamento ideologico delle forme naturali delle relazioni tra
individui, ossia spazio sociale e politica culturale. Esponente della prima corrente è Harvey che
cerca di creare l’idea di materialismo storico-geografico; Harvey pensa che la globalizzazione
sia un processo e qualcosa di simile ad essa era già stato presente nella storia del capitalismo: a
partire dal 1492 si assiste all’internazionalizzazione dei commerci in cui il capitale delinea linee 15
strategiche di produzione e commercio, che si innestano sulla realtà al fine di accumulare capitale.
È proprio il capitale che ha la possibilità di riconfigurare i paesaggi e gli spazi per ottenere
un’accumulazione ancora più grande.
Se il termine globalizzazione ha senso in geografia culturale, è perché coincide con la
ristrutturazione della produzione capitalista dello spazio, che comporta tensioni politiche, sociali,
economiche e culturali. La nuova immaginazione descritta di Harvey è una tabula rasa sulla quale
si sta scrivendo un nuovo progetto politico ed economico sul mondo. Il ritorno dell’uomo come
strumento analitico di centrale importanza è probabilmente dovuta all’immagine del globo prodotta
dal satellite della Nasa Earthrise, che diventa un nuovo genere di coscienza. Il corpo diventa un
luogo teorico su cui è possibile interrogarsi e torna ad essere la misura di tutte le cose; secondo
Harvey il corpo, all’interno del sistema capitalistico, è l’ingranaggio fondamentale per produzione,
circolazione e consumo delle merci. In questo conteso è molto importante anche il denaro che
sancisce l’accesso ai luoghi e attiva il concetto di appartenenza. Nella sua opera Geografia del
Capitale Harvey delinea le due categorie analitiche essenziali: il corpo è il luogo strategico
dell’accumulazione, mentre il luogo è l’opposizione teorica allo spazio economico e culturale del
capitale; per la geografia culturale questi due termini appartengono almeno parzialmente alla
posizione femminista.
Il corpo è lo strumento che media tra la dimensione sociale e quella individuale, quindi bisogna
capire le connessioni esistenti tra la dimensione fisica e quella astratta. Il corpo è luogo ed
espressione di relazioni ineguali di potere ed ha funzionato da tabula rasa su cui proiettare
immaginazioni culturali diverse di una determinata società, quindi il corpo è il luogo in cui si
concentrano le costruzioni politiche e culturali in base al luogo in cui è posizionato; il rapporto
corpo-luogo contribuisce alla fondazione politica di un discorso geografico che prende di mira
pregiudizi e le categorie economiche dell’autoritario spazio disciplinare.
È necessario ora chiedersi quale motivo spinge la geografia culturale decide di ridefinire lo
spazio per esplorare e cartografare quello politico dell’immaginazione europea. La geografia
culturale femminista si accorge che il corpo è il luogo dove precipitano i meccanismi spietati del
dispiegamento del potere attraverso lo spazio, in quanto la cultura occidentale ha assegnato al
corpo maschile e a quello femminile significati diversi. La geografia femminista ha iniziato ad
interessarsi a come il corpo delle donne sia diventato luogo ed espressione delle relazioni di
potere e luogo di proiezione degli attributi socialmente costruiti. Le proiezioni del potere
definiscono la forma del corpo femminile all’intero della dimensione sociale e quindi il concetto di
genere è una finzione regolatoria molto potente che stabilisce e orienta la natura delle relazioni e
legittima il controllo politico della funzione del corpo. Il concetto di luogo viene rimandato invece a
quello di chora, ossia la nutrice, caratterizzato dall’enunciazione dei limiti del nostro pensiero: si
tratta di uno spazio e di un ragionamento sovversivo, del luogo della politica e della politica dei
luoghi.
Matthew Sparke e Newfoundland: “Mapped bodies and Disembodied Maps”
Sparke inizia il saggio chiarendo le premesse: l’importanza di ricostruire le geografie rivali di chi
ha combattuto contro l’imperialismo e la formulazione di geografie rivali di Said, individuata nella
cultura della resistenza antimperialista che vuole reclamare, rinominare e abitare nuovamente la
terra, con il sostegno di un profondo impulso cartografico. Sparke comunica che la geografia rivale
oggetto di indagine chiama in causa e carte geografiche rivali e la battaglia negli archivi coloniali e
nelle rappresentazioni ufficiali del Canada. Le questioni centrali per Sparke sono due:
• Violenza epistemica implicita nelle rappresentazioni metropolitane del puro spazio nativo;
• Contestate traslazioni tra spazio e identità nazionale.
Le mappe sono gli operatori epistemologici per questa traduzione e quindi la comprensione
delle relazioni è possibile se si considerano le modalità con cui i corpi sono stati compresi o esclusi
dalle mappe, e allo stesso tempo come questi sono stati mappati dalle coordinate cartografiche
coloniali. Sparke si interessa della cartografia dei corpi morti dei nativi nelle cartografie sociali e 16
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l’esempio è quello di Shawnadithit, l’ultima nativa rimasta dei Beothuk , di cui è rimasta solo una
rappresentazione nel paesaggio e nell’immaginazione culturale canadese per mezzo di un
monumento a St. John sull’isola di Newfoundland. Shawnadithit è il soggetto coloniale rivale che
disegna quattro carte geografiche in cui i corpi dei nativi tracciano i percorsi dei movimenti
stagionali, i luoghi di caccia, pesca e degli insediamenti: queste carte dimostrano la pratica
territoriale e spaziale dei nativi e dimostra gli eventuali scontri con il sistema coloniale. Queste
carte registrano l’immaginazione e la conoscenza geografica di questo popolo. Secondo Sparke
Shawnadithit non è solo un corpo nativo “cartografo”, ma le sue mappe contengono anche i corpi
dei nativi che si muovono sull’isola e che incarnano una pratica territoriale opposta a quella
cartesiana. I corpi mappati sono il risultato dell’incontro tra colonizzatori e colonizzati.
L’autore definisce dis-embodied maps la cartografia di Newfoundland sotto il punto di vista
europeo, ben distante da quello dei nativi, oltre che essere anche un chiaro riferimento all’assenza
di corpi. Il fatto che l’interno dell’isola come se fosse vuoto diventa realtà quando nel 1830
vengono uccisi tutti i nativi e l’isola è realmente disabitata. L’esercizio cartografico di Shawnadithit
funziona veramente come geografi rivale rispetto a quella dei colonizzatori e per questo deve
avere una posizione di legittimità. La geografia di Shawnadithit è stata trasformata in un relitto
antropologico nazionalizzato che trova spazio nei libri che parlando di questi indigeni scomparsi.
Sparke intende opporre la sua critica alla ragione coloniale al fine di far parlare i nativi per farli
uscire dalla loro condizione di subalternità e permettergli di esprimere il loro “pezzo di realtà”.
La storia dei Beothuk a Newfoundland è doppiamente tragica: da una parte lo sterminio ad
opera di pescatori, cacciatori di pellicce e degli indiani Micmac, e dall’altra perché il genocidio è
stato il risultato del mancato incontro tra buone intenzioni finite male. Il problema è che questi
selvaggi non apparivano a sufficienza come tali e quindi il colonizzatore sente il dovere di far
valere il proprio diritto alla terra, anche per il fatto che la convivenza pacifica che voleva essere
instaurata continua ad essere disturbata dai continui furti perpetrati dai nativi. I nativi diventano
così le vittime perfette di una tragedia nazionale, resa romantica dalla morte di Shawnadithit per
tubercolosi, nonostante le cure dell’educatore Cormack. Cormack infatti aveva il compirto di
educare Shawnadithit in occasione della costruzione del Beothuk Insitutions nel 1827, al fine di
renderla un informatore nativo: Shawnadithit acquisisce interesse perché può essere inserita negli
schemi epistemologici del suo educatore, che è preoccupato però per la mancanza di informazioni.
Nell’inverno del 1829 Shawnadithit disegna quattro mappe che diventano oggetto di indagine
per Sparke, riducendo la donna a semplice voce etnografica, senza corpo o storia: si rimane stupiti
dalla straordinarietà di queste rappresentazioni, giustificate come compensazione alla scarsa
abilità di esprimersi per mezzo della parola. Sparke cerca di collocare le carte di Shawnadithit nel
contesto della loro produzione , stabilendo le possibilità di esistenza anche in una prospettiva
diversa e per questo Sparke ricostruisce gli ultimi anni della donna a St. John per ridare corpo al
soggetto coloniale.
Una delle mappe disegnate da Shawnadithit riguarda l’uccisione del capo dei Beothuk in
seguita alla confisca delle barche che erano state rubate; la moglie del capo e zia di Shawnadithit,
- Risolvere un problema di matematica
- Riassumere un testo
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